LA STORIA DI FIAMA E POLITES
Sebastiano Plutino
Roccaserena era un villaggio adagiato
sui verdi prati in una vallata circondata da alte colline rocciose ed
attraversata dall’Eufrosine, il “Fiume allegro” come veniva chiamato, che
originava, poco lontano, dalle sorgenti della Grande Rocca, la collina più alta
e maestosa. Da qualche
anno, però, la serenità che aveva da sempre permeato la vita del villaggio era
stata in qualche modo turbata. Il motivo? Nessuno riusciva a spiegarselo. Fatto
sta che gli abitanti conducevano le loro attività senza stimoli nuovi, non
sentivano più l’esigenza di aggregarsi, la cordialità nei rapporti con gli
altri era scomparsa. Non ci si riuniva a fine lavoro, come spesso era accaduto,
per chiacchierare tra amici e far quattro risate in allegria magari davanti ad
una grigliata ed un buon bicchiere di vino genuino. Persino il fiume, sempre
vivace e ribollente di vita, nel quale trote ed anguille si rincorrevano felici
tra il gracidìo festoso delle rane, sembrava adesso scorrere lento, adagiato
nel suo letto, quasi obbligato dalla lieve pendenza a dirigersi stancamente
verso il mare.
Qualcosa era cambiato. A Roccaserena
ormai non si viveva, si sopravviveva.
Coloro che maggiormente risentivano di
questa situazione erano, logicamente, i giovani che si ritrovavano avvolti da
una cappa di indifferenza e di rassegnazione, ma che non erano disposti a
lasciar le cose così com’erano.
Fu così che nacque il gruppo dei
Polites formato dai ragazzi di Roccaserena decisi a riportare il loro villaggio
ad essere quell’oasi di serenità ed armonia descritta nei racconti dei loro
nonni.
Volevano dare una scossa agli abitanti
del villaggio e decisero che il luogo delle loro riunioni sarebbe stata una
piccola radura che si trovava ai piedi della Grande Rocca che sovrastava il
paese e nella quale si aprivano diverse caverne, grandi e piccole, alcune delle
quali ancora inesplorate.
Si ritrovavano ogni giorno dopo aver
terminato i compiti di scuola o i lavoretti che i genitori assegnavano loro.
Discutevano riguardo alle azioni da mettere in atto per coinvolgere tutti nella
realizzazione del loro progetto. Era un modo per dar valore al tempo libero,
per vivere un’avventura che li avrebbe visti protagonisti della rinascita di
Roccaserena. Inizialmente avrebbero dato colore al villaggio che pur avendo i
suoi colori appariva come un disegno in bianco e nero nel quale padroneggia i
il grigio. L’avrebbero ridipinto con l’allegria, la gioventù e l’amore con i
loro con i colori sgargianti. Non volevano sognare, volevano realizzare i loro
sogni e sapevano che per realizzarli dovevano agire e non solo immaginarli.
Erano trascorse un paio di settimane
ed il loro impegno non subiva rallentamenti, ma i risultati non erano stati,
soddisfacenti. In paese si parlava
tanto di questi ragazzi del gruppo Polites che si stavano impegnando tanto e
senza altro interesse se non l’amore per la propria terra, ma, purtroppo, la
risposta della gente di Roccaserena non era confortante. Allorchè cercavano di
coinvolgere altri abitanti la risposta era sempre impregnata di pigrizia,
rassegnazione, mancanza di entusiamo, come se il modo in cui si viveva
rappresentasse ormai la “normalità” perché da tempo era così.
Avevano notato che, anche se qualcuno
inizialmente sembrava interessato a partecipare, dopo pochi minuti di
discussione rientrava in uno stato di disinteresse assoluto.
I ragazzi, comunque, non si davano per
vinti ed avevano già realizzato nella piazzetta del villaggio una serie di
aiuole con un bel prato inglese sul quale troneggiavano le corolle di fiori
coloratissimi. Era un inizio e, come si sa, anche il viaggio più lungo inizia
con un passo. L’importante era esser partiti.
Accadde, però, che man mano che i
giorni passavano i fiori, sebbene curati dai Polites, cominciavano a perder
colore e vigore, come se mancasse anche a loro loro la gioia di vivere.
