lunedì 15 agosto 2016

ERASMO MAROTTA (1576 – 1641), UN GESUITA CHE AMÒ LA MUSICA - Eliade Maria Grasso

ERASMO MAROTTA (1576 – 1641), UN GESUITA CHE AMÒ LA MUSICA
Eliade Maria Grasso
Erasmo Marotta nasce a Randazzo nel 1576 da una nobile famiglia originaria di Capua arrivata in Sicilia sotto gli aragonesi. Già dalla più tenera età mostra un innato talento  musicale e, giunta anche la vocazione sacerdotale, viene mandato a Roma  per completare gli studi e prendere i voti nella Compagnia del Gesù. Musicista e compositore in un’epoca in cui si va delineando la forma musicale del  mottetto, una composizione polifonica vocale che dal ‘500 ricalca il modello compositivo di tradizione fiamminga.
 Anche Marotta muove i suoi passi di compositore nell’ambiente musicale del tempo i cui  nomi più illustri della scuola italiana sono Orlando di Lasso, Pierluigi da Palestrina, e i veneziani  Andrea e Giovanni Gabrieli. In seguito, in pieno ‘600,  il mottetto, pur conservando il rigore contrappuntistico assume carattere più libero o, meglio dire, “concertato” in cui, fermo restando la presenza del testo religioso, la sua esecuzione elude l’esclusiva dell’ambito liturgico. Marotta, dopo aver accuratamente studiato e applicato il contrappunto,  si libera da ogni rigida costrizione formale donando alle sue composizioni una maggiore aderenza tra musica e testo a favore di una maggiore cantabilità.
 A Roma Erasmo Marotta  era in servizio come musico presso il Cardinal Mattei a cui dedicò L’Aminta, la sua prima raccolta di composizioni musicali pubblicata a Venezia nel 1600. Nel 1612 ritorna in Sicilia per essere ammesso al Noviziato Gesuita di Casa Professa. Il motto Gesuita non cantat non si confà di certo al nostro Erasmo, la cui attività musicale lo mette in cattiva luce con gli alti gradi dell’Ordine dei Gesuiti,  tanto che nel 1616 il Padre generale di Roma scrive al Padre Provinciale di Messina una missiva con la quale lo esorta  a proibire a Padre Marotta di esibirsi durante le feste con musicisti esterni all’Ordine religioso: <<... mi dica chi l’ha permesso per farne la debita dimostrazione et Voscenza Reverendissima da qui avanti non permetta simil cosa>>. La battaglia musicale di Padre Marotta non si ferma qui, egli riesce a far acquistare alla Casa Professa un organo stabile, che sostituiva un fatiscente strumentino a tastiera portatile usato, e anche di rado,  durante le celebrazioni più solenni. Successivamente, nel 1620, viene trasferito a Mineo per ricoprire la carica di Rettore dove, oltre agli adempimenti imposti dall’Ordine,  continua ad acquistare strumenti e a  finanziare numerose attività musicali organizzando concerti e messe cantate. Detto così sembrerebbe che avesse le “mani bucate”  invece era anche un ottimo amministratore e il collegio di Mineo, sotto la sua guida, conobbe un periodo assai florido. Il Padre Generale, sconfitto ormai nel tentativo di stroncare le iniziative musicali di Padre Marotta scrive nel febbraio del 1620 un’altra lettera al Provinciale di Messina in cui proibiva a Erasmo di esibirsi personalmente ma non proibiva la sua musica: <<… Mi è stato rappresentato che l’opere del P. Marotta sono tutte spirituali e che cagionano consolatione e divotione e però mi è parso bene che si cantino e sonino […] purchè il Padre non canti e non suoni...>>. La battaglia musicale di Erasmo è vinta! Erasmo Marotta finisce i suoi giorni terreni a Palermo nel 1641. Siamo certi che in un angolo del Paradiso stia cantando ancora.
                                                                                                           
Bibliografia:
Marotta E. Mottetti concertati a 2,3,4,5 voci -1635 a cura di P.E.Carapezza – Collezione Musiche rinascimentali siciliane, Leo S.Olchki, 1993, Firenze

