mercoledì 14 dicembre 2016

La Cruna dell'Ago - Anno n. 1 - N. 11 - Dicembre 2016








































CONVEGNO: “LA CULTURA DELLA PIETRA” - ASSOCIAZIONE CULTURALE NEBRODI

CONVEGNO: “LA CULTURA DELLA PIETRA”
ASSOCIAZIONE CULTURALE NEBRODI
Ucria - 11.12.2016 - Ucria centro culturale dei Nebrodi per la promozione di quell’identità storico-culturale e scientifica, costruita sulle eccellenze. Pubblico, privato ed istituzione accademica si sono uniti in un progetto scientifico finalizzato alla caratterizzazione delle collezioni di germoplasma vegetale conservate presso la Banca Vivente di Ucria, con particolare attenzione alla coltivazione del nocciolo dei Nebrodi. Un’azione concreta che favorirà il rilancio di un’economia sostenibile volta al recupero delle principali coltivazioni che hanno caratterizzato il patrimonio agroalimentare dei Nebrodi. Nell’ambito della conferenza “La Cultura della Pietra”, organizzata dall’”Associazione Culturale Nebrodi”, con il patrocinio del Parco dei Nebrodi, presso la Banca vivente del Germoplasma di Ucria, è stata ufficializzata dal prof. Matteo Florena, anche Presidente dell’Associazione organizzatrice, la volontà della Famiglia Florena di istituire e sostenere, anche economicamente, una borsa di studio di durata semestrale,da destinare ad un giovane ricercatore dell’Università degli studi di Palermo finalizzata ad approfondire, finalmente, la conoscenza delle caratteristiche nutraceutiche e salutistiche della nocciola dei Nebrodi. Il supporto economico privato, consentirà, peraltro, l’immediato utilizzo di un laboratorio di biologia applicata presso la “Banca di Germoplasma” di Ucria con l'annesso "Giardino dei Semplici", dedicato all'illustre botanico nebroideo Bernardino da Ucria (1739 – 1796). All’impegno privato, si unirà anche la disponibilità di risorse finanziarie pubbliche.“Investiremo nella struttura – ha annunciato ufficialmente Giuseppe Antoci, Presidente del Parco dei Nebrodi, una parte della cospicua somma, ovvero un milione e quattrocento mila euro, che la Regione Sicilia, come disposto da una sentenza, dovrà versare al Parco”. Una sede di eccellenza creata dall'Ente Parco dei Nebrodi con il supporto tecnico e scientifico dell'Università di Palermo, Dipartimento di Scienze Biologiche, che ospita i campi collezione delle diverse specie di piante di interesse naturalistico, agrario e terapeutico la raccolta di semi di vecchie cultivar tradizionali da frutto che rischiano di scomparire. “È stato allestito anche un laboratorio biologico per la tutela e moltiplicazione del germoplasma finalizzato alla conservazione della biodiversità. La Banca vivente del Germoplasma vegetale dei Nebrodi è la prima che nasce in un Parco, ma è anche la più completa sotto il profilo scientifico. L'attività di collezione riguarda il reperimento, la difesa, la moltiplicazione e la conservazione di semi di specie forestali e di specie indigene erbacee arbustive endemiche e rare dei Nebrodi, in pericolo di estinzione. “Il nostro obiettivo – ha spiegato il Professore Matteo Florena, Presidente dell’Associazione Culturale Nebrodi – è quello di trasformare la città di Ucria, in un centro di cultura e ricerca scientifica. Siamo convinti che formazione e sviluppo del territorio siano un binomio imprescindibile per costruire un sano futuro nel segno della sostenibilità e recupero dell’eccellenza.”
L’iniziativa si è anche significativamente arricchita dell’intervento, non previsto dal programma, del prof. Fabrizio Micari – Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, che ha anche dichiarato che “La formazione oggi deve confrontarsi con le richieste del territorio.
Per esempio, uno dei nostri corsi di laurea: Scienze e tecnologia agroalimentare è nata dal confronto con 60 imprenditori.” Ucria, nel corso della sua storia, si è anche distinta per la ricchezza di creazioni artistiche. La cultura della pietra ne è un esempio e da questo assunto è partita l’iniziativa di cui vi riferiamo . “Gli scalpellini, (maestri che trasformano le pietre in opere d’arte) infatti, - ha spiegato Iole Nicolai, avvocato ed esponente dell’Associazione “La cruna dell’ago”- hanno lasciato disseminate nel centro abitato e nel territorio le opere della loro arte: i lavori in pietra sono manufatti che non solo abbelliscono, ma testimoniano la memoria storica del nostro paese”. Questa straordinaria tradizione è stata raccolta da Antonino Rigoli, giovane di 27 anni che supportato da apposita formazione ne ha fatto un mestiere. Recuperando le antiche tecniche ed attualizzando le richieste del mercato ha realizzato un laboratorio - mostra creando ed esportando straordinari pezzi di arte realizzati con rocce nebroidee essenzialmente caratterizzate dalla presenza di argille ed arenarie. “Questa geodiversità sicuramente è una ricchezza – ha spiegato Valerio Agnesi, professore ordinario di Geomorfologia dell’Università di Palermo - questa pietra tipica di queste aree ha un diverso grado di compattazione e pertanto si presta alle diverse lavorazioni.”

