FANTASTICO INCONTRO
Sebastiano
Plutino
Sghignazzando
Nicolò gridava:
-“Forza
Basilio! Possibile che rimani sempre indietro?”
- “Certo, sono sempre io a portare lo zaino con le provviste” -
rispose indispettito Basilio.
In effetti
Basilio aveva ragione a rimbrottarli perchè Filadelfio e Nicolò, suoi compagni
di scuola e di gioco, approfittavano della sua maggior prestanza fisica per
affidargli i “carichi pesanti”. Vivevano le loro avventure preferite nelle
pinete e lungo i sentieri dei Nebrodi. Aria pura e natura incontaminata che
ogni volta regalava qualcosa di nuovo da scoprire. L’ultima volta, però,
Basilio aveva esplorato da solo un boschetto di quel paradiso facendo un
incontro che lo aveva lasciato ester-refatto.
- “Vi dico
che è vero, è tutto vero!” – Continuava a ri-petere.
- “Ma dai –
ribatteva Filadelfio – non vorrai farci credere veramente di aver incontrato un
folletto?”
- “Certo –
rincarava Nicolò – un folletto, una fata, una strega, tutti sulla carrozza a
forma di zucca della cara principessa Cenerentola e sai chi era il cocchiere?
Mago Merlino, ah ah ah.”
Non aveva
fatto in tempo a terminare la frase, che lo schizzo d’acqua li investì
facendoli trasalire. Si erano fermati lungo la riva di un ruscello per fare uno
spuntino e riprendere le forze dopo la salita e Basilio, alquanto stizzito per
l’incredulità dei suoi compagni, aveva voluto rinfrescar loro le idee.
- “Vi ho
detto che ho incontrato un folletto! L’ho visto, ci ho parlato così come sto
facendo con voi! Volete capirlo che non è una burla? Si chiama Bhelonin e mi ha
detto che ci saremmo incontrati di nuovo.”
Mentre
i compagni stavano per replicare, Basilio ebbe un sussulto:
- “Eccolo! È
lì, su quella quercia. Non lo vedete?”
- “Dove? Io
non vedo altro che querce e faggi” - disse Nicolò.
- “Io no –
gli fece eco Filadelfio – vedo anche qualcosa che si muove. Ma sì, è un bel
porcellino nero, forse è quello il folletto che hai visto, caro Basilio.”
- “Ma no! È
lì seduto su un ramo, i capelli biondi e ricciuti, col berrettino bordato di campanellini. È vestito di
rosso, ha scarpette di cristallo e un sorriso divertito.”
Sul ramo di quella quercia c’era
proprio un folletto, ma i due amici non lo vedevano. Era visibile solo a
Basilio. Dovete sapere che i folletti sono esseri molto timidi, oltre che
dispettosi, si rendono visibili solo a persone buone d'animo e soprattutto
quando decidono loro.
- “Bhelonin,
Bhelonin – gridò Basilio – per favore di’ che ci sei, fatti vedere anche da
loro. Sono miei amici, siamo come una sola cosa.
Bhelonin, con un sorrisetto birichino, disse:
- “Devo
proprio crederti? Sono buoni come te? Simpatici come te?”
-
“Certamente” – rispose Basilio.
- “Sai bene cosa ti capiterebbe se non fosse vero” – replicò.
I
folletti bisogna trattarli bene perché ti diano la loro amicizia. Sono
sensibili, giocherelloni e curiosissimi di tutto. Possono regalare armonia,
felicità, voglia di ridere e spensieratezza, ma se li tradisci o li offendi
diventano dispettosi e capaci di renderti la vita insopportabile.
Basilio,
quasi con veemenza, rafforzò le sue parole per convincere Bhelonin:
- “Ti dico
che son più buoni e generosi di me, altrimenti non sarebbero miei amici.” Fu
così che Bhelonin apparve anche a Nicolò e Filadelfio. Si presentò subito in
tutta la sua simpatia dicendo loro:
- “Allora
che ne pensate adesso? Le vostre bocche devono restare aperte ancora per
molto?”
- “Ma, ma,
ma, ma allora esisti veramente? Non eri un’invenzione di Basilio.”
- “Ma, ma,
pa, pa… avete imparato a parlare o non ancora? – Disse ridendo e saltando giù
dal ramo con una capriola.