Gambino T., Amori musicali: l’intrigo Marotta – Una sfida alla Compagnia di Gesù, Il Pitrè – Quaderni del Museo Etnografico Siciliano –Trimestrale Anno V n.19 Ott.-Dic.2004, Palermo

domenica 14 agosto 2016

La Cruna dell'Ago - Anno n. 1 - n. 8 - Agosto 2016































UN PENSIERO PER NOI - Matteo Florena

UN PENSIERO PER NOI
Matteo Florena
Spett. Redazione de " La Cruna dell'Ago",
Ho avuto la gradita occasione di riscontrare l'ultimo numero della "Cruna dell'Ago"; piacevole lettura dei vari articoli, che hanno il pregio di far rivivere momenti interessanti della vita del vecchio Borgo di Ucria e degli uomini che ne hanno caratterizzato le vicende.
Desidero esprimere un complimento al fondatore Ranieri Nicolai ma anche ai giovani collaboratori che assicurano la continuità della iniziativa.
I diversi articoli danno la precisa sensazione di una vivacità di interessi culturali che sembravano sopiti.
A Domenico Orifici vorrei affettuosamente suggerire che non possiamo, in particolare noi di buona età, affidare visioni negativi nel futuro, ma anzi in relazione a tutto quello che si è fatto nel passato dare fiducia nella possibilità di far rivivere anche oggi momenti di efficienza e produttività.
Non sono vissuti nel passato giganti che hanno generato benessere ed oggi solo nani incapaci di respirare; caro Orifici le generazioni si succedono e sono sempre portate ad adeguarsi ai tempi ed alle circostanze ed a saper trovare le capacità per non soccombere ma anzi per eccellere.
Cito dal suo articolo: " il territorio si trasformò in una macchina che produceva ricchezza, i bozzoli del baco da seta, nocciole, olio e agrumi...."; ad ogni crisi segue una rinascita ed è a questo che si deve mirare.
Proprio in questo senso il nostro territorio possiede una risorsa di notevole importanza a livello internazionale "IL NOCCIOLO"; siamo noi che dobbiamo trovare le capacità per farlo diventare "ORO" e prospettarlo ai giovani come patrimonio da far trasformare in ricchezza e benessere.
Solo la passione e la fiducia possono trasformare i sogni con la realtà.
Ad Achille Baratta vorrei domandare se non ritiene che siamo noi a lasciare cadere il filo di Arianna per consentire il ritorno?
Ad ambe due, un abbraccio.

Florena Matteo

Save the date. LA GIORNATA DELLA CRUNA DELL’AGO – Fondatore Ranieri Nicolai



Save the date.
LA GIORNATA DELLA CRUNA DELL’AGO – Fondatore Ranieri Nicolai
La redazione della Cruna dell’Ago – Fondatore Ranieri Nicolai ha il piacere di comunicare ai suoi lettori, amici e sostenitori, che giorno 11 settembre 2016 si terrà la “Giornata della Cruna dell’Ago - Fondatore Ranieri Nicolai” perché il nostro mantra è “Crescere insieme per crescere tutti”, il cui programma sarà presto comunicato nel nostro blog e sui nostri profili social.
Vi aspettiamo numerosi per festeggiare l’entusiasmante attività svolta e quella che ci apprestiamo a realizzare assieme a voi.
Seguiteci con l’interesse di sempre.

