domenica 14 agosto 2016

FANTASTICO INCONTRO - Sebastiano Plutino

FANTASTICO   INCONTRO
Sebastiano Plutino
Sghignazzando Nicolò gridava:
-“Forza Basilio! Possibile che rimani sempre indietro?”
- Certo, sono sempre io a portare lo zaino con le provviste” - rispose indispettito Basilio.
In effetti Basilio aveva ragione a rimbrottarli perchè Filadelfio e Nicolò, suoi compagni di scuola e di gioco, approfittavano della sua maggior prestanza fisica per affidargli i “carichi pesanti”. Vivevano le loro avventure preferite nelle pinete e lungo i sentieri dei Nebrodi. Aria pura e natura incontaminata che ogni volta regalava qualcosa di nuovo da scoprire. L’ultima volta, però, Basilio aveva esplorato da solo un boschetto di quel paradiso facendo un incontro che lo aveva lasciato ester-refatto.
- “Vi dico che è vero, è tutto vero!” – Continuava a ri-petere.
- “Ma dai – ribatteva Filadelfio – non vorrai farci credere veramente di aver incontrato un folletto?”
- “Certo – rincarava Nicolò – un folletto, una fata, una strega, tutti sulla carrozza a forma di zucca della cara principessa Cenerentola e sai chi era il cocchiere? Mago Merlino, ah ah ah.”
               
Non aveva fatto in tempo a terminare la frase, che lo schizzo d’acqua li investì facendoli trasalire. Si erano fermati lungo la riva di un ruscello per fare uno spuntino e riprendere le forze dopo la salita e Basilio, alquanto stizzito per l’incredulità dei suoi compagni, aveva voluto rinfrescar loro le idee.
- “Vi ho detto che ho incontrato un folletto! L’ho visto, ci ho parlato così come sto facendo con voi! Volete capirlo che non è una burla? Si chiama Bhelonin e mi ha detto che ci saremmo incontrati di nuovo.”
                Mentre i compagni stavano per replicare, Basilio ebbe un sussulto:
- “Eccolo! È lì, su quella quercia. Non lo vedete?”
- “Dove? Io non vedo altro che querce e faggi” - disse Nicolò.
- “Io no – gli fece eco Filadelfio – vedo anche qualcosa che si muove. Ma sì, è un bel porcellino nero, forse è quello il folletto che hai visto, caro Basilio.”
- “Ma no! È lì seduto su un ramo, i capelli biondi e ricciuti, col berrettino bordato di campanellini. È vestito di rosso, ha scarpette di cristallo e un sorriso divertito.”
                Sul ramo di quella quercia c’era proprio un folletto, ma i due amici non lo vedevano. Era visibile solo a Basilio. Dovete sapere che i folletti sono esseri molto timidi, oltre che dispettosi, si rendono visibili solo a persone buone d'animo e soprattutto quando decidono loro.
- “Bhelonin, Bhelonin – gridò Basilio – per favore di’ che ci sei, fatti vedere anche da loro. Sono miei amici, siamo come una sola cosa.
Bhelonin, con un sorrisetto birichino, disse:
- “Devo proprio crederti? Sono buoni come te? Simpatici come te?”
- “Certamente” – rispose Basilio.
- “Sai bene cosa ti capiterebbe se non fosse vero” – replicò.
                I folletti bisogna trattarli bene perché ti diano la loro amicizia. Sono sensibili, giocherelloni e curiosissimi di tutto. Possono regalare armonia, felicità, voglia di ridere e spensieratezza, ma se li tradisci o li offendi diventano dispettosi e capaci di renderti la vita insopportabile.
                Basilio, quasi con veemenza, rafforzò le sue parole per convincere Bhelonin:
- “Ti dico che son più buoni e generosi di me, altrimenti non sarebbero miei amici.” Fu così che Bhelonin apparve anche a Nicolò e Filadelfio. Si presentò subito in tutta la sua simpatia dicendo loro:
- “Allora che ne pensate adesso? Le vostre bocche devono restare aperte ancora per molto?”
- “Ma, ma, ma, ma allora esisti veramente? Non eri un’invenzione di Basilio.”
- “Ma, ma, pa, pa… avete imparato a parlare o non ancora? – Disse ridendo e saltando giù dal ramo con una capriola.
