domenica 15 gennaio 2017

La Cruna dell'Ago - Anno n. 2 - n. 1 - Gennaio 2017

































ZUCCA BAFFA CONTEST 2017 #LaCrunadellAgoContest Chi ce l’ha più grossa?

ZUCCA BAFFA CONTEST 2017
#LaCrunadellAgoContest
Chi ce l’ha più grossa?
La Redazione
         Grazie sempre alla collaborazione del signor Calogero Pinzone che, con l’amore per la propria passione per la natura e per il proprio lavoro, ha dato l’input, a noi della redazione, di lanciare un simpatico contest, dedicandolo all’angolo degli ortaggi: “ZUCCA CONTEST 2017 -  Chi ce l’ha più grossa?”
            Le prime immagini sono proprio quelle che ritraggono il signor Pinzone, fiero, con le sue zucche baffe. Adesso spetta a voi..
            Partecipate inviandoci le vostre zucche o semplicemente inserendole sul social di Facebook.
         Vi aspettiamo J
#ZuccaBaffacontest2017

#LaCrunadellAgoContest






UCRIA, CON GLI OCCHI DI RANIERI DA BAMBINO. IERI, OGGI…E DOMANI? - Iole Nicolai

UCRIA, CON GLI OCCHI DI RANIERI DA BAMBINO.
IERI, OGGI…E DOMANI?
Iole Nicolai
            Capita spesso di imbattermi in un ricordo, una foto, un aneddoto dell’infanzia che io e Ranieri abbiamo trascorso spensierati e felici, tra le “vanedde” e la Pineta di Ucria, i sapori e gli odori nebroidei, i volti familiari di una comunità piccola che ti proteggeva e ti rassicurava.
            E’ di qualche tempo fa la scoperta di una “santa barbara” dei ricordi!
            Circa un anno fa, ho scoperto che I miei genitori, avevano conservato gelosamente, catalogandoli per anno, i materiali e documenti dei nostri anni più lontani, degli anni dell’incanto dell’infanzia e dei primi passi da studenti delle elementari e medie, salvandoli dall’oblio a cui sarebbero stati condannati per l’inesorabile trascorrere del tempo.
            Ho avuto così la ventura di imbattermi nei quaderni delle elementari di Ranieri e di vivere l’emozionante privilegio di sfogliarne le pagine manoscritte. Un vero tonfo al cuore, per me!
            Da questo piccolo tesoro della memoria abbiamo tratto lo straordinario documento che abbiamo voluto condividere con gli amici della Cruna dell’Ago!
            A dire il vero…inizialmente, mi sono chiesta se volessi condividere e soprattutto commentare un ricordo così emozionante e personale finché non mi sono confrontata, prima con i miei genitori e poi con Maria e Serena (splendide amiche e fondamentali animatrici della redazione).
            Con loro abbiamo deciso di pubblicarlo, perché colpiti dalla semplicità e dal candore con cui, un Ranieri ancora bambino, descriveva il proprio Paese, raccontandone la vita e addirittura la struttura socio-economica su cui si fondava; quello stesso bambino che 17 anni più tardi, spinto dall’amore per il suo paese, avrebbe fondato, insieme a molti di noi, questo giornalino per provare a raccontarne la storia, scommettendo su un futuro migliore.
            Un momento emozionante, dicevo.
            Dapprima sono emersi gli odori, i colori… poi le voci, i volti, le sensazioni dei luoghi e delle persone della mia infanzia…ed ecco, a seguire, riaffiorare dal fondo della memoria le energie che quella Ucria sprigionava, ignara - e forse anche disinteressata - di ciò che le avrebbe riservato il futuro.
            Il documento mi ha impressionato, inoltre, per l’innocente lucidità con cui viene percepita l’importanza del lavoro da parte di un bambino, secondo cui “quello che è più importante che ci sono 4 fabbriche, così ci sono poche persone senza lavoro”.
            Accade così che, oggi, attraverso gli occhi e i pensieri di un bimbo di 7 anni, racchiuse tra le parole custodite dentro un quaderno delle elementari, possiamo riportare alla mente una Ucria che non c’è più, un centro di 1800 abitanti, economicamente attivo ed effervescente, un centro imprenditoriale significativo (Non è questo il momento per ricordare la storia della maglieria nebroidea e siciliana, sulla quale pure potrei dire la mia, se non altro per la storia familiare). Come in una sorta di flash back collettivo che ci fa ritrovare il racconto di una realtà affidata ormai alla storia; una storia forse troppo poco raccontata e forse anche poco valorizzata.
            E’ così che le semplici parole di un bambino ci offrono la possibilità di rievocare anni lontani, gli anni di una Ucria diversa che, addirittura, aveva “8 negozi di generi alimentari (…)” (circostanza che, a confrontarla con la realtà di oggi, potrebbe sembrare frutto della sua fantasia) ed hanno la capacità disarmante di indurre un necessaria riflessione su come è Ucria oggi ma soprattutto come vogliamo che sia! 
            Ed oggi che tutto è cambiato… cosa resta di quella energia e vitalità?
            Io credo si debba stabilire se si tratti di un lento spegnersi oppure di una trasformazione che va governata e orientata! spetta a noi tutti stabilirlo…
            Lo abbiamo detto molte volte. Lo abbiamo scritto anche su queste pagine…
            Siamo convinti che il nostro Paese abbia una rinnovata opportunità di vivere una nuova e forse più sostenibile “vitalità economica” ma è necessario crederci e soprattutto recuperare e dare fondo a tutto l’amore e la passione per i nostri luoghi e avere a cuore la loro sorte.
            Noi ci stiamo provando e continueremo a provarci, convinti che Ucria - e con essa tutto il territorio nebroideo - possano (anzi, debbano) vivere trovando la forza e le energie nei doni e opportunità di cui è ricco il territorio.
            A volte è necessario vedere le cose con gli occhi di un bambino per capirlo!