La Redazione

IL CALIFFATO DEI NEBRODI - Giuseppe Salpietro

IL CALIFFATO DEI NEBRODI
Giuseppe Salpietro
Suscitò una malcelata invidiuzza in buona parte dei maschi italiani, la notizia diffusasi negli anni Settanta del secolo scorso, che in località Cuccubello del Comune di Sant’Agata di Militello, un califfo che portava il nome non proprio arabeggiante di Pippineddu convivesse sotto lo stesso tetto con un piccolo esercito di femmine.
Uscendo dall’attuale svincolo autostradale dell’importante cittadina tirrenica posta quasi a metà strada tra Messina e Palermo, imboccata la bretella in pendenza verso il mare, quasi a ridosso della Strada Statale 113 un cartello indica ancora oggi la località dove decenni addietro si riversarono per verificare la veridicità della notizia, decine di inviati speciali di tutte le testate giornalistiche e di buona parte delle televisioni europee, pronti a carpire ogni dettaglio, ogni segreto che potesse trapelare sulla vicenda del califfo Pippineddu, indagando financo sui possibili aiutini utilizzati da costui per superare brillantemente ogni prova.
Aveva trentatre anni all’epoca dei fatti il “sultano”, all’anagrafe Giuseppe Scaffidi Fonte, sposato e già padre di quattro figli.
Figlio di contadini, non aveva un mestiere stabile, anche se aveva fatto all’occorrenza di tutto: il contadino, il venditore ambulante di ogni merce, lo scaricatore, il meccanico, il manovale e, nel tempo rimasto a disposizione, oltre a curare le incombenze del suo vasto e complicato harem, con la sua moto-Ape andava anche in giro a raccogliere scarti ferrosi e roba vecchia. Non per infierire sul personaggio nostrano, ma non solo non era ricco, ma non era neanche un adone* Pippineddu, anzi, appariva basso e quasi tarchiato. Alla presenza ordinaria, quasi scarsa, non veniva in soccorso neanche la loquela fluida o forbita, e meno che meno le doti culturali, tant’è che tra gli invidiosissimi compaesani circolava la domanda di rito “ma chi ci vistiru a chistu ‘sti fimmini?”
L’arcano non fu mai svelato, ma resta certo che un numero esagerato di donne, quasi tutte braccianti agricole dei paesi del circondario, si assiepavano nei pochi ambienti del modesto tugurio, aspettando pazientemente che il califfo – così fu definito dalla stampa nazionale -, prima o poi, le scegliesse per concedere loro le sue amorevoli attenzioni. Solo la moglie, Concetta Cuffari, non faceva parte dell’harem, pur senza mai divorziare, aveva già lasciato il marito da tempo e si era trasferita successivamente in America con i figli.
Neanche il problema del mantenimento lo impensieriva più di tanto facendogli venire meno l’inesauribile appetito, poiché queste, come se fosse una comunità hippy diffusa tra i figli dei fiori sul finire degli anni Sessanta, avevano trovato lavoro nella località tirrenica perlopiù come domestiche, provvedendo quindi a sostenersi autonomamente e contribuendo, nel contempo, alle certo rilevanti necessità del folto gruppo
Un tarlo al tempo arrovellava tutti: ma possibile che non ci fu mai una sciarra, un conflitto, una tiratina di capiddi ?
A sentire le compartecipi, sarà stato bravo Peppino, o pazienti loro, non esisteva alcuna conflittualità interna al gruppo fin quando un giorno dall’evoluta città tedesca di Colonia, considerata capitale culturale, economica e storica della Renania – quindi non da Valguarnera Caropepe – si unì alla squadra una donna dalle fattezze teutoniche, la bella Angelika di appena 22 anni, già madre di due bambini che aveva lasciato ai genitori in Germania per rincorrere l’amore siculo.
Naturalmente, è facile intuire che contemporaneamente all’imprevisto arrivo di Angelika la quale, oltre che bionda, era alta in modo smisurato e sulla sua carnagione cerulea spiccavano due splendidi occhi blu, non tardarono ad arrivare le prime liti furibonde.
 Quante erano le compartecipi consenzienti nessuno è mai riuscito esattamente a saperlo. In quelle minuscole stanze, chiaramente, non c’era posto per tutte e molte andavano e venivano.
Risultò ancora più sconcertante che una di queste “amiche” fosse stata ceduta al padre di Pippineddu in cambio di una modesta Ape Piaggio, e fu proprio quell’incredibile ed indecente mercimonio a metterlo nei guai con la giustizia: il figlio chiedeva, pena la decadenza dell’accordo, oltre alla moto-Ape anche un’integrazione economica, un equo ristoro, una sorta d’indennizzo per la grave perdita, ed il padre non intese acconsentire al vile ricatto. Litigarono furiosamente ed apertamente sotto gli occhi di tutti i paesani, mettendo in piazza l’indicibile vicenda che costò a Pippineddu una denunzia dall’uomo che lo aveva messo al mondo.
Scoperto quanto già notorio e ipocritamente taciuto o mormorato in tutto il territorio dei Nebrodi, Pippineddu finì in galera: truffa, plagio, sfruttamento e induzione alla prostituzione, violenza privata ed alterazione dello stato civile, furono i reati che gli vennero contestati con ordine di cattura.
Quando il caso assurse agli onori della cronaca e Sant’Agata di Militello apparve come la Svezia del retrogrado Sud, i magistrati parlarono di uno "squallido esercizio della libertà sessuale in un ambiente di miseria, di abbrutimento fisico e morale". 
Quel vecchio cascinale era senza ombra di dubbio un ambiente di miseria e di abbrutimento, come accerteranno i giudici, fra le concubine c’erano infatti anche una madre e la figlia, una zia e la nipote e due sorelle. Ma nessuno poté dimostrare che Pippineddu sfruttasse per soldi le sue donne, vendendo il loro corpo a questo e quello o addirittura cedendo i loro bambini che erano anche suoi, in cambio di una lauta ricompensa.
Nei tre gradi di giudizio il processo durò complessivamente sei anni, ed alla fine si concluse lasciandolo pressoché indenne il califfo con una assoluzione quasi totale. Caddero, infatti, una dopo l’altra, le accuse che gli aveva mosso il suo anziano genitore e fu condannato soltanto ad un paio di mesi per i reati di violenza privata e alterazione dello stato civile.
Negli anni successivi, Pippineddu riuscì poi ad avere un lavoro fisso presso il Comune come operatore ecologico. I suoi figli, ufficialmente accertati e censiti erano trentasei, ventisette dei quali portano ancora il suo duplice cognome, Scaffidi Fonte.
Immaginate quante volte il povero Pippineddu dovette varcare la soglia del reparto di ostetricia del locale Ospedale di Sant’Agata di Militello considerato che tre, quattro, erano gravide contemporaneamente. Poteva farci le tende se non avesse avuto altri impegni domestici.
Trasferitosi in un appartamento dell’Istituto Autonomo Case Popolari, sempre a Sant’Agata di Militello, pare abbia fatto vita più morigerata – quasi casa e chiesa – unito in un rapporto più stabile solo con la figlia e i suoi cinque figli, dell’ex concubina più anziana.
Ufficialmente quindi, interruppe le frequentazioni frenetiche ma piacevolmente estenuanti, che avevano caratterizzato la sua giovinezza.
Non tollerando più però, le continue ed ingiustificate scenate di gelosia di quest’ultima, anche questa relazione s’interruppe bruscamente, preferendo egli a quel punto andare a vivere con una quarantenne, madre di due ragazzi già grandi. Figli suoi, naturalmente.
Che fine fece l’angelica Angelika?
Tempo prima, era arrivata sulla costa tirrenica in vacanza con un siciliano locale padre dei suoi bambini. Poi, finita la vacanza, lui era ritornato in Germania con i piccoli e Angelika era rimasta in Sicilia mettendo scompiglio tra le amiche del califfo nostrano, ammaliata dalle sue irresistibili virtù amatorie.
Durante il periodo di detenzione di Pippineddu, Angelika così com’era arrivata, se ne tornò in Germania, ma in compagnia. Lasciò l’ingrata Sant’Agata di Militello senza avvertire nessuno, certa che solo lui Pippineddu l’avrebbe rimpianta, portandosi al seguito però il figlio della compagna più anziana, fratello minore della diciottenne che aveva già dato a Pippineddu due figli e poi altri tre. Il ragazzo aveva compiuto da poco 16 anni, sei meno di Angelika.