                I due amici non credevano ancora ai propri occhi: avevano davanti a sé un FOLLETTO. E che folletto! Un esserino di 80 cm che girava intorno a loro, pizzicandoli sul fondoschiena e sulla pancia solleticandoli.
“Allora, esisto o no?” – E giù con risate che si univano a quelle fragorose di Basilio ormai rasserenato perché anche i suoi amici del cuore avevano conosciuto Bhelonin.
                Una volta esaurita questa sorta di presentazione, i quattro cominciarono a parlare tra loro. Basilio cercava di dire tutto ciò che aveva saputo da Bhelonin il giorno prima. Nicolò e Filadelfio ponevano raffiche di domande senza aspettare le risposte. C’era un clima di felicità come solo tra amici può realizzarsi.
                Dopo circa mezz’ora Basilio, Nicolò e Filadelfio avevano imparato tante cose sul mondo dei folletti; ve ne accennerò qualcuna.
                Prima di tutto la misura del tempo non è come la nostra: i secondi per loro sono tempi molto lunghi. Abitano i boschi e da qualcuno son chiamati “Il piccolo popolo” perché organizzati in società; si nutrono dei prodotti della terra e se decidono di entrare in contatto con gli umani, sono cordiali e ospitali.
                Il nome Bhelonin deriva dalla radice bhel-, ("gonfiare, essere gonfio") dalle origini germaniche della sua famiglia e mai nome fu più azzeccato, considerato il suo caratterino vispo e focoso. I folletti hanno una carat-teristica: indossano una cintura che permette loro di rendersi invisibili. Spesso, per divertirsi, come fantasmi frequentano le case degli uomini, le stalle, a volte liberando gli animali rinchiusi per farli scorrazzare in libertà; scherzano con tutti, magari tirando le coperte a chi dorme o intrecciando le criniere ai cavalli.
L’aria frizzante del bosco, la camminata lungo i sentieri e la piacevole compagnia avevano stimolato un certo appetito e dagli zainetti tirarono fuori tante preliba-tezze. Basilio addentava con voracità un filone di pane con la caponata, piatto forte della mamma; Nicolò si dedicava, invece, alle polpettine fritte di finocchietto selvatico e Filadelfio passava dalla parmigiana di melanzane alle frittelle di fiori di zucca, senza tralasciare un assaggino di maiorchino, di tuma fresca al peperon-cino e ricotta e anche dei profumati e gustosi “bissini” (particolari funghi dei Nebrodi).
                È risaputo che a tavola non s’invecchia e l’allegria la fa da padrona, per cui Bhelonin, ormai sicuro della bontà d’animo dei tre, propose qualcosa di fantastico: far conoscere loro un po’ del mondo dei folletti.
Era evidente che si era instaurato tra loro un clima di fiducia e di amicizia.
- “Che ne dite se vi presento gli abitanti del villaggio?” – Propose il folletto.
                L’urlo di approvazione dei tre amici riecheggiò per il bosco attraversando i cespugli di rovo, di ginestra spinosa e mirto lambendo l’agrifoglio e il pungitopo. Anche un merlo fischiatore volò via radente il prato, mentre le gazze bianche e nere, disturbate da quel vociare insolito, scapparono gracchiando.
                Bevvero a piccoli sorsi l’acqua ghiacciata della sorgiva e riassettarono con cura gli zainetti prima di controllare di non aver lasciato nulla per terra. Le uniche tracce del loro passaggio erano le briciole gradite agli abitanti del bosco perché avrebbero rappresentato un inaspettato banchetto per la Cincia bigia e il Codibugnolo di Sicilia che, seppur insettivori, non disdegnano qualche assaggino fuori dieta.