Salvatore Giarratana, vice presidente dell’Associazione Culturale Nebrodi, dopo avere collocato la Banca vivente del Germoplasma di Ucria nell’ambito del sistema regionale delle 12 Banche del Germoplasma finanziate dall’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, oggi soppressa, con i fondi della Misura 1.12 del POR Sicilia 2000/2006, ha introdotto le specificità di quella di Ucria, mettendo in luce l’importanza della tutela di questo patrimonio genetico locale, da tutelare perché fonte di biodiversità di notevole valore sociale, culturale ed economico”.  “In tale contesto di valorizzazione della biodiversità – la Banca vivente del germoplasma - ha continuato Franco Maria Raimondo, già Direttore dell’Orto botanico di Palermo, ma anche mente del progetto iniziale della struttura inaugurata nel 2010, - deve legarsi allo sviluppo del territorio, ma soprattuttoalla tutela degli ambienti tipici dei Nebrodi, che rappresentano ecosistemi ad elevata biodiversità”. E’ stata anche l’occasione per rievocare, e non sarebbe stato possibile fare diversamente, la figura e l’opera di padre Bernardino da Ucria, l’insigne ed umile botanico settecentesco iniziatore dell’Orto Botanico di Palermo.




LA CULTURA DELLA PIETRA. - Maria Scalisi - Iole Nicolai

LA CULTURA DELLA PIETRA.