La conta (quella ufficiale naturalmente) dei figli del califfo ruspante e nostrano nebroideo si è fermata definitivamente a trentasei, ma resterà l’uomo che con le sue incredibili gesta d’alcova ha mobilitato, più di ogni altro, nel 1979, i giornali e le televisioni di tutto il mondo. 

CASTEDDU - Angela Niosi

CASTEDDU
Angela Niosi

Come un'isola emersa dal piano 
tu ti stagli improvviso ed altero
nel dialogo fitto col cielo.
Larghi fianchi, impassibile cima
scorticata da pietre in discesa 
sei un colore irrequieto di chiome
e cespugli collusi col suolo.
Ci sovrasti e racconti segreti 
che hai sepolto, si dice, nel cuore. 
È una storia di antico narrare 
di tesori e magie
di cunicoli bui e spettrali.
Ben ricordo il parlar degli anziani 
e da allora ho imparato ad amare
questo monte solitario e speciale.
Sei percorso da curve scontrose 
il paese ai tuoi piedi è prostrato
e lassù proprio in alto, nel piano,
i miei occhi di vertigini hai saziato.




QUANNU ERUMU CARUSI - Carmelina Allia

QUANNU ERUMU CARUSI
Carmelina Allia
Mi piace condividere con i lettori di La Cruna dell’Ago una mia poesia, natami nel cuore circa 20anni fa, ma sempre a me molto cara perché, riportandomi nel tempo, mi fa rivivere momenti di vita vissuti nella spensieratezza della fanciullezza, intessuta da sentimenti profondi, tenere cure e sogni da rincorrere, che portavano naturalmente a gustare ed apprezzare "le piccole cose" che la vita ordinaria del nostro paesello offriva a noi ragazzini che per studiare eravamo costretti a lasciare il "nostro nido". 
E per quel tempo vissuto nel calore della famiglia, dei parenti e degli amici, ringrazio sempre il Signore della Vita e auguro ai giovani d'oggi esperienze del genere che, nutrendo il cuore di cose semplici e vere, infondono speranza nel futuro, danno senso a ciò che fai e aiutano a guardare il mondo con fiducia e occhi sempre nuovi, scoprendo il bene ovunque si trova.
La poesia si intitola: <<Quannu erumu carusi>>. 
Nel 2013 l'ho presentata, sempre in segno di " condivisione e di restituzione", al Concorso Nazionale di Poesia "Francesco Pinzone", ed ho avuto la gioia di vederle assegnato il primo premio, per tanto qualcuno già la conosce, e spero riesca gradita a chi la leggerà.
Con affetto e simpatia  
Carmelina Allia