                Bhelonin saltellava e li guidava alla scoperta di quell’habitat ricco di curiosità. I tre amici lo seguivano perdendolo di vista solo quando il suo carattere giocherellone aveva il sopravvento e scompariva alla loro vista. Il folletto, infatti, si divertiva, di tanto in tanto, a tornare invisibile indossando la cintura. I ragazzi, all’improvviso, perdevano l’orientamento e lo pregavano di riapparire, ma lui dispettoso si godeva lo spettacolo seraficamente seduto ai piedi di un albero o su qualche ramo. Spesso intraprendeva simpatiche discussioni con gli animali, come si sa i folletti conoscono il linguaggio degli abitanti del bosco. Si fermava a scambiar quattro chiacchiere con Erin, il riccio o con Emma, la volpe. Quando ricomparve stava parlando con Lara, la martora, che aveva qualcosa da ridire sulla presenza dei tre amici nel suo territorio. Camminando arrivarono in un grande slargo circondato da alte querce e aceri: era il villaggio dei folletti.
                Sembrava non ci fosse anima viva, il silenzio era rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dallo stormire delle foglie nel vento, ma i ragazzi sentivano la presenza invisibile di qualcuno. Bhelonin esordì:
- “Tutto a posto, potete farvi vedere, sono amici affidabili e buoni.”
                A quelle parole, uno dopo l’atro, decine di folletti si manifestarono e iniziarono a danzare, vocianti, attorno a loro. Era uno spettacolo indescrivibile di gioia e allegria, un girotondo festoso e colorato creato dagli abiti folkloristici indossati dai folletti.
                Bhelonin invitò i ragazzi all’ombra di una pianta frondosa, il suo albero. Infatti, era tradizione nel popolo dei folletti che alla loro nascita il padre piantasse un alberello di acero. Alla fine di ogni estate ogni folletto era tenuto a far visita al suo “albero gemello”. La rivelazione di tutto ciò dimostrava ai ragazzi che ormai riscuotevano una grande fiducia presso i folletti ed con riconoscenza li ringraziarono.
                Man mano che passavano i minuti altri folletti si avvicinavano. Fra i primi si presentarono i fratelli di Bhelonin: Ziziphus (dal nome del Giuggiolo, Zizyphus vulgaris) e Coryl (dal nome del Nocciolo, Corylus avellana). Fecero subito amicizia e tutti insieme iniziarono un originale “giro turistico” nel villaggio; Bhelonin fungeva da cicerone.
- “Questa è la bottega del Maestro del legno, Balsen. Costruisce le casette e i nidi per gli uccelli. Ha 214 anni e finora nessun uccellino si è mai lamentato della sua opera. Questi, invece, è Stefan il Maestro ceramista ha 226 anni, modella la creta per costruire utensili d’uso domestico che utilizziamo quotidianamente.”
- “Sono oggetti bellissimi”– esordì Basilio.
- “Non ne ho mai visti di più belli in vita mia – replicò Filadelfio – sarebbe bello poterli vendere in paese e ricavarne qualche euro.”
Nicolò, invece, si era beccato una bacchettata sulla mano perché, curioso com’era, aveva toccato una bellis-sima tazza da tisana appena dipinta. Poi, Bhelonin an-nunciò che avrebbe mostrato loro una delle botteghe più interessanti del villaggio, quella di Streich.
- “Il Maestro del divertimento, ha poco più di 316 anni. Ha tanta esperienza ed elargisce buon umore a piene mani. Il segreto della sua longevità sta tutto nel sorriso che è perennemente stampato sulle labbra. È dotato di una fantasia geniale, fabbrica giochi e inventa gli scherzetti che propiniamo agli umani. La sua è senza dubbio la bottega più frequentata.”
                Filadelfio e Basilio osservavano Streich. L’austero personaggio, pensoso e distaccato, annotava su un librone rosso appunti e schemi. Sicuramente stava ideando qualche nuovo gioco ed era infastidito dall’eccessivo interesse mostrato da Nicolò verso i suoi disegni. Fu allora che la giovialità del Maestro si tinse di toni di rimprovero e lo fulminò con lo sguardo imponendogli un contegno meno invadente e più rispettoso dell’ospitalità che i folletti gli stavano riservando. Poco distante dallo studio di Streich c’era un altro piccolo emporio dal quale provenivano odori particolarmente penetranti. Non erano profumi definiti, ma si distingueva l’aroma del rosmarino, della calendula, del corbezzolo. Bhelonin quasi sottovoce disse loro:
- “Questo è il laboratorio di Heiler, il Maestro di alchimia che si occupa della nostra salute curandoci con le piante officinali da quasi 300 anni.”