COMPITINO: IL MIO PAESE - Ranieri Nicolai




VERBO - Antonino Paladina

VERBO
Antonino Paladina
            La gentile e graziosa ucriese ing. Scalisi Maria mi ha invitato a scrivere sul mensile “La cruna dell’ago” su quanto fosse inerente ad Ucria, alla sua storia, cultura, costumi, tradizioni.
            La levatura culturale dei “giornalisti”, i cui articoli ho letto nella rivista – on line, mi hanno per un verso inorgoglito campanilisticamente e per un altro verso scoraggiato a scrivere qualcosa su Ucria: ma una promessa è una promessa.
             Dei costumi ed il fenomeno della globalizzazione ha relegato Ucria – paesino poco più che post-medievale fino ai primi anni del ‘50 - ad oggetto di nostalgia di un periodo magico della nostra vita individuale.
            La matrice culturale di Ucria discende dalla principale attività del paese: agricoltura e allevamento. La notevole emigrazione verso l’estero ed il nord dell’Italia, a seguito della industrializzazione del dopo guerra, ha portato ad una forte diminuzione di occupazione nell’attività agricola. I primi tempi degli anni ’70 emigravano i giovani, dopo un decennio circa, anche gli anziani andavano al Nord. Molti giovani studiavano fuori e non tornavano più ad Ucria.
            Lo spopolamento del paese ha generato un notevole “impoverimento generale”. 
            Sono però presenti tanti elementi culturali, linguistici e elementi storici che vanno preservati dall’effetto tempo: alcuni dicono che il tempo è galantuomo (?).
            In estate, alla fine del periodo scolastico che trascorrevo a Messina in collegio, tornavo ad Ucria con la macchina del sig. Turi “Tataranchio” una Lancia Flavia,  chiedo perdono ma non ricordo il cognome ( Lembo???) di questo signore.
            Secondo i principi pedagogici vigenti ad Ucria in quel tempo “pi nun pigghiari vizi” mia madre mi portava con sé in campagna a lavorare tutti i giorni.
            A luglio si andava a tagliare l’erba nei noccioleti per facilitare, a settembre, la raccolta delle nocciole.
            Andavamo a lavorare “a iurnata” insieme ad altre persone; il gruppo di operai costituiva “l’antu”.
            Disposti in fila obliqua si tagliava l’erba sottostante ai noccioleti. Orario di lavoro:
7.00- 9.00, colazione, 10-13.00, pranzo, 14.30-17.30.
            L’antu procedeva da destra verso sinistra guidato da spata (il primo operaio in alto) che tagliava con la falce l’erba che spinta dal “mazzuni” discendeva verso i secondo operao e così via, chiudeva l’antu ‘u biccheri  che faceva i runci (cumuli di erba recisa)  la mia carriera inizio come acqualoru, e successivamente  a fari i zuccati, fino a che, anch’io, fui misu all’antu.
            Fine agosto e settembre si raccoglievano le nocciole.
            Spesso si verificavano temporali estivi con abbondanza di tuoni e lampi.
            Tutti scappavamo verso un rifugio, seppur precario di un “pagghiaru” al riparo dal temporale.
            Qualcuno durante l’attesa che il temporale si sfogasse, diceva “dicimo u Verbu cussì ‘ni scanza du malu tempu”; ed io che conoscevo questa preghiera recitavo il Verbu.
            Non ricordo dove ne quando ho imparato questa preghiera, probabilmente ero piccolo.