Un giorno, sul far della sera, i
ragazzi erano seduti attorno ad un fuoco nella piccola radura. Avevano riposto
gli zainetti e tutto il materiale che utilizzavano per i loro interventi all’interno di una capannina da loro stessi
costruita con legna ed arbusti e avevano
deciso, per concludere la giornata, di trascorrere qualche ora in allegria
arrostendo salsiccia e involtini di carne da gustare insieme al pane cotto nel
forno a legna acquistati in paese. Discutevano tra loro cercando di trovare
risposta a ciò che accadeva nel villaggio. Non si spiegavano il perché, una
volta realizzato qualcuno dei progetti che si erano prefissati, dopo poco tempo
tutto perdesse la bellezza e la forza che avevano impegnato. Era come se
qualcuno o qualcosa volesse far scomparire la gaiezza scolorando il quadro che
stavano dipingendo con tanto amore. Eppure nessuno interveniva materialmente,
non erano atti di vandalismo a vanificare il loro lavoro, Era l’atmosfera
stessa che avvolgeva il villaggio ad avere un effetto negativo.
Qualcuno dei ragazzi fece notare ai
compagni che, ogni qualvolta terminavano un lavoro, sembrava si formasse
nell’aria una nebbiolina leggerissima, impalpabile, grigiastra che si
depositava su tutto e tutti. Non diedero molto peso a questa osservazione,
anche se a Roccaserena la nebbia non era un fenomeno frequente.
Sebbene fossero stanchi, le risate si
sovrapponevano al suono delle chitarre quando, improvvisamente, il fuoco
cominciò a ravvivarsi sprizzando scintille in ogni dove. Da una delle caverne
ai margini della radura uscirono silenziosamente cinque figure diafane, con
lunghi mantelli scuri, un cappuccio sulla testa ed avvolte da una sorta di fumo
che, come una cappa, li seguiva man mano che si muovevano avvicinandosi ai
ragazzi. Il silenzio piombò nella radura; si sentiva solo lo scoppiettìo del
fuoco.
Le ombre, giunte in prossimità dei
ragazzi, si fermarono con i volti accigliati. Era come se fossero impediti a
proseguire, non riuscivano ad avvicinarsi al gruppo seduto attorna al fuoco.
Spingevano coi loro corpi contro qualcosa che li bloccava ed anche quel fumo
che li avvolgeva era arginato da una forza invisibile. Non potendo proseguire
oltre, uno dei sei, con voce stridula disse:
-
Non
crediate di poterci fermare a lungo! Non riuscirete a colorare Roccaserena!
I ragazzi si guardarono l’un l’altro e
poi rivolsero i loro sguardi impauriti e sorpresi verso quell’essere che
parlava.
-
Vi starete chiedendo chi siamo – esordì
sghigliazzando un altro dei sei – Bene, vi risponderò con vero piacere.
Siamo la Fiamae stiamo seguendo i vostri
tentativi di riportare Roccaserena ad essere un villaggio.
-
Anche noi siamo interessati al vostro
progetto. Pensiamo anche che si potranno ricavare molti soldi, ma siamo
convinti che per andare avanti avrete bisogno di qualcuno che vi segua e vi
protegga da possibili ostacoli.
-
E quali ostacoli potremmo incontrare?
Stiamo lavorando per l’interesse dei nostri compaesani e ciò che ne deriverà
sarà una ricchezza per tutti. Non pensiamo di aver bisogno di essere protetti.
-
Avete detto bene, il vostro progetto
rappresenta una ricchezza. Non pensate che ci possano essere persone invidiose
che vi metteranno i bastoni tra le ruote per prendere il vostro posto?
Ascoltate il nostro consiglio: affidatevi alla Fiama e non avrete nulla da
temere, tutto filerà liscio come l’olio, altrimenti …
-
Altrimenti cosa? – replicarono ingenuamente
i Polites.
-
Nulla, altrimenti, nulla … vedrete.
Così dicendo i cinque si allontanarono
dirigendosi verso la buia caverna all’interno della quale sparirono.
I ragazzi si guardavano increduli non
riuscendo ancora a comprendere completamente il senso di quelle parole. Qualche
sospetto, però lo avevano. Avevano sentito parlare di una sorta di associazione
che si manifestava dal nulla quando erano in gioco interessi economici, ma non
avrebbero mai immaginato di incontrarla sul loro cammino finalizzato a migliorare le condizioni del paese intero.
Rientrarono mestamente alle loro case con l’intenzione di parlarne ai loro
genitori e, perché no, con le autorità che amministravano Roccaserena.
Loro no, non ci stavano, non avrebbero
ceduto alla Famia!