I
due amici non credevano ancora ai propri occhi: avevano davanti a sé un
FOLLETTO. E che folletto! Un esserino di 80 cm che girava intorno a loro,
pizzicandoli sul fondoschiena e sulla pancia solleticandoli.
“Allora,
esisto o no?” – E giù con risate che si univano a quelle fragorose di Basilio ormai rasserenato perché anche i suoi amici
del cuore avevano conosciuto Bhelonin.
Una
volta esaurita questa sorta di presentazione, i quattro cominciarono a parlare
tra loro. Basilio cercava di dire tutto ciò che aveva saputo da Bhelonin il
giorno prima. Nicolò e Filadelfio ponevano raffiche di domande senza aspettare
le risposte. C’era un clima di felicità come solo tra amici può realizzarsi.
Dopo
circa mezz’ora Basilio, Nicolò e Filadelfio avevano imparato tante cose sul
mondo dei folletti; ve ne accennerò qualcuna.
Prima
di tutto la misura del tempo non è come la nostra: i secondi per loro sono
tempi molto lunghi. Abitano i boschi e da qualcuno son chiamati “Il piccolo popolo” perché organizzati in società; si nutrono dei
prodotti della terra e se decidono di entrare in contatto con gli umani, sono
cordiali e ospitali.
Il
nome Bhelonin deriva dalla radice bhel-,
("gonfiare, essere gonfio") dalle origini germaniche della sua
famiglia e mai nome fu più azzeccato, considerato il suo caratterino vispo e
focoso. I folletti hanno una
carat-teristica: indossano una cintura che permette loro di rendersi
invisibili. Spesso, per divertirsi, come fantasmi frequentano le case degli
uomini, le stalle, a volte liberando gli animali rinchiusi per farli
scorrazzare in libertà; scherzano con tutti, magari tirando le coperte a chi
dorme o intrecciando le criniere ai cavalli.
L’aria frizzante del bosco, la camminata lungo
i sentieri e la piacevole compagnia avevano stimolato un certo appetito e dagli
zainetti tirarono fuori tante preliba-tezze. Basilio addentava con voracità un
filone di pane con la caponata, piatto forte della mamma; Nicolò si dedicava,
invece, alle polpettine fritte di finocchietto selvatico e Filadelfio passava
dalla parmigiana di melanzane alle frittelle di fiori di zucca, senza
tralasciare un assaggino di maiorchino, di tuma fresca al peperon-cino e
ricotta e anche dei profumati e gustosi “bissini” (particolari funghi dei
Nebrodi).
È risaputo che a
tavola non s’invecchia e l’allegria la fa da padrona, per cui Bhelonin, ormai
sicuro della bontà d’animo dei tre, propose qualcosa di fantastico: far
conoscere loro un po’ del mondo dei folletti.
Era evidente che si era instaurato tra loro un
clima di fiducia e di amicizia.
- “Che ne dite se vi presento gli abitanti del
villaggio?” – Propose il folletto.
L’urlo di
approvazione dei tre amici riecheggiò per il bosco attraversando i cespugli di
rovo, di ginestra spinosa e mirto lambendo l’agrifoglio e il pungitopo. Anche
un merlo fischiatore volò via radente il prato, mentre le gazze bianche e nere,
disturbate da quel vociare insolito, scapparono gracchiando.
Bevvero a piccoli
sorsi l’acqua ghiacciata della sorgiva e riassettarono con cura gli zainetti
prima di controllare di non aver lasciato nulla per terra. Le uniche tracce del
loro passaggio erano le briciole gradite agli abitanti del bosco perché
avrebbero rappresentato un inaspettato banchetto per la Cincia bigia e il
Codibugnolo di Sicilia che, seppur insettivori, non disdegnano qualche
assaggino fuori dieta.
Bhelonin saltellava
e li guidava alla scoperta di quell’habitat ricco di curiosità. I tre amici lo
seguivano perdendolo di vista solo quando il suo carattere giocherellone aveva
il sopravvento e scompariva alla loro vista. Il folletto, infatti, si
divertiva, di tanto in tanto, a tornare invisibile indossando la cintura. I
ragazzi, all’improvviso, perdevano l’orientamento e lo pregavano di riapparire,
ma lui dispettoso si godeva lo spettacolo seraficamente seduto ai piedi di un
albero o su qualche ramo. Spesso intraprendeva simpatiche discussioni con gli
animali, come si sa i folletti conoscono il linguaggio degli abitanti del
bosco. Si fermava a scambiar quattro chiacchiere con Erin, il riccio o con
Emma, la volpe. Quando ricomparve stava parlando con Lara, la martora, che
aveva qualcosa da ridire sulla presenza dei tre amici nel suo territorio.
