* Angela Niosi *
Non
sei come gli altri, no davvero.
Nel
profilo ondulato e regolare dei monti, tu ti
innalzi con superbia quasi umana.
Lo
capisco dalla tua posa, sdraiato
come una donna annoiata ma viva.
Dove
guardi? Cosa vedi tu che io non oso
vedere?
Non hai occhi, o forse sì, e quel tuo naso con
ciuffetti pelosi sembra quasi sul punto di starnutire ginestre.
Sei
calvo, solo screpolature di pietre e
qualche macchia di verde senza un ordine preciso.
E un
lungo prolungamento all’indietro, di cui non si
distingue la fine.
Non
ricordo quando è stata la prima volta che ti ho
visto, ricordo però che mi hai incuriosita fin da piccola quando, guardandoti
con occhi sognanti, immaginavo ardite scalate sulla tua groppa per accarezzarti
la testa da sfinge.
Avrei
voluto che ti girassi qualche volta verso di me ma tu
non mi hai mai guardato.
Eri tu che annunciavi il freddo e
l’arrivo della neve perché eri il primo a catturarla, tu così vicino al cielo
che ci potevi anche parlare e, se non avevi voglia di mostrarti, ti nascondevi
dentro una nuvola che era lì solo per te.
Io
rimanevo male se non ti vedevo, mi dicevo è
scomparso, forse è arrabbiato ma poi riapparivi e gli altri monti ti si
sottomettevano; per un po’ avevano avuto l’illusione che tu fossi uguale a loro,
della loro stessa statura perché così sembravi quando ti avvolgeva la nuvola.
Ma
quando lei aveva finito di consolarti, tornavi, protagonista di sempre.
Magico
era, per me, il modo in cui cambiavi forma
guardandoti da altri punti di vista e mi chiedevo in quale punto esatto
avvenisse la tua metamorfosi.
Non mi sono mai avvicinata troppo a te, ho sempre preferito guardarti da
lontano per paura di rompere un incantesimo ma, da grande, ho capito che sei
stato messo lì a guardia della vallata.
Qualcosa ci unisce, monte Cucuddru … forse il fatto che entrambi vorremmo essere più vicini al cielo.
Disegno di Greta Barone
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