Maria Scalisi - Iole Nicolai
Un antico proverbio africano dice che Se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante. Noi ci stiamo provando… e siamo determinati a riuscirci…
E’ questo lo spirito con il quale lo scorso 10 dicembre, l’Associazione culturale “Nebrodi”, guidata dall’instancabile ed eclettico Prof. Florena, con il patrocinio del Parco dei Nebrodi e della Banca del Germoplasma (di cui abbiamo già scritto), avvalendosi del contributo organizzativo dell’Associazione che cura questo giornalino, ha messo in campo l’evento “La cultura della pietra”.
Una iniziativa importante per sforzo profuso, caratura scientifica dei relatori, tema trattato e presenza di illustri ospiti. Un evento volto alla valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni del Paese di Ucria, che ha fatto del nostro paese un “centro culturale dei Nebrodi per la promozione di quell’identità storico –culturale e scientifica, costruita sulle eccellenze” (così la rassegna stampa sull’evento).
 L’iniziativa si è inserita nell’ambito di un complessivo, più ampio, disegno a mezzo del quale l’associazione promotrice ha inteso segnare il passo per il rilancio di una economia sostenibile, indirizzata al recupero degli elementi distintivi caratterizzanti la nostra cultura e con l’obiettivo di trasmettere alle giovani generazioni il complesso valoriale espressione autentica del nostro territorio, quale “esempio” concreto. Un modello da proiettare nel futuro, attraverso gli strumenti più innovativi, perché – per dirla con le parole del Prof. Florena - “siamo convinti che formazione e sviluppo del territorio siano un binomio imprescindibile per costruire un sano futuro nel segno della sostenibilità e recupero dell’eccellenza” (segnaliamo al riguardo, il significativo ed importante gesto compiuto dalla famiglia Florena che ha ufficializzato, proprio in quella sede, la volontà di istituire e sostenere, anche economicamente, una borsa di studio da destinare ad un giovane ricercatore dell’Università di Palermo, per approfondire lo studio della nocciola dei Nebrodi).
Lo spirito, insomma, è stato quello di suggerire “modelli” sani e propositivi che affondassero le radici, ben salde, nel terreno della tradizione ma che, al contempo, sapessero affrontare le scommesse del futuro.
Insomma, cari lettori…È stata una giornata densa di significati per il nostro Comune e per tutto il territorio. E’ stata davvero una bella giornata!
Alla presenza del Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, del Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, del “padre” della Banca del Germoplasma di Ucria, il Botanico Francesco Maria Raimondo (che ha concluso i lavori), del dirigente regionale Salvatore Giarratana (che ha illustrato la nascita della Banca del Germoplasma, avendo avuto un ruolo primario nella sua realizzazione), della Professoressa Angela Di Giorgio Marciante (segretario dell’Associazione “Nebrodi”) e naturalmente del Prof. Florena, abbiamo avuto l’occasione di apprendere gli approfondimenti scientifici condotti dal Prof. Valerio Agnesi sulle caratteristiche geologiche del nostro territorio. Ed abbiamo anche potuto inoltrarci nei meandri della nostra cultura locale così fortemente caratterizzata dalla lavorazione della pietra tipica del nostro territorio (un plauso va anche a chi, come Nino Rigoli, nel nostro Paese, coltiva la passione per l’arte della lavorazione della pietra).
Insomma “la cultura della pietra” al centro, tra il passato e futuro, tra tradizione e innovazione, come spunto per proiettarsi in un futuro in cui la tradizione locale trovi la sua necessaria ed opportuna valorizzazione!
La pietra e il lavoro che i “Maestri scalpellini” (ovvero, come l’abilità di un maestro trasforma le pietre in opere d’arte) di Ucria hanno saputo sviluppare, rappresentando, per molto tempo, l’ossatura del contesto economico del paese.
La storia del nostro paese è “cultura della pietra”, poiché si intreccia inesorabilmente con lo sviluppo di questa arte di cui si ravvisano tracce, in ogni angolo di Ucria.
E’ quanto accade in molti luoghi e paesi. L’edilizia riceve spesso caratterizzazione e diversificazione dalle pietre che si utilizzano per costruire le case, sicché l’architettura, traendo qualità ed aspetto del materiale, si lega strettamente al paesaggio.
“La costruzione era in un certo modo un prodotto del suolo nel quale sorgeva. Dall’esame delle costruzioni un naturalista poteva già farsi l’dea dei tipi di roccia affioranti in un dato luogo” – (Veggiani).
La geomorfologia del suolo ucriese mette a disposizione un gran numero di cave di pietre con innumerevoli alternative e possibilità di impiego.