Camminando arrivarono in un grande slargo circondato da alte querce e aceri:
era il villaggio dei folletti.
Sembrava non ci
fosse anima viva, il silenzio era rotto solo dal cinguettio degli uccelli e
dallo stormire delle foglie nel vento, ma i ragazzi sentivano la presenza
invisibile di qualcuno. Bhelonin esordì:
- “Tutto a
posto, potete farvi vedere, sono amici affidabili e buoni.”
A quelle parole, uno
dopo l’atro, decine di folletti si manifestarono e iniziarono a danzare,
vocianti, attorno a loro. Era uno spettacolo indescrivibile di gioia e
allegria, un girotondo festoso e colorato creato dagli abiti folkloristici
indossati dai folletti.
Bhelonin invitò i
ragazzi all’ombra di una pianta frondosa, il suo albero. Infatti, era tradizione nel popolo dei folletti che
alla loro nascita il padre piantasse un alberello di acero. Alla fine di ogni
estate ogni folletto era tenuto a far visita al suo “albero gemello”. La
rivelazione di tutto ciò dimostrava ai ragazzi che ormai riscuotevano una
grande fiducia presso i folletti ed con riconoscenza li ringraziarono.
Man mano che
passavano i minuti altri folletti si avvicinavano. Fra i primi si presentarono
i fratelli di Bhelonin: Ziziphus (dal nome del Giuggiolo, Zizyphus vulgaris) e Coryl (dal nome del Nocciolo, Corylus avellana). Fecero
subito amicizia e tutti insieme iniziarono un originale “giro turistico”
nel villaggio; Bhelonin fungeva da cicerone.
- “Questa è la bottega del Maestro del
legno, Balsen. Costruisce le casette e i nidi per gli uccelli. Ha 214 anni e
finora nessun uccellino si è mai lamentato della sua opera. Questi, invece, è Stefan il Maestro
ceramista ha 226 anni, modella la creta per costruire utensili d’uso domestico
che utilizziamo quotidianamente.”
- “Sono
oggetti bellissimi”– esordì Basilio.
- “Non ne ho
mai visti di più belli in vita mia – replicò Filadelfio – sarebbe bello poterli
vendere in paese e ricavarne qualche euro.”
Nicolò, invece, si era beccato una bacchettata
sulla mano perché, curioso com’era, aveva toccato una bellis-sima tazza da
tisana appena dipinta. Poi, Bhelonin an-nunciò che avrebbe mostrato loro una
delle botteghe più interessanti del villaggio, quella di Streich.
- “Il
Maestro del divertimento, ha poco più di 316 anni. Ha tanta esperienza ed
elargisce buon umore a piene mani. Il segreto della sua longevità sta tutto nel
sorriso che è perennemente stampato sulle labbra. È dotato di una fantasia
geniale, fabbrica giochi e inventa gli scherzetti che propiniamo agli umani. La
sua è senza dubbio la bottega più frequentata.”
Filadelfio
e Basilio osservavano Streich. L’austero personaggio,
pensoso e distaccato, annotava su un librone rosso appunti e schemi.
Sicuramente stava ideando qualche nuovo gioco ed era infastidito dall’eccessivo
interesse mostrato da Nicolò verso i suoi disegni. Fu allora che la giovialità
del Maestro si tinse di toni di rimprovero e lo fulminò con lo sguardo
imponendogli un contegno meno invadente e più rispettoso dell’ospitalità che i
folletti gli stavano riservando. Poco distante dallo studio di Streich c’era un altro piccolo emporio dal
quale provenivano odori particolarmente penetranti. Non erano profumi definiti,
ma si distingueva l’aroma del rosmarino, della calendula, del corbezzolo.
Bhelonin quasi sottovoce disse loro:
- “Questo è il laboratorio di Heiler, il Maestro di alchimia che si occupa
della nostra salute curandoci con le piante officinali da quasi 300 anni.”
Basilio non perse
l’occasione e disse:
- “Non potrei
chiedergli se mi dà qualcosa per digerire? Forse ho esagerato con la
caponatina.”
