LA CULTURA
DELLA PIETRA.
Maria Scalisi - Iole Nicolai
Un antico proverbio africano dice che “Se le formiche si mettono
d’accordo, possono spostare un elefante”. Noi ci stiamo provando… e
siamo determinati a riuscirci…
E’ questo lo spirito con il quale lo scorso 10 dicembre, l’Associazione
culturale “Nebrodi”, guidata dall’instancabile ed eclettico Prof. Florena, con
il patrocinio del Parco dei Nebrodi e della Banca del Germoplasma (di cui
abbiamo già scritto), avvalendosi del contributo organizzativo
dell’Associazione che cura questo giornalino, ha messo in campo l’evento “La
cultura della pietra”.
Una iniziativa importante per sforzo profuso, caratura scientifica
dei relatori, tema trattato e presenza di illustri ospiti. Un evento volto alla
valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni del Paese di Ucria,
che ha fatto del nostro paese un “centro culturale dei Nebrodi per la
promozione di quell’identità storico –culturale e scientifica, costruita sulle
eccellenze” (così la rassegna stampa sull’evento).
L’iniziativa si è inserita
nell’ambito di un complessivo, più ampio, disegno a mezzo del quale
l’associazione promotrice ha inteso segnare il passo per il rilancio di una
economia sostenibile, indirizzata al recupero degli elementi distintivi
caratterizzanti la nostra cultura e con l’obiettivo di trasmettere alle giovani
generazioni il complesso valoriale espressione autentica del nostro territorio,
quale “esempio” concreto. Un modello da proiettare nel futuro, attraverso gli
strumenti più innovativi, perché – per dirla con le parole del Prof. Florena -
“siamo convinti che formazione e sviluppo
del territorio siano un binomio imprescindibile per costruire un sano futuro
nel segno della sostenibilità e recupero dell’eccellenza” (segnaliamo al
riguardo, il significativo ed importante gesto compiuto dalla famiglia Florena
che ha ufficializzato, proprio in quella sede, la volontà di istituire e
sostenere, anche economicamente, una borsa di studio da destinare ad un giovane
ricercatore dell’Università di Palermo, per approfondire lo studio della
nocciola dei Nebrodi).
Lo spirito, insomma, è stato quello di suggerire “modelli” sani e
propositivi che affondassero le radici, ben salde, nel terreno della tradizione
ma che, al contempo, sapessero affrontare le scommesse del futuro.
Insomma, cari lettori…È stata una giornata densa di significati
per il nostro Comune e per tutto il territorio. E’ stata davvero una bella
giornata!
Alla presenza del Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe
Antoci, del Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, del
“padre” della Banca del Germoplasma di Ucria, il Botanico Francesco Maria
Raimondo (che ha concluso i lavori), del dirigente regionale Salvatore
Giarratana (che ha illustrato la nascita della Banca del Germoplasma, avendo
avuto un ruolo primario nella sua realizzazione), della Professoressa Angela Di
Giorgio Marciante (segretario dell’Associazione “Nebrodi”) e naturalmente del
Prof. Florena, abbiamo avuto l’occasione di apprendere gli approfondimenti
scientifici condotti dal Prof. Valerio Agnesi sulle caratteristiche geologiche del
nostro territorio. Ed abbiamo anche potuto inoltrarci nei meandri della nostra
cultura locale così fortemente caratterizzata dalla lavorazione della pietra tipica
del nostro territorio (un plauso va anche a chi, come Nino Rigoli, nel nostro
Paese, coltiva la passione per l’arte della lavorazione della pietra).
Insomma “la cultura della pietra” al centro, tra il passato e
futuro, tra tradizione e innovazione, come spunto per proiettarsi in un futuro
in cui la tradizione locale trovi la sua necessaria ed opportuna
valorizzazione!
La pietra e il lavoro che i “Maestri scalpellini” (ovvero, come
l’abilità di un maestro trasforma le pietre in opere d’arte) di Ucria hanno
saputo sviluppare, rappresentando, per molto tempo, l’ossatura del contesto
economico del paese.
La storia del nostro paese è “cultura della pietra”, poiché si
intreccia inesorabilmente con lo sviluppo di questa arte di cui si ravvisano
tracce, in ogni angolo di Ucria.
E’ quanto accade in molti luoghi e paesi. L’edilizia riceve spesso
caratterizzazione e diversificazione dalle pietre che si utilizzano per
costruire le case, sicché l’architettura, traendo qualità ed aspetto del
materiale, si lega strettamente al paesaggio.
“La costruzione era in un certo modo un prodotto del suolo nel
quale sorgeva. Dall’esame delle costruzioni un naturalista poteva già farsi
l’dea dei tipi di roccia affioranti in un dato luogo” – (Veggiani).
La geomorfologia del suolo ucriese mette a disposizione un gran
numero di cave di pietre con innumerevoli alternative e possibilità di impiego.