"Quannu erumu carusi"
Stasira mi sentu u cori firutu
e comu n'aceddu c'un poti vulari 
sutta l'ala di ricordi 
cunfortu voli truvari.
Quannu n'autri erumu carusi,
forsi puru na picca prisuntusi,
affettu sinceru avevumu 'nto cori
e i cosi semplici erunu tesori.
Bastava un nenti
pi farinni cuntenti:
nu raggiu di suli,n'oduri di viola,
un cantu 'nta notti, na bona parola,
na passiata cu i chhiú ranni,
a "mosica" unni mastru Vanni.
E quannu a mmensa a strata si jucava 
da'mamma na bedda vuciata si bbuscava;
se poi a sguddari nuciddi aiutavumu 
a fera pa festa u Signuri nni n'assicuravumu.
E dopu i cosi i scoli, 
attornu o pedi u braceri,
scutavumu i cunti chi parianu veri.
E a jurnata finia 
cu u Rusariu a Maria,
e quannu a mamma, 'nlatinu, 
ccuminciava a litania 
a ridiri, arreri a porta a cucina,
nuddu cchiú nni trattinia.
Bivennu ccussí a funtana d'a vita 
nni priparavumu pi sta ranni partita. 
E ora vulimu a Diu ringraziari 
p'i cosi duci chi nni fici ssapurari
quannu tuttu sapia di primavera,
di spiranza cculurata, cu li stiddi pi raggera
e l'amuri d'amici e parenti
era nna ricchizza chi nun canciavi cu nnenti.
E ai carusi d'ora vulimu agurari 
di circari sempri ddi tesori 
chi 'nta ogni staciuni di la vita 
saziunu fami e siti di lu cori.

*mosica=altalena


INTERO O DECIMALE? QUESTO E' IL PROBLEMA - Luigi Pinzone

INTERO O DECIMALE? QUESTO E' IL PROBLEMA
Luigi Pinzone

24 Maggio 1974, località Forno Alto di Capo d'Orlando. Il sole maggiolino scaldava le campagne della contrada, mentre nell'aula scolastica l'insegnante teneva la solita lezione. Lo chiameremo Calogero Lo Turco, nome di fantasia, questo maestro, che con spirito di sacrificio affrontava quotidianamente il difficile mestiere di insegnare ai ragazzi per forgiarne degli uomini. Nel bel mezzo della mattinata, senza alcun preavviso, arrivò a bordo di un'auto guidata da un bidello facente funzioni di autista, il direttore didattico in funzione di Ispettore incaricato dal Provveditore agli Studi. Daremo un nome di fantasia anche all'Ispettore e lo chiameremo Crisostomo Croce. L'insegnante fece alzare all'impiedi i suoi allievi in segno di rispetto e di benvenuto al Direttore, mentre lo stesso, saltando i preliminari, domandò al maestro chi fosse l'alunno più bravo. Il maestro rispose che gli alunni erano tutti bravi, al che l'Ispettore si rivolse ad una bambina seduta al primo banco.
“Dimmi un po', bambina, come ti chiami?”
E la bimba: “Mi chiamo Maria Giuseppa Racito”
E l'Ispettore: “Una domanda di aritmetica. Mi sai dire se il numero che scriverò sulla lavagna è un numero intero o decimale?”
E diretto alla lavagna scrisse 58,00.
La bambina non era molto ferrata in aritmetica, pensò, ripensò e poi disse: ”Il numero da Lei scritto è un numero decimale”.
Non l'avesse mai fatto. L'Ispettore cominciò a strapparsi metaforicamente i capelli.
“Ma cosa dici? Sei una perfetta ignorante. Il numero 58,00 è un numero intero”.
Il maestro che fino ad allora era rimasto calmo e tranquillo, incominciò ad agitarsi e intervenne in favore della bambina dicendo: “Se c'è un ignorante in quest'aula è Lei, Signor Ispettore dei miei stivali. Il numero 58,00 è un numero decimale, ed ora glielo dimostro”.
Così dicendo prese la bacchetta e cominciò a percuotere l'Ispettore, provocandogli lesioni personali, riducendolo un “Santu Lazzaru”. In dialetto siciliano la dinamica delle percosse sarebbe descritta come “E d'unni vegnu? Vegnu d'u Mulinu”.
Tribunale di Patti, Novembre 1975. Presidente Messina, Giudici Sindoni e Deodato, PM Lionti.  Avvocati di parte civile Salvatore Gullino e Francesco Collica, avvocati dell'imputato Gaetano Fortunato e Fortunato Germanotta.
La sentenza di condanna dell'imputato per oltraggio pluriaggravato, calunnia e lesioni nei confronti dell'Ispettore Croce fu di tre anni e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di giudizio.
La linea difensiva dell'imputato era impostata sull'ipotesi che la parte offesa si fosse procurata da sé le lesioni facendo proprio un episodio simile raccontato dal grande commediografo Nino Martoglio ne “I Civitoti in Pretura”. L'imputato nella commedia sosteneva come fosse stata la vittima a buttarsi sul coltello rimanendo uccisa. Nel caso che ci impegna non sarebbe stato il maestro a percuotere con la bacchetta l'Ispettore, ma quest'ultimo che sarebbe andato incontro alla bacchetta per autolesionarsi. Le dichiarazioni dei bambini, come persone informate sui fatti, furono talmente contraddittorie da far pensare al Collegio Giudicante che il maestro fosse intervenuto presso gli stessi onde convincerli a dare conferma alla propria versione dei fatti. I difensori della parte civile fecero poca fatica a smontare il fragile castello difensivo dell'imputato.
Non ci rimane che concludere, non prima di aver cercato di dare una risposta ad una legittima curiosità: Aveva ragione il maestro Lo Turco a sostenere che 58,00 è un numero decimale o il Croce a dire che si tratta di un numero intero?
Alla luce dei miei fievoli ricordi di matematica e con la precisazione che ho sempre nutrito una fiera avversione nei confronti di tutte le materie scientifiche, la regola aritmetica dovrebbe essere che un numero intero seguito dalla virgola e da numeri decimali uguali allo zero può essere considerato decimale. Pertanto in linea teorica aveva ragione il maestro.
L'errore che gli costò una sentenza di condanna fu chiaramente nel fatto che trascese nella dimostrazione della sua lectio.