‘U VERBU

Verbu sacciu e Verbu vogghiu diri
Verbu ‘ncarnatu ‘ì nostru Signuri
‘ca chista Cruci vinni a muriri
Vinni a muriri pi nui piccaturi.
Piccaturi e peccatrici
La viditi quant’è bedda chista Cruci?
A la cruci lu videmu a Gesù lu bonsapemu.
Alla valli Gesù fa rosi e sciuri ci su dda.
Ranni e picciuli ama essiri dha

San Giuvannuzzu misu di latu
cun libruzzu d’oru liggennu e scrivennu
O Signuri, o Giuvanni,  pirdunamu i piccaturi
Giuvanni nun li pozzu pirdunari
ca sunu dispittusi e fanu guerri
Travagghiunu di festi principali
Bestemmiunu e rinneganu la fidi
La Matri Santa rispunni e dici:
Lu Verbu cu lu sapi tri voti lu dici
Cu nun lu sapì si lu ‘nsignirà
Cu lu senti e nun lun ‘mprenni
Setti virgati di focu arriprenni
Cu lu sapi e nun lu dici Gesù Cristu lu maladici.


            In genere il temporale si quietava e l’antu era sicuro che la recita del Verbu li aveva salvaguardati dalle intemperie.
            In alcune parti il senso logico della preghiera stenta ma credo incarni il senso religioso comune.
            Sarei veramente contento se qualcuno che conosce questa preghiera volesse socializzare la sua versione.



IL MIO POSTO - Serena Galbato


IL MIO POSTO
Serena Galbato

            Ho letto che le case dell'infanzia non si lasciano mai, che rimangono sempre dentro di noi. Niente di più vero.
            Quando penso a me bambina, esiste un solo posto nel mondo: u Purteddu. Se scendi dalla matrice, c'è un arco; se ti affacci dal paravento, vedi una scinnuta, una scalinata rigogliosa di gramigne che dirige scrupolosamente gli occhi al cuore del quartiere Annunziata e, poi dopo, alle montagne di Belinu.
            A proposito di quelle erbacce, quando facevo la capricciosa, mia nonna mi biasimava: “Va' strichiti 'nta niputedda!”. La nepetella è un'aromatica, simile alla menta, mi viene da immaginare con proprietà terapeutiche contro il malannò dei mocciosi, per l'appunto.
            Gli inverni a casa dei miei nonni erano dolci come le nocciole zuccherate di Parmina e, quando nevicava sul cocuzzolo i Casteddu, la sua cucina era in fermento come il mosto che vugghi: farina, uova e, a menzijornu tagghiarini c'a linticchia!
            Il sabato pomeriggio, sempre in inverno, si andava al Catechismo, al Teatrino: al Teatrino, molti anni dopo, nacque la Cruna dell'ago. Ricordi "stretti indispensabili", com’u focu della notte di Natale, una corda dell'anima. Ma anche la carta regalo natalizia per proteggere la copertina del Sussidiario, il pane nel latte caldo a colazione, i maglioni di lana cusuti 'e ferri, lavorati a maglia.
            U Purteddu è ovunque io riveda chi sono.