Oggi ad Ucria di cave per estrarre la pietra resta ben poco: se ne intravedono le tracce “ancora leggibili nel paesaggio”, restano i fronti d’attacco, le enormi ferite aperte sui monti, alla base i detriti, le brecce. E le memorie.
C’era pietra e pietra, cava e cava. Anche dal punto di vista qualitativo. Diverse finalità e diverse valenze. Per non parlare delle consistenze, durevolezze, colori, finezze di grana.
Le cave si trovavano in zona Orelluso, a Piano Campo, al Piano Muto.
Le modalità estrattive avvenivano dal distacco di un blocco dal banco, determinato dall’andamento delle stratificazioni. Si procedeva dapprima ad incidere in superficie con l’aiuto di punta o mazzuolo, una sorta di canaletta di pochi centrimetri e inserendo poi dei cunei di legno, (cugnu)m che venivano banati per aumentare la pressione e riuscire ad aprirlo, sempre con l’aiuto di una mazza. Seguendo le fratture si procedeva lo sfaldamento dello strato.
Tutto un piccolo mondo gira intorno al lavoro della pietra. Cavatori, tagliapietre, scalpellini, con ruoli e specializzazioni diverse, sacrifici e da consuetudini familiari che si tramandano di padre in figlio.
L’azione di estrazione della pietra a cielo aperto e della sbozzatura e rifinitura viene oggi ricordata come un lavoro duro, faticoso e rituale.
Ucria, nel tempo, ha evidenziato sempre una grande artisticità dei suoi figli, attraverso appunto l’abilità degli mastri della pietra. Gli scalpellini, artisti da taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini affondano nel passato. Gli scalpellini ucriesi contribuirono un impulso notevole dello sviluppo artistico del paese.
Le opere visibili in Ucria sono la testimonianza principale dei bellissimi portali delle chiese di San Pietro Apostolo, la chiesa Madre, la chiesa di SS. Annunziata, la chiesa della Madonna della Scala e tutte le altre chiese secondarie, in cui è ben visibile la presenza di questa maestranza. Colonne monolitiche, sovrastate da capitelli riccamente decorati, nonché le cornici dei balconi, delle mensole e dei “cagnoli” degli antichi palazzi, come quelli presenti nel palazzo Baratta, in via P. Bernardino.
Nell’ultimo trentennio il cemento armato, l’asfalto e la pietra lavica hanno deturpato completamente quello che erano le nostre strade, rimanendo a noi solo un ricordo fotografico.
Ucria vanta decine di famiglie di scalpellini, mestiere tramandato di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, ma oggi sono quasi del tutto scomparsi, resta il nostro caro marmista Salvatore Vinciullo, anche se col riformarsi della pietra, si nota una ripresa di questa antica attività, grazie all’abilità e alla voglia di ripresa di questo antica mestiere di Nino Rigoli e Salvatore Crisà.
La pietra che lavoravano i nostri scalpellini era la locale pietra arenaria che prelevavano dalle varie cave: Piano Muto, O Casteddu, Piano Campo, Orelluso e tante altri luoghi ove affiorava la pietra.
Dopo aver scelto il blocco arenario, gruppi di scalpellini lavoravano in situ i la pietra, o la trasportavano fino al luogo dove si effettuava la lavorazione vera e propria, trasformandola in vere opere d’arte.
L’abilità stava nelle mani di chi conosceva il proprio mestiere. La mia famiglia, mio nonno, Calogero Matteo Scalisi era uno scalpellino, è tramandò questo mestiere ai figli, ma colui che abilmente lavorava la pietra era mio zio Vincenzino.
Questi lavori in pietra sono manufatti che non solo abbelliscono, classificano e donano bellezza alle antiche casa ma ne determinano l’armonia e la bellezza dell’insieme al nostro territorio ucriese, che ne è testimone.
Oltre ai portali, si realizzavano davanzali, cornici alle finestre, soglie alle porte, gradini, balaustre. Tutto doveva essere di pietra, più o meno pregiata a secondo della disponibilità finanziaria del committente.
Gli attrezzi principali del lavoro erano “la squadra” per definire gli spigoli, per determinare l’angolo retto tra le due facce adiacenti, tutt’una serie di scalpelli perfettamente affilati e di buon materiale acciaioso, mazze e mazzuoli, martello a due teste, il compasso, la livella, la sgorbia, la buggiarda, strumenti che venivano di volta in volta usati, secondo la specificità del lavoro.
Il tutto è semplicemente un lavoro manuale, e, sicuramente, un lavoro di grande vanto.
La graduale sostituzione dell’uomo con le macchine è determinato anche dai macchinari ed è anche determinato dal fatto che non ci sono più uomini con la passione e la volontà di imparare questo mestiere. Ecco perché si considera un lavoro in “via di estinzione”. 
Chissà… forse cambierà qualcosa?! Noi ci crediamo!