Carpi di Modena - lì 22 Luglio 2016

COMMENTO ALLA FOTO DI MARGHERITA HACK CON UNA FRASE A LEI ATTRIBUITA - Giovanni Rigoli

COMMENTO ALLA FOTO DI MARGHERITA HACK CON UNA FRASE A LEI ATTRIBUITA
Giovanni Rigoli



Gentile Margherita, si legge scritto sulla tua foto: << Non è necessario avere una religione per avere una morale. Perché se non si riesce a distinguere il bene dal male, quella che manca è la sensibilità, non la religione. >> Epperò, tuttavia, nella foto noto  che istintivamente guardi verso l'alto, è un po' come se ti aspettassi una conferma. Da chi ?
Tiro ad indovinare: tu pensi che ti sei fatta da sola e con un po' di ingratitudine guardando chi non vedi, ma senti, non resisti all'impulso istintivo di ricambiare con un sorriso quelle onde d'Amore paterno che ti investono senza che te le aspettavi. Non ti sei fatta da sola cara Margherita, ma sei il frutto di Amore che dalla notte dei tempi, porta avanti un progetto tanto ma tanto grande del quale nessun uomo può comprenderne la grandezza e la complessità.
Quella che tu chiami sensibilità altro non è che un prelibato frutto pedagogico coltivato nel tempo con la speranza che un giorno possa prendere forma completa e man mano che si avvicina l'ora della sua maturazione arricchisce l'attesa con una pregustazione che lascia presagire estasianti delizie a chi ha un palato capace di riconoscere e apprezzare quella apparentemente utopica socialità per la quale l'uomo è destinato, dico l'uomo, ma è giusto dire gli uomini i quali esistono per realizzare una vita pregna di comunione fraterna, basata esclusivamente sull'Amore scambievole. Questo ci fu già accennato dai profeti e poi insegnato in modo completo e pieno, con il compimento dei tempi, attraverso la rivelazione definitiva dell'Uomo Dio che non si limitò al solo uso della parola, ma testimoniò e confermò con l'esempio di tutta la sua vita vissuta con ineguagliabile coerenza. Sì cara Margherita, hai capito bene. Si tratta di quel Gesù chiamato Cristo del quale puoi approfondirne la conoscenza, basta che lasci per un po' di guardar le “Sue stelle” e ti dedichi nel silenzio all'ascolto della voce del cuore ed anche allo studio delle sacre scritture, in particolare vedi i vangeli di: Marco, Matteo, Luca e Giovanni.
Capisco che leggendo questo commento qualcuno potrebbe pensare che io non sappia ancora della dipartita di Margherita, invece no: questo scritto vuole essere un regalo proprio per i suoi eredi, cioè per coloro che postando frasi ad effetto, magari anche di personaggi famosi, intendono divulgare ulteriormente l'ateismo.
Concludo con una domanda:  Qual è il vantaggio per il mondo se si toglie la fede in Cristo dal cuore dei credenti e di conseguenza il conforto, la consolazione e la speranza? 
… Io sono convinto che se si uccide la speranza resta la disperazione, l'infelicità. Ecco perché ognuno di noi dovrebbe sentire come proprio dovere, alimentare la speranza e sentirsi schierato per la cultura della vita del  corpo e dell'anima.