- “Esagerato è dir poco! Hai mangiato un
filone che avrebbe saziato una scolaresca –
disse, fra il serio e il faceto, Filadelfio - senza contare gli “assaggini di
formag-gio e frittelle varie. Perché non impari a controllarti? Non bisogna mai
arrivare ad essere sovrappeso, ne risente la salute oltre che l’estetica.”
Nicolò a quel punto combinò una delle sue
birichinate. Infilò l’indice destro in un barattolo di marmellata e ne fece un
bel boccone deglutendo con un’espressione di totale godimento. C’era un
problema: si trattava di un’ottima marmellata di fichi e semi di lino
bianco, altamente lassativa. Gli effetti non tardarono a farsi sentire e Heiler
gli propinò un infuso di foglie di mirto e di rosa selvatica che, avendo
proprietà astrin-genti, riuscirono a neutralizzare gli effetti fastidiosi della
marmellata.
Filadelfio, ad un
certo punto, chiese a Bhelonin:
- “Nel
vostro villaggio siete tutti maschi? Non ci sono ragazze?”
- “Che dici mai – rispose il folletto – stavo
proprio per farvi conoscere le nostre compagne.”
Così, giunsero in una zona del villaggio
animata da un continuo vociare. Le casette erano circondate da aiuole ben
curate e le finestre avevano tende decorate. Fra esse si distingueva la bottega
del ricamo di Naherin, luogo riservato solo alle follette. Naherin aveva 286
anni, ma ne dimostrava almeno 100 in meno. Le ricamatrici, tutte belle e
cicciottelle (i folletti prediligono le gras-sottelle), seguivano i consigli e
le istruzioni che la maestra impartiva loro e i tre amici poterono ammirare la
preziosità degli abiti che confezionavano quelle piccole mani. Casacche dai
colori più sgargianti e brillanti, alcune avevano bottoni d’oro e bordure su
cui erano incastonate pietre preziose; i cappelli adornati da sonagli
tintinnanti e le cinture che, una volta terminate, sarebbero passate al
Consiglio dei Saggi del villaggio per essere attivate nella loro specialità:
rendere invisibili.
Le follette ebbero
da Naherin il permesso di sospendere il lavoro per un’ora e tutti insieme,
folletti e ragazzi, andarono di corsa in un grande prato a giocare e
divertirsi.
Nicolò avrebbe
voluto organizzare un incontro di calcio a 5, maschi contro femmine, ma una
cosa del genere apparve subito impossibile in considerazione delle dimensioni
del pallone rispetto ai folletti. Le follette avrebbero gradito “l’altalena” o “la mosca cieca”, mentre i folletti amavano “il tiro alla fune”, “ i
quattro cantoni” o “la corsa nei
sacchi”. Fu Ziziphus, uno
dei fratelli di Bhelonin, a proporre uno dei loro giochi preferiti. Alla fine,
per motivi di opportunità si decise di giocare tutti alla “lippa”, che non avrebbe comportato problemi per la differenza di
forza o di altezza dei partecipanti. La lippa
è un gioco che si effettua con due pezzi di legno, uno di circa 15 cm in
lunghezza con estremità appuntite e l'altro lungo circa mezzo metro. Si traccia
un cerchio per terra e, da una certa distanza, si lancia il pezzo di legno
piccolo cercando di farlo arrivare dentro il diametro del cerchio. Per
riuscirci bisogna colpire con il pezzo di legno più lungo quello piccolo su
un'estremità per farlo saltare (questo spiega la presenza delle estremità
appuntite). Quindi, prima che ricada al suolo, colpirlo di nuovo per lanciarlo
nel cerchio. La scelta si rivelò azzeccata anche perché i tentativi dei tre
amici, non adusi a questo gioco, furono veramente comici e suscitarono grande
ilarità tra tutti i presenti.
Poco
dopo, trascorsa la pausa ricreativa, le follette furono richiamate all’ordine
da Naherin e rientrarono nella bottega per proseguire l’attività di ricamo e
sartoria. Fu allora che a Nicolò non sfuggì lo sguardo di Lieben, una folletta
veramente carina, indirizzato a Bhelonin ed esordì canzonandolo:
- “Lieben è
la tua ragazza?”