Qualche giorno dopo si recarono di
prima mattina alla radura ed ebbero una bruttissima sorpresa: la capanna e
tutte le loro attrezzature erano ridotte ad un cumulo di cenere. Forse il fuoco
di quella sera non era del tutto spento e qualche scintilla aveva provocato
l’incendio… No, non poteva essere, erano stati sempre molto accorti nello
spegnere il fuoco con acqua e terra prima di andar via e poi la capanna era
lontana dal luogo dove lo avevano acceso. Doveva essere opera della Fiama. Si
guardarono l’un l’altro e lo sconforto si leggeva nei loro occhi. Il pensiero
di cedere, impotenti, al sopruso, alla malvagità e all’ingiustizia andava
facendosi strada nelle loro menti. Cosa potevano loro fare loro se anche gli
adulti erano assuefatti allo stato delle cose? Avevano solo tentato di reagire
rifiutando la protezione ed i risultati non si erano fatti attendere. Sedettero
sconsolati e rattristati pensando di abbandonare il loro progetto.
Ad un certo punto dal vicino boschetto
uscirono quattro ragazze che i Polites non ricordavano di aver mai incontrato
in paese. Erano veramente carine ed irraggiavano una luce particolare.
-
Buongiorno ragazzi come mai quelle facce
tristi? Su con la vita – esordirono con un sorriso
-
Buongiorno a voi – risposero – da dove
venite? Non vi abbiamo mai viste in paese…
-
Infatti non siamo di Roccaserena, siamo in
visita in questi luoghi. Diciamo che viaggiamo molto ed in tanti posti, ma spesso
la gente non ci vede. Però, quando si accorgono della nostra presenza, le cose
cambiano.
-
Dai, diteci come vi chiamate?
-
I nomi che ci hanno dato rispecchiano il
nostro modo di agire che si riflette su chi impara a conoscerci e ci accetta.
Io sono Synéidesis, che vuol dire Coscienza, lei è Thàrros che significa Ardimento …
-
Noi due –
continuò un’altra delle quattro – siamo quelle che abbiamo dato l’opportunità di formare un gruppo
invincibile. Sono Eleutheria, che significa Libertà, lei, invece è Dike, che vuol dire Giustizia.
-
Bellissimi nomi, avremmo proprio bisogno di
voi, ma non so proprio se vorrete aggregarvi al nostro gruppo, siamo
sconfortati e rassegnati, ci sentiamo costretti a cedere alla Famia.
Le quattro ragazze li guardarono dritti negli occhi con
dolcezza e all’unisono dissero loro:
-
Tranquilli, rivediamoci qui al tramonto per
riparlarne.
Così dicendo, si avviarono verso il bosco dal quale erano
spuntate e scomparvero tra gli alberi. I Polites, non avevano idea di cosa
fare. Non avevano le loro attrezzature e, a dire il vero, il loro entusiasmo
era molto scemato dopo l’attacco della Fiama. Si salutarono dandosi
appuntamento alla radura per il tramonto, come le strane ragazze avevano detto
loro.
Il sole stava calando ed i Polites erano
ritornati nella radura. Appena l’ultimo raggio di sole sparì dietro le colline
ecco che apparvero come dal nulla le quattro ragazze. Sempre sorridenti, si
avvicinarono al gruppo e li salutarono.
-
Ancora quelle facce tristi? Guardate cosa
vi abbiamo portato – esordirono mostrando loro un piccolo sacchettino dorato
chiuso da un nastro rosso.
-
Che cos’è, un regalo per noi?
-
In un certo senso sì. E’ un dono semplice
che vi facciamo, ma che potrà trasformarsi in qualcosa di immensamente prezioso
se voi accetterete di curarlo.
-
Su fateci vedere cos’è. Non riusciamo ad
immaginare di cosa si tratti.
I ragazzi della Polites erano
impazienti di vedere il contenuto del sacchettino. Le ragazze con uno sguardo ed un sorriso
dolcissimi lo porsero loro. Una volta aperto i Polites scoprirono che al suo
interno era contenuto un semplice, piccolo seme, ma proprio piccolo.
Guardarono con espressione dubbiosa
le ragazze che replicarono:
-
Perché quelle facce? Vi abbiamo detto che
dovete curarlo se volete che dia i suoi preziosi frutti. Volete farlo?
-
Certo che vogliamo, tanto ormai crediamo
che non avremo molto da fare …
-
Siamo contente che abbiate accettato. E’ un
seme di Fos, che vuol dire Luce. Vedrete quanti e quali frutti vi darà.