‘U JUCATURI di Domenico Orifici

‘U JUCATURI
di Domenico Orifici



‘Nu picciottu chi facia l’impiegatu
ô lottu avia jucatu.
Fu basatu d’ ‘a furtuna
 E vinciu centu miliuna.
Si sintiu chiù putenti di lu
Padri onniputenti.
Ô capufficiu ‘na vardata e ‘nto ’n’occhiu ‘na sputata.
 “Cu li pizzenti non ci staiu di st’ufficiu mi ni vaiu”.
Dissi tuttu risulutu
A l’amici c’avia avutu
Cu ‘na valigia di dinari non sapia c’avia a fari.
S’accattau ‘na gran Ferrari e si misi a giriari.
A San Remu si firmau e ô casinò s’avvicinau.
Si mittiu a jucari cu l’intentu di sbancari.
‘A pallina chi ballava li so’ numiri li satava.
Ê tri jorna chi jucava ‘a so testa ci fumava.
A un’ trattu s’accurgiu chi lu sordu ci finiu.
Pi putirisi rifari si jucau puru ‘a Ferrari.
Poi sturdutu si susiu e d’ ‘u casinò si ni nisciu.
 valigia sbacantata ci tirau ‘na gran pidata.
Nun avennu chiù chi diri non sapia p’unni iri.
Arrivau davanti ô mari e si misi a santiari.

IL GIOCATORE
Un giovane che faceva l’impiegato
al lotto aveva giocato,
 fu baciato dalla fortuna
e vinse centomilioni
Si sentiva più potente del Signore Onnipotente.
Al capufficio una guardata e in un ‘occhio una sputata.
“Con i pezzenti non ci stò,
 da quest’ufficio me ne vò”.
Disse tutto risoluto
Agli amici che aveva avuto.
Con una valigia di denari non sapeva cosa fare.
Si comprò una gran Ferrari e si mise a viaggiare.
A San Remo si fermò e si avvicinò al casinò.
Si mise a giocare con l’intento di sbancare.
La pallina che girava i suoi numeri li saltava.
Dopo tre giorni che giocava la testa gli fumava
Ad un tratto se n’è accorto che di denaro era a corto.
Volendosi rifare si giocò la sua Ferrari.
Poi stordito si alzò e uscì dal casinò.
Alla valigia ormai svuotata gli tirò un gran pedata.
Non avendo più che fare non sapeva dove andare.

Arrivò davanti al mare e si mise a bestemmiare.