LA 'NTINNA DI CASALE FLORESTA - Luigi Pinzone

LA 'NTINNA DI CASALE FLORESTA
Luigi Pinzone
            Il 26 Luglio di ogni anno si celebra a Floresta, per inciso il più alto paese della Sicilia – superiore a 1240 mt. s.l.m., la festa della Patrona, Sant'Anna. Ancora oggi è possibile per chi ci passi occasionalmente o ci si trovi scientemente, prendere parte ai festeggiamenti. Certamente non ci sono le stesse attrazioni che c'erano negli anni cinquanta, ma probabilmente cose più consone agli anni duemila e non più concatenate alla realtà contadina, pastorale dei '50. Voglio dire che, se nel passato i botti di Capodanno non scandalizzavano nessuno, oggi il maltrattamento acustico degli animali è considerato come un segno di inciviltà. Ma tant'è. Ciascuno è figlio del secolo in cui vive. Dicevo della Festa. Era innanzitutto dal mese di Giugno che tutti i cacciatori affilavano le armi per prepararsi all'evento. Preparazione dei “due botti”, come venivano chiamati i fucili a due canne, o della scopette, acquisto o fabbricazione di cartucce adatte all'avvenimento. Poi c'erano gli allenamenti degli atleti per affrontare le corse e per salire sull'albero della cuccagna. Gli organizzatori intanto a partire dal 23 Luglio, alla fine della Fiera del bestiame, allestivano nel piano antistante il cimitero, la 'ntinna, un pioppo di oltre 20 metri di altezza sulla cui cima venivano, inchiodate le squisite provole di Floresta che gli allevatori facevano a gara a donare in onore della Santa Patrona, legate e ben nascoste sotto un cespuglio di agrifoglio. Finita, la 'ntinna era alta 26 metri. Un plauso a tutte le persone che ogni anno si davano da fare per organizzare lo spettacolo, preparativi che richiedevano una perizia fuori dal comune. E poi arrivava il 26 Luglio, giorno dello spettacolo. Le gare erano quattro, corsa per ragazzi e per adulti, la c.d. Pitruliata, il tiro dei cacciatori e la salita dell'albero.
            Preciso che il pioppo veniva bel scortecciato e ricoperto da grasso di pecora, per cui salire sull'albero era un'impresa molto ardua. La corsa assegnava ai vincitori delle provole. La Pitruliata vedeva i partecipanti tirare alle provole da basso con dei sassi. E chi riusciva a far cadere una provola o un pezzo di provola, se lo aggiudicava. Poi c'erano i cacciatori. Uno spettacolo. Tutti vestiti a festa i cacciatori casaloti e dei paesi vicini sparavano a turno nel tentativo di colpire le corde con cui erano legate, cose difficilissima perchè con i pallini di piombo è quasi proibitivo tagliare una corda. Alcuni compravano delle cartucce speciali, quelle volgarmente chiamate a lupara (si tratta di fare una catena con tre pallini e il filo di ferro, di modo che il colpo possa tagliare lo spago). Ricordo ancora il sapore di polvere da sparo e qualche piombino nella provola che i cacciatori vincenti facevano assaggiare agli amici ed ai parenti.
            Ma ancora c'era un'altra gara. Gli atleti si preparavano a salire sull'albero a petto nudo e chiunque fosse riuscito a salire in cima poteva portare a casa quanto c'era rimasto. Tra i campioni del passato ricordo un casaloto certo Nino Malasacchètta vincitore svariati anni e il campione dei 'crioti, l'amico Ernesto Mazzola.
            Poi la festa si spostava nel centro del Casale ed in particolare nelle numerose taverne dove si poteva gustare il generoso vino Rosso della 'Ssulicchiata, i formaggi, le ricotte e i bambini potevano chiedere ai genitori di poter avere i “cavallucci” fatti con la provola. Poi la sera si ritornava al paesello e la vita riprendeva senza scossoni fino alla prossima festa.
Carpi di Modena, lì 11.01.2017