- “Ma no – rispose il folletto – è solo
un’amica. Andiamo spesso a raccogliere bacche di ginepro o a fare qualche
passeggiata nel bosco.”
- “Secondo
me è innamorata di te – aggiunse Nicolò con aria da furbetto.”
- “Che dici?
Sono ancora giovane, ho solo 82 anni e noi folletti non pensiamo al matrimonio
prima dei 100 anni. Non lo sapevi?”
Nicolò
incredulo disse:
- “Hai l’età
di mio nonno, ma sembri un ragazzino.”
- “Nel nostro mondo – replicò Bhelonin – il
tempo scorre in modo diverso dal vostro, ricordalo.”
In effetti, sarà
stata la piacevole compagnia o il fatto che il tempo trascorreva in modo
diverso, ma si era fatto proprio tardi e i nostri tre amici non volevano
ritardare il rientro a casa per non far preoccupare i genitori. Perciò, con
rammarico, Filadelfio disse a Bhelonin:
- “Dobbiamo andare, si è
fatto tardi.”
- “Così presto? Avrei tante
altre cose da mostrarvi” – rispose il folletto.
- “Il vostro mondo
incantato è meraviglioso – intervenne Basilio – ma Filadelfio ha ragione, non
possiamo far stare in ansia i nostri genitori.”
- “Potremmo venire altre
volte se tu vorrai – aggiunse Nicolò – vorrei proprio vedere come andrà a
finire la storia d’amore tra te e Lieben.”
Bhelonin s’incamminò con
loro fino al limite del bosco per evitare che si potessero smarrire. Durante il
tragitto, tra un saltello e una rincorsa, Nicolò chiese a Bhelonin se
conoscesse la leggenda del Saraceno che il nonno più volte gli aveva narrato ed
esordì:
- “Sei a conoscenza che un
saraceno, tanti e tanti anni fa, nascose in questo bosco un grande tesoro?”
Nicolò continuò:
- “Mio nonno raccontava che
un pirata saraceno, in-seguito dalle navi del re, sbarcò sulla costa tirrenica
e si addentrò nel bosco fino a raggiungere la cima del monte Scurzi. Lì nascose
i tesori razziati negli arrembaggi.”
- “Forse sì, potrebbe essere tutto vero” –
disse Bhelonin.
- “Ed è vero – insistette Nicolò - che alcuni
contadini cat-turati in pianura ricoprirono l’entrata della grotta con terra e
pietre? E che poi ebbero mozzata la lingua per impedire che rivelassero il
luogo del nascondiglio?
- “Forse sì, anche questo potrebbe essere
vero” – annuì Bhelonin.
- “Ed è vero che piantò nei pressi della
grotta un albero di melograno per riconoscere il posto quando fosse tornato a
riprendere il tesoro? - Insisteva ancora Nicolò.
- “Era vestito di rosso o di verde? Aveva una
scimitarra d’oro? Come si chiamava il suo cavallo? – intervenne risentito
Basilio – Vuoi sapere qualcos’altro? Frena la tua curiosità. Potremo
trascorrere serenamente i minuti che restano prima di rientrare a casa.”
A questo punto
Bhelonin, considerato il clima di amicizia che si era creato tra loro, volle
dare una risposta meno evasiva a tutte quelle domande, perché aveva compreso
che Nicolò non era il solo ad essere interessato all’argomento e il desiderio
di conoscenza aveva contagiato anche gli altri due amici. Perciò disse loro:
- “Adesso continuerò io la storia. Il pirata
Saraceno, dopo qualche anno dai fatti da voi conosciuti, morì. Il nonno di
Nicolò vi avrà certamente raccontato che il melograno si seccò nello stesso
istante in cui il saraceno spirò. Da quel momento nessuno poté più riconoscere
il posto dove l’immenso tesoro era stato nascosto.”
- “Allora è tutto vero – urlarono all’unisono
i ragazzi.
- “Anche in questo potreste avere ragione” –
disse Bhelonin.
All’udire questa
risposta i tre amici rimasero delusi perché ciascuno di loro stava già
fantasticando: Filadelfio calcolava l’ammontare in denaro o in oro di quanto
sarebbe toccato ad ognuno di loro; Basilio immaginava le grandi tavolate che avrebbe organizzato una volta
diventato ricco e Nicolò sognava l’acquisto di una im-mensa biblioteca
per soddisfare la sua insaziabile curio-sità e i viaggi che avrebbe potuto
intraprendere alla scoperta di gente e luoghi sconosciuti.