                Basilio non perse l’occasione e disse:
- “Non potrei chiedergli se mi dà qualcosa per digerire? Forse ho esagerato con la caponatina.”
- “Esagerato è dir poco! Hai mangiato un filone che avrebbe saziato una scolaresca – disse, fra il serio e il faceto, Filadelfio - senza contare gli “assaggini di formag-gio e frittelle varie. Perché non impari a controllarti? Non bisogna mai arrivare ad essere sovrappeso, ne risente la salute oltre che l’estetica.”
                Nicolò a quel punto combinò una delle sue birichinate. Infilò l’indice destro in un barattolo di marmellata e ne fece un bel boccone deglutendo con un’espressione di totale godimento. C’era un problema: si trattava di un’ottima marmellata di fichi e semi di lino bianco, altamente lassativa. Gli effetti non tardarono a farsi sentire e Heiler gli propinò un infuso di foglie di mirto e di rosa selvatica che, avendo proprietà astrin-genti, riuscirono a neutralizzare gli effetti fastidiosi della marmellata.
                Filadelfio, ad un certo punto, chiese a Bhelonin:
- “Nel vostro villaggio siete tutti maschi? Non ci sono ragazze?”
- “Che dici mai – rispose il folletto – stavo proprio per farvi conoscere le nostre compagne.”
Così, giunsero in una zona del villaggio animata da un continuo vociare. Le casette erano circondate da aiuole ben curate e le finestre avevano tende decorate. Fra esse si distingueva la bottega del ricamo di Naherin, luogo riservato solo alle follette. Naherin aveva 286 anni, ma ne dimostrava almeno 100 in meno. Le ricamatrici, tutte belle e cicciottelle (i folletti prediligono le gras-sottelle), seguivano i consigli e le istruzioni che la maestra impartiva loro e i tre amici poterono ammirare la preziosità degli abiti che confezionavano quelle piccole mani. Casacche dai colori più sgargianti e brillanti, alcune avevano bottoni d’oro e bordure su cui erano incastonate pietre preziose; i cappelli adornati da sonagli tintinnanti e le cinture che, una volta terminate, sarebbero passate al Consiglio dei Saggi del villaggio per essere attivate nella loro specialità: rendere invisibili.
                Le follette ebbero da Naherin il permesso di sospendere il lavoro per un’ora e tutti insieme, folletti e ragazzi, andarono di corsa in un grande prato a giocare e divertirsi.
                Nicolò avrebbe voluto organizzare un incontro di calcio a 5, maschi contro femmine, ma una cosa del genere apparve subito impossibile in considerazione delle dimensioni del pallone rispetto ai folletti. Le follette avrebbero gradito “l’altalena” o “la mosca cieca”, mentre i folletti amavano “il tiro alla fune”, “ i quattro cantoni” o “la corsa nei sacchi”. Fu Ziziphus, uno dei fratelli di Bhelonin, a proporre uno dei loro giochi preferiti. Alla fine, per motivi di opportunità si decise di giocare tutti alla “lippa”, che non avrebbe comportato problemi per la differenza di forza o di altezza dei partecipanti. La lippa è un gioco che si effettua con due pezzi di legno, uno di circa 15 cm in lunghezza con estremità appuntite e l'altro lungo circa mezzo metro. Si traccia un cerchio per terra e, da una certa distanza, si lancia il pezzo di legno piccolo cercando di farlo arrivare dentro il diametro del cerchio. Per riuscirci bisogna colpire con il pezzo di legno più lungo quello piccolo su un'estremità per farlo saltare (questo spiega la presenza delle estremità appuntite). Quindi, prima che ricada al suolo, colpirlo di nuovo per lanciarlo nel cerchio. La scelta si rivelò azzeccata anche perché i tentativi dei tre amici, non adusi a questo gioco, furono veramente comici e suscitarono grande ilarità tra tutti i presenti.
                Poco dopo, trascorsa la pausa ricreativa, le follette furono richiamate all’ordine da Naherin e rientrarono nella bottega per proseguire l’attività di ricamo e sartoria. Fu allora che a Nicolò non sfuggì lo sguardo di Lieben, una folletta veramente carina, indirizzato a Bhelonin ed esordì canzonandolo:
- “Lieben è la tua ragazza?”