DALLA RACCOLTA “SCURA È LA STRATA” - FRANCESCO PINZONE

DALLA RACCOLTA “SCURA È LA STRATA”
FRANCESCO PINZONE
NATALI     
Sonanu li campani di Natali,
sona la ciramedda strati strati:
lu munnu è tuttu ‘mbrogghj e tuttu mali,
lu Bamminu ci appizza li maniati.

Cantanu li pueti l’annu novu,
li so’ giriuni la vita arripigghia;
ognu annu ‘ntra sti munti m’arritrovu
sempri la stissa testa di canigghja.

Nun sacciu mancu chiddu c’haju a diri
nun sacciu mancu chiddu c’haju a fari;
vurria cantari, ridiri, ‘mpazziri,
ma mi cunfunnu d’unni accuminzari.

Passu li jorna sulu e senza abbentu
e  ‘ntro frattemmu ‘ncuverchianu li anni,
scumpari dd’anticchiedda di talentu,
s’ammunseddanu guai, peni ed affanni.

Ma si pensu chi poi nun resta nenti
mettu di banna la malincunia:
pi Natali bivemunni cuntenti
‘na cannata di bonu marvasia.
Natale 1953



CAPU D’ANNU
Cu st’oricchj sintivu lu battagghju
 e visti un vecchiu c’una truscia ‘n coddu
chi fujia pi lu mari si non sbaggju.

Un picciutteddu allegru e spezzacoddu
ci jia dappressu senza ‘ntruppicuna
fistanti, giubilanti e quasi foddu.

Iu lu pigghiavu a corpa di vastuna
 e stetti arzatu tutta la nuttata
taliannu li finestri e li barcuna.

Cadia fridda e ‘ncuttusa la jilata
 Supra la terra silinziusa e scura
e lu sonnu stinnia l’ali di fata.

Li muntagni mittevanu pavura,
unniavanu li lupi. Un lumicinu
‘dduma e s’astuta e nun ci mettu accura.

Un organettu sona accà vicinu
canta l’amanti lu pirdutu amuri:
“Trisolu sciatu, sciamma, astru divinu!”

E’ Capu d’annu. Finarmenti l’uri
tantu disiati vinniru, la festa
s’aspittava cu gioja e cu firvuri…

Ma quantu dolu ancora nun ci resta!
si rinnovanu agurii ed alligrizzi
e la jurnata cuntenta s’appresta.

 ‘Ntra lu fumeri, ‘ntra li gran ricchizzi,
sempri lu stissu e mai la farsa muti,
tempu, tu chi la vampa sempri attizzi

e misuri li seculi a minuti!



NATALE E LA SUA STORIA - Domenico Orifici

NATALE E LA SUA STORIA
Domenico Orifici
 Al posto delle festività natalizie, un tempo vi erano le festività del solstizio d’inverno, più note col nome di Sol invictus. Risalgono a tempi antichissimi: I persiani cantavano al sole che tornava a crescere con la sua luce e il suo calore; gli egiziani con processioni rituali festeggiavano la nascita di Horus, la loro principale divinità. I romani celebravano, dal 17 al 23 dicembre, le saturnali, festività in onore del Dio Saturno. Nel 274 l’imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si dovesse festeggiare il sole e fece costruire un tempio che inaugurò il 25 dicembre.
Gli storici cristiani cercarono d’individuare la data esatta della nascita di Gesù, ma era come cercare un ago nel pagliaio dal momento che i vangeli non ne accennarono. L’unico dato approssimativo erano i riferimenti al re Erode e al censimento, ma niente di definitivo. Gli studiosi ecclesiastici fissarono la data da festeggiarsi i natali di Gesù solo nella prima metà del 400. Nella scelta della data, più che il caso prevalse il fatto che in un almanacco, redatto nel 354 d.C. da Furio Dionisio Filocalo, vi è un frammento di un calendario liturgico cristiano in uso a Roma, che alla data VIII Kalendas Ianuarias, cioè il 25 dicembre, è scritto: Natus est Christus in Betleem Judaeae.