Come d’incanto sparirono alla loro
vista. I ragazzi presero quel seme, scavarono una piccola buca mettendolo a
dimora. Lo ricoprirono con della terra e prelevata un po’ della cenere da quel
che rimaneva della capanna ve la posero sopra. Con l’acqua delle loro borracce,
poi, innaffiarono il tutto.
Appena vi penetrò, la terra ebbe come
una vibrazione e pian pianino un piccolo tenero germoglio fece capolino.
Cresceva a vista d’occhio e, tra la meraviglia dei Polites, divenne in pochi
minuti un piccolo albero. Poi tutto si fermò.
I ragazzi aspettarono un po’ di tempo,
ma nulla accadeva. Iniziarono a discutere, ripensarono alle parole delle
ragazze “spesso la gente non ci vede. Però, quando si accorgono della nostra
presenza, le cose cambiano” . Si resero conto che loro le avevano viste, si
erano accorti della loro presenza e soprattutto avevano capito che col loro
aiuto era possibile riprendere senza timore il loro progetto.
Ritornarono felici in paese pronti a
riprendere, l’indomani, il loro lavoro per il bene del paese.
Quando il mattino raggiunsero la radura,
erano animati da una forza di volontà e da uno spirito combattivo come mai
avevano avuto e grande fu la sorpresa nel vedere l’alberello ancor più
cresciuto. Era ormai un albero di oltre due metri, florido, frondoso e con
degli splendidi fiori bianchi dai riflessi argentei.
Da quel giorno in poi agirono senza
timore, raddoppiarono le loro forze per portare a termine il progetto. Più si
impegnavano e tanto più l’albero cresceva, moltiplicava i suoi fiori sempre più
odorosi che un bel giorno si trasformarono in frutti tondeggianti e
trasparenti.
Ormai i Polites non avevano bisogno
neanche di una capanna dove riporre zaini ed attrezzature. L’albero con le sue
fronde li proteggeva dal sole cocente e dalla pioggia. Dopo l’ennesima proficua
giornata di lavoro, i ragazzi sedettero sotto l’albero per riposare. Il sole
era tramontato da poco e cominciava a scendere il buio. D’un tratto dalla buia
caverna videro uscire nuovamente le ombre che ben conoscevano, ma non ebbero
paura, erano tranquilli e sereni. Gli uomini scuri della Fiama si avvicinavano
minacciosi, volevano dare una lezione memorabile a quei ragazzi che osavano
opporsi al loro potere ed alla loro protervia. Non appena arrivarono a pochi
metri dai ragazzi successe qualcosa di inaspettato. I frutti dell’albero
iniziarono lentamente ad illuminarsi divenendo talmente splendenti che la loro
luce accecò i componenti della Fiama che scapparono rifugiandosi all’interno
della loro caverna, mentre l’albero di Fos allungò uno dei suoi rami zeppo di
frutti luminosi che ne chiuse completamente l’ingresso.
La gioia dei Polites esplose in canti
e balli di gioia e, ancora una volta per incanto, apparvero le quattro ragazze
che si unirono alla loro festa.
-
Fin quando ci tratterrete nel vostro cuore
ed agirete di conseguenza, tutti gli ostacoli diventeranno superabili e
l’albero di Fos continuerà a splendere ed a darvi forza. La luce dei suoi
frutti penetrerà all’interno della caverna da dove nessuno della Famia potrà
uscire. Importante è che, col vostro esempio, dimostriate che con noi nel cuore
chiunque può realizzare le opere più belle per il bene della società in cui
vive. Ve lo garantiamo noi: Coscienza, Ardimento, Libertà e Giustizia.
Così dicendo, le quattro ragazze
scomparvero alla loro vista, ma rimasero nei loro cuori.
I Polites erano felici; erano sicuri
di portare a termine il loro progetto e di immaginarne tanti altri ancora.
Avevano imparato che con la volontà ed il coraggio gli ostacoli possono essere
superati.
Come avviene col Fico d’India i cui
frutti all’esterno son spinosi, poco attraenti. Ci vuole il coraggio di
prenderli in mano e sbucciarli, rischiando di ferirsi con le spine che li
rivestono. Ma quando il timore e la riluttanza vengono superate, la polpa
racchiusa all’interno è di tanta squisita dolcezza che ripaga con gli interessi
il rischio corso.
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