- “Ma no – rispose il folletto – è solo un’amica. Andiamo spesso a raccogliere bacche di ginepro o a fare qualche passeggiata nel bosco.”
- “Secondo me è innamorata di te – aggiunse Nicolò con aria da furbetto.”
- “Che dici? Sono ancora giovane, ho solo 82 anni e noi folletti non pensiamo al matrimonio prima dei 100 anni. Non lo sapevi?”
Nicolò incredulo disse:
- “Hai l’età di mio nonno, ma sembri un ragazzino.”
- “Nel nostro mondo – replicò Bhelonin – il tempo scorre in modo diverso dal vostro, ricordalo.”
                In effetti, sarà stata la piacevole compagnia o il fatto che il tempo trascorreva in modo diverso, ma si era fatto proprio tardi e i nostri tre amici non volevano ritardare il rientro a casa per non far preoccupare i genitori. Perciò, con rammarico, Filadelfio disse a Bhelonin:
- “Dobbiamo andare, si è fatto tardi.”
- “Così presto? Avrei tante altre cose da mostrarvi” – rispose il folletto.
- “Il vostro mondo incantato è meraviglioso – intervenne Basilio – ma Filadelfio ha ragione, non possiamo far stare in ansia i nostri genitori.”
- “Potremmo venire altre volte se tu vorrai – aggiunse Nicolò – vorrei proprio vedere come andrà a finire la storia d’amore tra te e Lieben.”
Bhelonin s’incamminò con loro fino al limite del bosco per evitare che si potessero smarrire. Durante il tragitto, tra un saltello e una rincorsa, Nicolò chiese a Bhelonin se conoscesse la leggenda del Saraceno che il nonno più volte gli aveva narrato ed esordì:
- “Sei a conoscenza che un saraceno, tanti e tanti anni fa, nascose in questo bosco un grande tesoro?”
Nicolò continuò:
- “Mio nonno raccontava che un pirata saraceno, in-seguito dalle navi del re, sbarcò sulla costa tirrenica e si addentrò nel bosco fino a raggiungere la cima del monte Scurzi. Lì nascose i tesori razziati negli arrembaggi.”
- “Forse sì, potrebbe essere tutto vero” – disse Bhelonin.
- “Ed è vero – insistette Nicolò - che alcuni contadini cat-turati in pianura ricoprirono l’entrata della grotta con terra e pietre? E che poi ebbero mozzata la lingua per impedire che rivelassero il luogo del nascondiglio?
- “Forse sì, anche questo potrebbe essere vero” – annuì Bhelonin.
- “Ed è vero che piantò nei pressi della grotta un albero di melograno per riconoscere il posto quando fosse tornato a riprendere il tesoro? - Insisteva ancora Nicolò.
- “Era vestito di rosso o di verde? Aveva una scimitarra d’oro? Come si chiamava il suo cavallo? – intervenne risentito Basilio – Vuoi sapere qualcos’altro? Frena la tua curiosità. Potremo trascorrere serenamente i minuti che restano prima di rientrare a casa.”
                A questo punto Bhelonin, considerato il clima di amicizia che si era creato tra loro, volle dare una risposta meno evasiva a tutte quelle domande, perché aveva compreso che Nicolò non era il solo ad essere interessato all’argomento e il desiderio di conoscenza aveva contagiato anche gli altri due amici. Perciò disse loro:
- “Adesso continuerò io la storia. Il pirata Saraceno, dopo qualche anno dai fatti da voi conosciuti, morì. Il nonno di Nicolò vi avrà certamente raccontato che il melograno si seccò nello stesso istante in cui il saraceno spirò. Da quel momento nessuno poté più riconoscere il posto dove l’immenso tesoro era stato nascosto.”
- “Allora è tutto vero – urlarono all’unisono i ragazzi.
- “Anche in questo potreste avere ragione” – disse Bhelonin.
                All’udire questa risposta i tre amici rimasero delusi perché ciascuno di loro stava già fantasticando: Filadelfio calcolava l’ammontare in denaro o in oro di quanto sarebbe toccato ad ognuno di loro; Basilio immaginava le grandi tavolate che avrebbe organizzato una volta diventato ricco e Nicolò sognava l’acquisto di una im-mensa biblioteca per soddisfare la sua insaziabile curio-sità e i viaggi che avrebbe potuto intraprendere alla scoperta di gente e luoghi sconosciuti.