Bhelonin continuò:
- “C’è del vero e del falso.”
- “Spiegati meglio, non tenerci sulle spine”
– lo aggredì verbalmente Nicolò.
- “Come tutti i folletti del bosco, conosco
anch’io il nascondiglio del tesoro. È un segreto che nessuno di noi folletti
rivelerebbe mai. Purtroppo gli uomini danno un valore troppo alto alla
ricchezza, al denaro e questo impedisce loro di ricordare quali siano le cose
veramente importanti nella vita e di cui dovrebbero essere avidi perché
rappresentano l’effettiva fortuna: l’amicizia, la disponibilità verso gli
altri, la carità, l’amore, la semplicità d’animo. Proprio perché voi siete miei
amici voglio che poniate al primo posto le virtù e non il possesso di beni
materiali che rende insoddisfatti. Avete visto quanto noi folletti siamo felici
senza possederne? La natura ci offre tutto ciò di cui abbiamo bisogno e per
questo la rispettiamo e la difendiamo, l’amore e la gioia che permeano la
nostra comunità completano il nostro vivere sereno e felice.
Filadelfio, Basilio
e Nicolò apprezzarono le parole del loro
piccolo grande amico e le fecero proprie. Era stato un dono prezioso ascoltare
quelle parole. Compresero che la vera ricchezza di un uomo deve essere
il frutto dei talenti che ognuno, nessuno escluso, ha ricevuto; che bisogna
costruirsi il futuro con onestà, rispettando i propri simili e la natura che ci
circonda. In poche parole, dovrebbe essere la realizzazione di quel “progetto uomo” immaginato e creato tanti
millenni fa.
Nicolò aveva
un’ultima curiosità da soddisfare e non ci pensò due volte ad esporla a
Bhelonin:
- “Posso chiederti se effettivamente si è
trattato di un incantesimo il fatto che quel melograno sia seccato quando il
Saraceno morì?”
La risata di Bhelonin fu fragorosa e aggiunse:
- “Vuoi proprio sapere come andarono le cose?” Il ragaz-zo annuì.
- “Ti dirò allora cos’è successo. Tanti anni
fa un grup-petto di folletti era in giro a raccogliere funghi ed erbe
medicinali per Heier, il Maestro di Alchimia. Logica-mente non si dedicavano solo
alla raccolta, ma tra un cespuglio e un altro non perdevano occasione per
giocare e scherzare. Così facendo l’appetito si fece sentire e si fermarono per
uno spuntino a base di more e frutti di bosco. Uno dei folletti, Wahnsin
un giovane allievo di Heier, volle mettere in pratica quel che aveva sino ad
allora imparato e preparò un infuso a base di radice di asparago, foglie di
borragine, frutti di ginepro cui aggiunse qualche rametto di tamerice. Una
volta pronto, offrì il decotto agli altri folletti che, assetati, lo bevvero
con avidità e in abbondanza.
Considerate che il
nome Wahnsin deriva da Wahnsinniger che significa “pazzerello” e, come tutti i
nomi dei folletti, ne rispecchiava il carattere. Orbene, il decotto preparato
con questi ingredienti era una sua estemporanea invenzione e lui stesso non ne
immaginava gli effetti; vi dico soltanto che tutti gli ingredienti che usò
avevano un potere diuretico. Fu così che tutti i folletti ebbero l’urgente
esigenza di appartarsi.”
- “Che c’entra tutto ciò col melograno
seccatosi? – insistette Nicolò.
- “Dammi tempo – replicò Bhelonin – il fatto
è che tutti i folletti, erano veramente in tanti, scelsero lo stesso posto per
fare la pipì. La fecero tutti sotto quel famoso albero di melograno piantato
dal saraceno che così secco.”
- “Non possiamo crederci” - dissero i tre
amici.
- “Se avete creduto all’esistenza dei
folletti perché non credere anche in questo” – disse Bhelonin facendo
l’oc-chietto.
Parlando e
scherzando, erano ormai giunti al limite del bosco e, anche se a malincuore,
dovettero salutarsi. Bhelonin, saltando loro in braccio, diede un bacetto in
fronte ad ognuno pronunciando: “Fortuna e gioia” e scomparve.
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