Oggi ad Ucria di cave per estrarre la pietra resta ben poco: se ne
intravedono le tracce “ancora leggibili nel paesaggio”, restano i fronti
d’attacco, le enormi ferite aperte sui monti, alla base i detriti, le brecce. E
le memorie.
C’era pietra e pietra, cava e cava. Anche dal punto di vista
qualitativo. Diverse finalità e diverse valenze. Per non parlare delle
consistenze, durevolezze, colori, finezze di grana.
Le cave si trovavano in zona Orelluso, a Piano Campo, al Piano
Muto.
Le modalità estrattive avvenivano dal distacco di un blocco dal
banco, determinato dall’andamento delle stratificazioni. Si procedeva dapprima
ad incidere in superficie con l’aiuto di punta o mazzuolo, una sorta di
canaletta di pochi centrimetri e inserendo poi dei cunei di legno, (cugnu)m che
venivano banati per aumentare la pressione e riuscire ad aprirlo, sempre con
l’aiuto di una mazza. Seguendo le fratture si procedeva lo sfaldamento dello
strato.
Tutto un piccolo mondo gira intorno al lavoro della pietra.
Cavatori, tagliapietre, scalpellini, con ruoli e specializzazioni diverse,
sacrifici e da consuetudini familiari che si tramandano di padre in figlio.
L’azione di estrazione della pietra a cielo aperto e della
sbozzatura e rifinitura viene oggi ricordata come un lavoro duro, faticoso e
rituale.
Ucria, nel tempo, ha evidenziato sempre una grande artisticità dei
suoi figli, attraverso appunto l’abilità degli mastri della pietra. Gli
scalpellini, artisti da taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini
affondano nel passato. Gli scalpellini ucriesi contribuirono un impulso
notevole dello sviluppo artistico del paese.
Le opere visibili in Ucria sono la testimonianza principale dei
bellissimi portali delle chiese di San Pietro Apostolo, la chiesa Madre, la
chiesa di SS. Annunziata, la chiesa della Madonna della Scala e tutte le altre
chiese secondarie, in cui è ben visibile la presenza di questa maestranza.
Colonne monolitiche, sovrastate da capitelli riccamente decorati, nonché le
cornici dei balconi, delle mensole e dei “cagnoli” degli antichi palazzi, come
quelli presenti nel palazzo Baratta, in via P. Bernardino.
Nell’ultimo trentennio il cemento armato, l’asfalto e la pietra
lavica hanno deturpato completamente quello che erano le nostre strade,
rimanendo a noi solo un ricordo fotografico.
Ucria vanta decine di famiglie di scalpellini, mestiere tramandato
di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, ma oggi sono quasi del
tutto scomparsi, resta il nostro caro marmista Salvatore Vinciullo, anche se col
riformarsi della pietra, si nota una ripresa di questa antica attività, grazie
all’abilità e alla voglia di ripresa di questo antica mestiere di Nino Rigoli e
Salvatore Crisà.
La pietra che lavoravano i nostri scalpellini era la locale pietra
arenaria che prelevavano dalle varie cave: Piano Muto, O Casteddu, Piano Campo,
Orelluso e tante altri luoghi ove affiorava la pietra.
Dopo aver scelto il blocco arenario, gruppi di scalpellini
lavoravano in situ i la pietra, o la trasportavano fino al luogo dove si
effettuava la lavorazione vera e propria, trasformandola in vere opere d’arte.
L’abilità stava nelle mani di chi conosceva il proprio mestiere.
La mia famiglia, mio nonno, Calogero Matteo Scalisi era uno scalpellino, è
tramandò questo mestiere ai figli, ma colui che abilmente lavorava la pietra
era mio zio Vincenzino.
Questi lavori in pietra sono manufatti
che non solo abbelliscono, classificano e donano bellezza alle antiche casa ma
ne determinano l’armonia e la bellezza dell’insieme al nostro territorio
ucriese, che ne è testimone.
Oltre ai portali, si realizzavano
davanzali, cornici alle finestre, soglie alle porte, gradini, balaustre. Tutto
doveva essere di pietra, più o meno pregiata a secondo della disponibilità
finanziaria del committente.
Gli attrezzi principali del lavoro erano
“la squadra” per definire gli spigoli, per determinare l’angolo retto tra le
due facce adiacenti, tutt’una serie di scalpelli perfettamente affilati e di
buon materiale acciaioso, mazze e mazzuoli, martello a due teste, il compasso,
la livella, la sgorbia, la buggiarda, strumenti che venivano di volta in volta
usati, secondo la specificità del lavoro.
Il tutto è semplicemente un lavoro
manuale, e, sicuramente, un lavoro di grande vanto.
La graduale sostituzione dell’uomo con
le macchine è determinato anche dai macchinari ed è anche determinato dal fatto
che non ci sono più uomini con la passione e la volontà di imparare questo
mestiere. Ecco perché si considera un lavoro in “via di estinzione”.
Chissà… forse cambierà qualcosa?! Noi ci crediamo!
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