Così la chiesa sovrapponeva alle festività pagane la festività Cristiana, ma le usanze per i festeggiamenti dell’ Invictus solis erano talmente radicate che resero difficile l’inserimento della nuova realtà. Usanze pagane rimasero nei riti della Chiesa per molto tempo fino ad arrivare ai nostri giorni, fra i tanti il ceppo di Natale con cui gli adoratori del Dio Sole volevano aiutare l’astro a riprendersi dopo i duri giorni antecedenti al solstizio. I sacerdoti e i papi si lamentavano perché i cristiani prima di entrare nelle chiese s’inginocchiavano davanti al Sole. Se per i cristiani dell’Europa occidentale è assodato che Gesù è nato il 25 dicembre, non sono dello stesso parere quelli dell’Europa orientale che festeggiano la nascita di Gesù il 6 gennaio e altri popoli in altre date “Paese che vai, usanze che trovi” per dire che nelle regioni ove attecchì il cristianesimo, il Natale non sempre è interpretato e vissuto allo stesso modo: nel nord Europa il simbolo del Natale è un albero di conifere sotto cui vengono portati i doni. In alcuni paesi della scozia oltre all’albero che si fa in casa se ne fa un altro fuori a cui vengono appesi cibi appetitosi per gli uccelli.
Nei paesi dell’Europa centrale prevale la figura di San Nicola di Bari che nella notte del 25 dicembre entra in tutte le case attraverso le persiane per portare i doni ai bambini; nell’Europa settentrionale lo stesso San Nicola di Bari diventa Santa Claus che guida le renne per portare i doni ai piccoli di tutto il mondo; Da noi prevale il presepe quale simbolo della natività. I regali vengono portati da Gesù la notte di Natale e dalla befana il 6 gennaio.
Ai nostri giorni, caparbiamente, è entrata la figura coloratissima di Babbo Natale, che, nato, pare, in America, nelle festività natalizie porta doni ai bambini. In Spagna a portare i regali sono i re magi che a cavallo o sui carri dividono caramelle e dolci per le vie delle città. Il Natale per i Cristiani ha voluto significare il risplendere della luce: Dio è luce! Il vangelo di Giovanni: “Io sono la luce del mondo”. E’ Luce per vedere la via della salvezza, dell’amore del prossimo, del rispetto reciproco.
Per i cristiani è stato pure il motivo per riunire le famiglie. Tante partono da paesi lontani per riunirsi ai vecchi genitori e ai parenti per vivere assieme i valori che questa festa ci trasmette: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, recita un vecchio proverbio.
Oggi questi valori si stanno tradendo: colpa del benessere, della superbia e dell’invidia. Prevale il consumismo: acquisti di doni sempre più costosi, superbia di andare in villeggiatura e invidia per non essere da meno delle persone amiche.
Tutto questo porta i figli su una strada che snatura i veri valori del Natale, della famiglia e della società, facendo intravedere un futuro sempre più tenebroso.



ASPITTANNU LU NATALI
I cristiani in allegria
aspettanu Lu Missia.
Pi li strati ‘u zampugnaru
 sciuscia e sona paru paru.
Lu paisi è tuttu luci
 e li genti su’ chiù duci .
‘Nta li casi arricugghiuti
Nonni e figghi chî niputi.
‘U presepiu cu li stiddi,
fannu ‘ granni e picciridi
‘nta li casi e ‘nta li strati
cu li cosi chiù amati:
boi e sceccu â manciatura
 pi quodiari ‘u Sarvaturi,
‘i re magi chî cammelli
pi purtari doni belli,
pû Bamminu adurari
Artigiani e picurari.
Di l’autra parti dû viali
si scunusci lu Natali:
ci su’ mitra e carri armati
 e morti strati strati,
ci su mini sparpagghiati
e barcuni disulati
 Picciriddi abbannunati
O ‘ntâ guerra ‘ntrappulati.
C’è cu’ campa ntê palazzi
‘ntra lu lussu
e ‘ntra li sfrazzi
E cu mori sutta ‘i ponti
Senza pani e senza nenti.
Benestanti e guvirnanti
pronti a fari i villeggianti
‘ntra li pisti e ntra li
Sali comu fussi carnivali
e c’è puru tanta genti
chi campa ‘ntra li stenti
 ‘Nta lu boscu,
sularina c’è ‘na casa senza stidda,
‘na famigghia poverina
senza nenti ‘nta maidda.
 Ni la ‘nsigna ‘u Bammineddu,
dici: “chista è casa mia,
Non è rutta né casteddu
Ma du’ celu è la via”.
Domenico Orifici