Angela
Niosi
Con
gli anni si era accorciata, forse per colpa di quella ondulazione che le era
spuntata fra il collo e le scapole.
Carnagione chiara, occhi scuri
come il dolore che le tormentava l’anima, labbra sottili che bloccavano la via
di fuga alle parole.
Sgranava
rosari più di una volta al giorno ricordando nelle preghiere i suoi cari che
aveva perduto senza avere avuto neanche il tempo di conoscerli.
Restia a parlare di sé, non
capivo se per pudore o per diffidenza, era votata alla rassegnazione e alla
malinconia.
Risparmiava
su tutto perché aveva patito la fame e conservava sempre qualcosa per
l’indomani preoccupata com’era della sopravvivenza e del non si sa mai come va
la vita.
Vestiva
sempre di nero perché aveva subito molti lutti ma il lutto più grande ce
l’aveva nel cuore. Quel cuore incapace
di sganciarsi dal dolore, quel cuore tenuto a bada per mostrarsi forte, quel
cuore recintato per impedire alla gioia di entrarci.
Difficile
era, per lei, lasciare andare le sue mani in un abbraccio o in una carezza e se
la chiudevi tu fra le braccia, rimaneva rigida per non sgretolarsi.
Aveva
quella saggezza tipica delle donne dei suoi tempi, sapeva fare tutto ciò che
era richiesto ad una brava donna di casa ma era dotata anche di una notevole
intelligenza, di cui era consapevole, che
suscitava ammirazione e rispetto in chi la conosceva.
Era
sicura di avere la protezione du Signuruzzu e della Madunnuzza ma sembrava si
lasciasse spingere dalla vita… le cose vanno come devono andare, chi nasce
sfortunato muore sfortunato… chi poco
parlò mai si pentì.
Ed
io mi sono pentita di non averla mai capita abbastanza e di essermi sempre
staccata troppo presto dagli abbracci che le offrivo e che lei dosava di tempo.
Ora so che avrei dovuto prorogarli per dare ai
suoi sentimenti la possibilità di spezzare le sbarre della prigione in cui
erano soffocati.
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