IMMERSIONI CON EMMA - Vincent Scalisi

IMMERSIONI CON EMMA
Vincent Scalisi
Boston, Massachusetts, è un posto affascinante sotto diversi punti di vista. Decine di migliaia di anni fa, un ghiacciaio ricopriva la maggior parte del nord. Il lento spostamento del ghiacciaio verso sud, lasciò la maggior parte del territorio completamente spoglio. Quando il ghiacciaio si fermò, lasciò dietro di se larghi depositi di sabbia, col tempo il ghiaccio si ritirò verso nord e Boston sorge ora nel punto in cui il ghiaccio si fermò.
            A nord di Boston, affioramenti collinari di granito, sono presenti ovunque mentre a sud, grandi distese pianeggianti di sabbia, governano il paesaggio. Dove il mare incontra la terra, ci sono spiagge di sabbia pura, circondate da massi giganti e scogliere scolpite dall’incessante martellamento del mare.
            Un giorno di luglio 2016, mia figlia Emma mi chiese se volevo accompagnarla ad una immersione subacquea.  C’era qualcosa che voleva mostrarmi, appena a nord di Boston. Avevo atteso questo momento e sapevo che sarebbe arrivato. Emma aveva 21 anni e cominciava il suo ultimo anno all’università, ha trascorso l’estate come tirocinante in una scuola sub ed ha preso lezioni di immersione come parte del compenso. L’obiettivo di Emma era quello di diventare un sub professionista e dopo la laurea, voleva approfondire i suoi studi sull’oceano e quindi aveva bisogno di quel brevetto.
            Io ero nervoso, in passato ho trascorso molte ore e anche molti giorni sott’acqua. La mia carriera lavorativa come subacqueo commerciale di profondità, mi ha portato a costruire ponti e moli e come hobby ho raccolto tutti i tipi di creature marine da tenere e vendere. Il mare è stato parte della mia vita per molti anni, non ero nervoso per l’immersione, ero nervoso per mia figlia Emma.
            Per me personalmente, questo che doveva essere un test per Emma, si è trasformato in un duplice test. Una parte doveva essere quella di verificare le sue capacità di guidare una immersione, sarei stato a disagio nel permetterle di affacciarsi al mondo come guida di immersioni, se non avessi creduto in lei. Questo è un lavoro serio e quando qualcosa va storto le persone potrebbero morire. Non c’è spazio per gli errori; sott’acqua non si finge! Se avessi percepito che Emma non avrebbe potuto guidare una tale spedizione, avrei dovuto affrontare una spiacevole conversazione riguardo il suo futuro.
            La seconda parte del test mi ha colto di sorpresa, non era previsto per questa uscita, ma il risultato della nostra immersione era di trovare per mia figlia un posto nella famiglia. Questa estate Emma ha superato tutte le mie aspettative e non solo perché ha conseguito la laurea.