BE THE CHANGE - Valentina Faranda

BE THE CHANGE
Valentina Faranda


L’ho detto precedentemente, quando ero bambina credevo che il mondo fosse perfetto, che ci fosse un senso per ogni cosa e che Dio non permettesse a nessuno di farsi male…
Il tempo ha violato quel sentimento innocente ed edulcorato del mondo!
Perdere qualcuno di importante mi ha fatto pensare che quello che avevo sentito su Dio fosse una bugia o che se davvero un Dio si fosse trovato in cielo, certamente se ne stava sulla sua poltrona di nuvole ad aspettare il giorno del giudizio, fermo, a braccia conserte, in eterna attesa!
Con lo studio, guardando la televisione, osservando il mondo che mi circondava ho cominciato a capire che il mondo non era affatto quello che mi aspettavo. Che non c’era nulla di perfetto!
E … ci sono stati quei momenti in cui avrei voluto scappare via, essere un'altra, vivere in modo diverso, in un posto diverso…
E poi…
Lo ricordo come fosse oggi, avevo 17 anni quando sentii per la prima volta la famosa frase di Gandhi, quella che dice: “Be the change you would to see in the world” (sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo) e lo ricordo ancora lo stupore nel rifletterci… Io, io che crescendo avevo perso quell’idea di un mondo perfetto, io che fino a quel momento, avevo creduto che il mondo fosse come lo vedevo e nessuno sforzo umano avrebbe mai potuto cambiarlo, io che pensavo solo a fuggire e nascondermi… Non so il come né il perché ma a poco a poco quella non è stata più solo la “bella frase” di qualcuno ma un pensiero che in qualche modo ha rivoluzionato il mio modo di pensare e mi ha reso parte di quella che sono oggi!
Certo, avevo solo 17 anni e tanto da imparare su me stessa... Avevo paura per ogni cosa e mi ci sono voluti anni per comprendere la possibilità di quel pensiero di tradursi in realtà!
Nella situazione in cui viviamo è facile sentirsi deboli e mollare e spesso vacillo anch’io. A volte mi sento stretta in una quella morsa di “Lascia perdere, non ne vale la pena!”… succede alla vista di tutti quegli amici che non si parlano più perché infondo nessuno ha coraggio di chiarirsi (e l’ho visto tante volte, davvero troppe) o di persone giudicate per i loro modi di fare, i loro orientamenti sessuali, i loro stili di vita…e poi…e poi sento di paesi in ginocchio per questo cancro che divora dall’interno e a cui sembra non ci sia cura se non la guerra…e sento di poliziotti uccisi in nome di un colore, di uomini, donne, bambini inghiottiti dal mare, di anziani che vivono in roulotte…di Alzhaimer… di natura deturpata...
E poi c’è il mio paese, quel piccolo angolo di mondo che per vent’anni è stata casa mia, che lo è ancora oggi, e lo vedo sgretolarsi, così, a poco a poco, come i ghiacciai di questa terra…e più lo guardo e più mi sembra stanco, vecchio, solo…e più lo guardo e più ricordo cosa lo rendeva speciale un tempo…cosa lo rendeva casa!
E sono proprio questi i momenti in cui il mondo mi sembra sempre meno perfetto, sempre più divorato da tutta una tristezza che pare non alleviarsi mai; sono questi i momenti in cui sembra che tutti quelli che ti suggeriscono di mollare, perché in fondo non ne vale la pena, abbiano la soluzione giusta…
E poi…
E poi arriva uno sconosciuto come tanti altri… e ti aiuta quando sei in difficoltà, così, solo perché sei in difficoltà…e ti rendi conto che quello sconosciuto è stato capace di rendere la tua giornata diversa, più bella…e allora…realizzi che se anche quello rimarrà, per tutto il resto della tua vita, uno sconosciuto…in realtà ha cambiato qualcosa dentro di te, perché anche se per un solo momento, hai compreso che esiste un modo per cambiare le cose, che c’è speranza per migliorare quello che siamo…
E non è solo lo sconosciuto che non incontrerai più a renderti orgogliosa di essere umana, sono tutti quegli esempi di uomini e donne che hanno fatto tanto per gli altri e non parlo di santi, di grandi eroi, di medici di guerra o di chi si associa per combattere fame, povertà e criminalità… quelli sono i grandi esempi…
Vi sto parlando di quei piccoli esempi, di tutti i vicini che ti guardano il gatto quando sei fuori casa, gli amici che nel cuore della notte corrono in pigiama a consolarti, l’abbraccio di tua sorella in un brutto momento, gli sconosciuti a cui chiedi informazioni, le migliaia di porte che si sono aperte a Nizza per accogliere chi scappava... le parole di un padre che ti racconta di un figlio perduto troppo presto… e l’esempio di quel figlio, incontrato solo nei racconti di suo padre e di tutti quelli che gli volevano bene…tutto questo, tutto questo mi racconta di un mondo in cui il dolore è tanto ma la speranza pure…di un mondo imperfetto, in cui tante cose vanno aggiustate ma che c’è ancora qualcuno per cui vale la pena!
Oggi ho un’idea tutta mia su Dio… ma non mi dilungherò a spiegarvela qui.
Oggi, vivo con quella consapevolezza che non servono grandi gesta per cambiare il mondo. Qualcuno diceva che prima di spostare le montagne dobbiamo imparare a spostare i sassi…poi saremo in grado di sollevarle le montagne!
 “Be the change”, sii il cambiamento che vuoi vedere!
 Quello che ho imparato, fino ad oggi, è che se non spingi per cambiare qualcosa, se non investi per primo in quel qualcosa in cui credi fermamente, non puoi aspettarti un mondo diverso! Non puoi augurartelo né lamentarti!
E come al solito mi perdo in tutti quei pensieri che mi affollano la mente. A volte vorrei solo essere più chiara e più professionale…vorrei parlarvi come si parla in un giornale e alla finisco sempre per parlarvi come se voi foste il mio diario personale…
Ma ho capito che non imparerò mai a parlarvi nel modo giusto, sarò sempre quella che fa quegli sproloqui incomprensibili che tutto sono fuorché articoli!