Bhelonin continuò:
- “C’è del vero e del falso.”
- “Spiegati meglio, non tenerci sulle spine” – lo aggredì verbalmente Nicolò.
- “Come tutti i folletti del bosco, conosco anch’io il nascondiglio del tesoro. È un segreto che nessuno di noi folletti rivelerebbe mai. Purtroppo gli uomini danno un valore troppo alto alla ricchezza, al denaro e questo impedisce loro di ricordare quali siano le cose veramente importanti nella vita e di cui dovrebbero essere avidi perché rappresentano l’effettiva fortuna: l’amicizia, la disponibilità verso gli altri, la carità, l’amore, la semplicità d’animo. Proprio perché voi siete miei amici voglio che poniate al primo posto le virtù e non il possesso di beni materiali che rende insoddisfatti. Avete visto quanto noi folletti siamo felici senza possederne? La natura ci offre tutto ciò di cui abbiamo bisogno e per questo la rispettiamo e la difendiamo, l’amore e la gioia che permeano la nostra comunità completano il nostro vivere sereno e felice.
                Filadelfio, Basilio e Nicolò apprezzarono le parole del loro piccolo grande amico e le fecero proprie. Era stato un dono prezioso ascoltare quelle parole. Compresero che la vera ricchezza di un uomo deve essere il frutto dei talenti che ognuno, nessuno escluso, ha ricevuto; che bisogna costruirsi il futuro con onestà, rispettando i propri simili e la natura che ci circonda. In poche parole, dovrebbe essere la realizzazione di quel “progetto uomo” immaginato e creato tanti millenni fa.
                Nicolò aveva un’ultima curiosità da soddisfare e non ci pensò due volte ad esporla a Bhelonin:
- “Posso chiederti se effettivamente si è trattato di un incantesimo il fatto che quel melograno sia seccato quando il Saraceno morì?”
La risata di Bhelonin fu fragorosa e aggiunse:
- “Vuoi proprio sapere come andarono le cose?” Il ragaz-zo annuì.
- “Ti dirò allora cos’è successo. Tanti anni fa un grup-petto di folletti era in giro a raccogliere funghi ed erbe medicinali per Heier, il Maestro di Alchimia. Logica-mente non si dedicavano solo alla raccolta, ma tra un cespuglio e un altro non perdevano occasione per giocare e scherzare. Così facendo l’appetito si fece sentire e si fermarono per uno spuntino a base di more e frutti di bosco. Uno dei folletti, Wahnsin un giovane allievo di Heier, volle mettere in pratica quel che aveva sino ad allora imparato e preparò un infuso a base di radice di asparago, foglie di borragine, frutti di ginepro cui aggiunse qualche rametto di tamerice. Una volta pronto, offrì il decotto agli altri folletti che, assetati, lo bevvero con avidità e in abbondanza.
                Considerate che il nome Wahnsin deriva da Wahnsinniger che significa “pazzerello” e, come tutti i nomi dei folletti, ne rispecchiava il carattere. Orbene, il decotto preparato con questi ingredienti era una sua estemporanea invenzione e lui stesso non ne immaginava gli effetti; vi dico soltanto che tutti gli ingredienti che usò avevano un potere diuretico. Fu così che tutti i folletti ebbero l’urgente esigenza di appartarsi.”
- “Che c’entra tutto ciò col melograno seccatosi? – insistette Nicolò.
- “Dammi tempo – replicò Bhelonin – il fatto è che tutti i folletti, erano veramente in tanti, scelsero lo stesso posto per fare la pipì. La fecero tutti sotto quel famoso albero di melograno piantato dal saraceno che così secco.”
- “Non possiamo crederci” - dissero i tre amici.
- “Se avete creduto all’esistenza dei folletti perché non credere anche in questo” – disse Bhelonin facendo l’oc-chietto.

                Parlando e scherzando, erano ormai giunti al limite del bosco e, anche se a malincuore, dovettero salutarsi. Bhelonin, saltando loro in braccio, diede un bacetto in fronte ad ognuno pronunciando: “Fortuna e gioia” e scomparve.

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