L’immersione
            L’immersione si è svolta in una calda giornata di luglio. La notte prima Emma è tornata a casa con la macchina carica dell’attrezzatura da immersione, ha affittato le mute, bombole, regolatori e….tutta l’attrezzatura necessaria per portare il padre all’ immersione. Il suo sorriso era così grande che di più non poteva. Abbiamo preparato le nostre attrezzature, seduti nel vialetto, controllando al pressione dell’aria, assicurandoci del funzionamento dei regolatori, imballando e re-imballando i borsoni. Abbiamo mangiato un pasto sano e bevuto molta acqua perché  l’aria delle bombole è molto secca e causa disidratazione.
            Il giorno seguente ci siamo alzati all’alba, la marea sarebbe stata alta intorno le 9 e noi volevamo entrare in acqua al suo picco maggiore. Dopo una leggera colazione Emma mi ha portato a nord, verso un posto dove non ero mai stato, era un posto nascosto lungo una strada sterrata e tra alcune case. Sulla riva di una baia c’era la baracca di un vecchio pescatore, barche da pesca erano alla fonda in un luogo piccolo ma sicuro, non c'era sabbia.
            Eravamo circondati dalle prove del ghiacciaio, abbiamo camminato sulle ossa della terra, grandi masse sporgenti di granito grigio davano alla baia del pescatore la forma di ciotola e fuori dalla baia una grande scogliera declinava dolcemente verso l’acqua luminosa e fredda. Saremmo  entrati dove una volta c’era il ghiacciaio.
            Abbiamo portato l’equipaggiamento su per la collina e giù per il pendio fino alla riva. Il mare era calmo, una leggera brezza da nord faceva puntare le barche in quella direzione. Abbiamo studiato l’acqua, Emma ha puntato alcune alghe, che ci hanno indicato un lento movimento della  corrente che correva parallela alla riva nella stessa direzione in cui soffiava il vento.
            Abbiamo ragionato sull’immersione, ”Prendi la bussola” disse Emma. Eravamo entrambi sulla riva abbiamo fissato la bussola, lei ha ruotato la ghiera della bussola e mi ha dato le istruzioni: “Tara la bussola a 20 gradi, nuotiamo in superficie puntando a 20 gradi, quasi a nord fino alla prima boa della trappola per aragoste. Li scenderemo a 12 metri, quando toccheremo il fondo, continueremo a nuotare puntando i 20 gradi fin ad arrivare ad una ripida depressione, da li andremo oltre il bordo e scenderemo ancora fino a circa 18 metri. Controlleremo l’aria, gireremo a destra e seguiremo la parete est quasi esattamente a 90 gradi sulle nostre bussole. Quando l’aria arriverà a 1200 psi ritorneremo puntando a 220 gradi
            Emma mi chiese ”Hai capito? Riesci a ricordare quei numeri?” Io rimasi immobile li in silenzio con un sorriso da Monna Lisa e mi limitai ad annuire. Non penso di poter essere più contento di come lo ero in quel momento – Aveva superato il test.
            Emma mi ammonì per il fatto che avendo un passato nelle costruzioni, tendevo a stracciare il fondale, rivoltare le rocce e sbattere intorno proprio come un bruto. Emma è un’ambientalista che tiene in considerazione ogni piccola e semplice creatura sulla terra e anche se non c’è nessuna ragione per disturbarle, lei dice di non disturbarle. Era anche molto severa con me riguardo al girovagare e voleva assicurarsi che facessi attenzione al fatto che eravamo una squadra. La verità è, che io tendo a girovagare!
            Ci siamo vestiti mettendoci più tempo del dovuto. Ho controllato la sua attrezzatura e lei la mia, penso che cercavamo di superarci a vicenda e non volevo assolutamente fallire.
Siamo scivolati in acqua, non con la grazia delle foche che abitano queste acque, ma eravamo sul dorso, scalciando con colpi lunghi e forti e ci siamo diretti leggermente di bolina. Emma mi teneva davanti in modo da potermi vedere e ogni tanto mi avrebbe urlato di correggere la rotta e abbastanza presto ci fissammo l’un l’altro, eravamo 100 metri al largo e in 12 metri di acqua, cosi ci siamo immersi sotto la superficie.
            Mi piace nuotare prima a testa in giù; in quei giorni c’era una visibilità di soli 5 metri nelle acque torbide del New England, una foschia grigia-blu è tutto quello che vedi quando inizia la discesa e poi sagome scure cominciano a formarsi quando il fondo diventa visibile. Aumentando la profondità, hai bisogno di far schioccare le orecchie per compensare la pressione, proprio come in aereo, ma al contrario.
            Poi, in un lampo, ci ritrovammo a quattro zampe in un letto di alghe marroni e verdi che ricopriva rocce di varie dimensioni. Prima che me ne accorgessi, Emma mi batteva sulla spalla perché facessi attenzione. Quando sei sott’acqua, la comunicazione con il tuo compagno di immersione avviene con segnali delle mani universalmente usati in tutto il mondo. Lei mi chiese se andava tutto bene facendo il segno di OK verso di me ed io risposi nello stesso modo verso di lei.            Poi si e toccata in polso con due dita dell’altra mano, volutamente mi chiedeva della pressione dell’aria, ho tirato fuori il misuratore ed entrambi abbiamo esaminato il mio e poi il suo, avevamo abbastanza aria per cominciare il nostro viaggio e così ci siamo mossi lentamente 20 gradi a nord
            Lungo la strada abbiamo raccolto qualche grossa vongola nera che sapevamo essere deliziose. Presto siamo arrivati al punto prefissato ed Emma mi ha fatto cenno di andare avanti per primo verso la discesa, è divertente nuotare verso il basso di 20 metri dall’orlo della scogliera, mi sembrava di volare. Quando abbiamo toccato il fondo abbiamo seguito la parete est proprio come avevamo programmato. Io avevo portato un corta fiocina per catturare i pesci ed entrambi avevamo portato un sacco in rete per trasportare il nostro pasto a casa. Presto o notato una platessa e l’ho infilzata e poi un'altra, avremmo avuto pesce e vongole a cena domani.
            Speravamo in qualcosa in più, visto che queste acque sono abitate da un famoso crostaceo “l’Aragosta del Maine”, che sono una delicatezza. Se doveste mai venire nel New England, dovete assaggiare l’aragosta, è una famosa tradizione. Stavamo vedendo le aragoste ma erano troppo grosse o troppo piccole e dovevamo tornare, così ne presi una grande abbastanza. Abbiamo nuotato e strisciato sul fondo quando improvvisamente sono stato toccato insistentemente sulla spalla, era Emma, e si stava toccando il polso perché verificassi l’aria. Mi stavo domandando quando me lo avrebbe chiesto, ed ero abbastanza sicuro di avere 1200 psi di aria rimanente. Mi guardò intenzionalmente negli occhi e girò la mano sulla testa per segnalarmi che dovevamo tornare a riva. Guardò la bussola, posizionò la ghiera, io feci lo stesso trovando la direzione a 220 gradi sud-ovest. Eravamo a 20 metri sul fondo della scogliera, mi fissò ancora una volta cercando i miei occhi, ”seguimi” mi disse con il braccio e la mano, come a puntare la direzione e fece strada verso casa. Ho fatto quello che mi era stato detto, nuotammo fianco a fianco, vicini, urtandoci, indicando interessanti spugne e alghe e vermi e pesci e lumache e…….tra due massi della dimensione di un bambino, vedemmo le chele di una grande aragosta. La raggiunsi ma era troppo tardi, l’aragosta si ritrasse nella sua grotta, restammo fianco a fianco, fissando le punte delle chele. Andai dietro il masso e misi la mano sotto, ma era troppo lontano per raggiungerla, cosi conficcai la mia fiocina nel buco e la ondeggiai avanti e indietro, speravo di stuzzicare l’aragosta e spaventarla per farla uscire dal buco. Non sapevo se stava funzionando, quando alzai lo sguardo e vidi mia figlia mettere le mani e afferrarla con una chela per ogni mano. L’aragosta diede dei colpi di coda cercando di scappare, ma Emma ha resistito alle sue scosse io mi affrettai a prendere la borsa di rete e lei la mise dentro, mentre l’aragosta continuava a combattere. Ci sedemmo li sul fondo, con l’affanno, sorridendo e cercando di non ridere troppo. Avevamo ormai abbastanza prede da portare a casa alla mamma. Abbiamo controllato l’aria nuotato verso casa, stando sul fondo fino a che potevamo alzarci e vedere la riva. Siamo emersi 10 metri dal punto di partenza, ed io sono rimasto sorpreso ed impressionato dalle capacita di navigazione di Emma. Siamo usciti e ci siamo tolti l’attrezzatura e le mute aiutandoci l’un l’altro quando necessario. Ci abbiamo messo molto tempo a mettere via l’attrezzatura, più del necessario, perché io volevo che il tempo si fermasse. Siamo andati via in macchina e ci siamo fermati in un ristorante vicino al mare.      Abbiamo parlato dell’immersione, delle prossime immersioni e del futuro. E’ stato in quel momento che ho realizzato che il secondo test aveva avuto luogo. Ho visto il mio sostituto, cosi come io avevo assunto le funzioni nella famiglia da mio padre. Ho visto in mia figlia le caratteristiche necessarie alle funzioni di guida, non solo nelle immersioni ma anche nella famiglia. Sapevo che un giorno, non oggi, ma un giorno, avrebbe preso le redini della guida da me e preso cura della famiglia. Aveva superato le prove.