Ci fu un tempo ormai lontano a
cavallo degli anni settanta, in cui ad Ucria si respirava un’aria di rinascita industriale che avrebbe
comportato una ventata di benessere certo e diffuso. Un clima di riscatto dalla
dura attività agricola che per secoli aveva connotato l’economia locale, dando
si sostegno ai tanti, ma in quantità appena sufficiente al vivere quotidiano.
Solo per “campare”.
Fu un tempo nel quale nelle strette
vie del paese rumoreggiavano incessantemente le macchine per maglieria azionate
da centinaia di giovani ed energiche donne che, per alcuni lustri, si sentirono
le magliaie di Carpi,
ricche di sogni e speranzose per il loro futuro.
Iniziò così, ma passò veloce come la scia
di una meteora, il fenomeno della tradizione artigianale tessile di Ucria,
paese dei Nebrodi, divenuto solo per poco tempo, capitale siciliana nella
produzione di maglierie.
Nel poema omerico l’Odissea, il povero Ulisse dopo avere
conquistato Troia, lottò contro il fascino irresistibile dei suoni emessi dalle
Sirene che attiravano i marinai di passaggio, i quali ammaliati, s’avvicinavano
imprudentemente alla costa rocciosa restandone vittime.
Non fu la stessa impresa epica, ma certamente il fascino dei suoni
c’era ( quello meno melodioso delle macchine da cucire, delle macchine da
taglio per tessuti e dello sbuffare dei ferri da stiro industriali ) e fu
difficile resistervi.
In quel tempo, erano in tanti che
tornavano a villeggiare al paese nei mesi estivi ed uno di questi si fece
particolarmente notare per il suo raggiunto benessere, a parere dei più smisurato, accompagnato da
chiara ed indiscussa fama di capace imprenditore.
Il nostro amico, messo alle strette dai
vecchi compaesani non fu parsimonioso nell’offrire consigli, quanto questi,
nutriti dei suoi suggerimenti, si dimostrarono particolarmente bramosi di
iniziare un’avventura imprenditoriale totalmente nuova per il territorio
montano: i maglifici.
Alcuni dei primi pionieri: Gino Murabito, i fratelli/cugini Martelli, Nino
Vinciullo, Nino Aquilia, Vincenzo Maturi e Gino Nicolai, strinsero i primi
accordi che diedero vita alla “Createx”, primo rudimentale opificio
manifatturiero che incominciò a prendere vita non lontano dalla piazza del
paese dove, agli albori, si incominciarono ad effettuare le prime
prove con la produzione di magliette a girocollo, e successivamente con i
maglioni dal collo alto e rivoltato,
perfettamente aderente, conosciuti come dolcevita. Non erano certo capi
sartoriali, anzi ordinari e quasi totalmente acrilici, ma l’entusiasmo montava
incessantemente come la produzione. D'altronde, la commercializzazione della
merce non costituiva primario problema, perché in loco veniva effettuato solo il confezionamento su un modello base predisposto per conto di
terzi. In sostanza, il prodotto veniva realizzato dal c.d. “fasonista” sulla
base di un modello di riferimento e con materiale semilavorato, come ad esempio
il tessuto precedentemente tagliato altrove,
e poi, il prodotto finito veniva prevalentemente commercializzato con
marchi altrui.
La paga non era poi altissima, in fondo i piccoli industrialotti
del nord, incominciavano così, a piccoli passi, il lungo ed infinito processo
di delocalizzazione (ancora in corso), che avrebbe toccato prima l’estremo sud
dell’Italia contadina, per arrivare poi lentamente a coinvolgere tutte le aree
estere divenute più appetibili in virtù di una retribuzione sufficientemente
bassa coniugata ad una scarsa sindacalizzazione. Regola di mercato aurea che
non conosce etica, resta sempre quella di massimizzare i profitti.
Il
miracolo economico del settore manifatturiero aveva avuto inizio. Il germe
piantato ad Ucria, si diffuse ben presto in tutti i paesi vicini: a Sinagra, a
Naso, a Castell’Umberto, ma anche a Brolo, Capo d’Orlando, Torrenova e
Sant’Agata di Militello, portando ad un inarrestabile reazione a catena che
pareva trascinare l’economia locale verso quella che sembrava la tanto attesa,
vera, vocazione industriale.
Gli effetti furono palpabili nel volgere di qualche anno, la
manodopera locale non fu più sufficiente e si dovette ricorrere anche a
maestranza che giornalmente giungeva al paese dai vicini territori di Raccuia,
Castell’Umberto e financo Tortorici .Tutti, se l’avessero voluto, avrebbero
trovato laboriosa occupazione come operai/e, a tutto beneficio del loro reddito
complessivo.
Ad un passo dal cielo.
Era come essere a San Giovanni Rotondo, dove per merito di un
anziano monaco, poi Santo, l’economia incominciò a rullare come fa un aereo in
fase di decollo, diffondendo a cascata i
suoi positivi effetti su tutti gli abitanti. Avvenne così il primo miracolo,
quello economico, ingiustamente mai
attestato o riconosciuto come tale dalla procedura canonica.
Già qualche tempo dopo,
la maturata esperienza produttiva fece incominciare, in un locale prospiciente
la strada statale 116 a Santa Caterina, la realizzazione di giubbotti e
pantaloni in tessuto jeans, e poi, nel volgere di poche stagioni, la produzione
talvolta “arrangiata” in minuscoli ambienti, fu trasferita progressivamente in
locali sempre più organizzati, dove squadre di infaticabili operaie
geometricamente allineate e costantemente con il capo chino, producevano merce per le più blasonate griffe
internazionali: Armani, Valentino, Trussardi, Fendi, Gucci, D&G …
Ci fu un tempo pure,
per avviare forme aggregative comuni con
il “Consorzio Tessile
Siciliano” che ebbe sede a Sinagra in Via San Biagio. Lì, infatti, come in
altri siti si era spostata gran parte della produzione che usciva di fatto
dalla ristrettezza dei luoghi ucriesi che non furono mai capaci di dotarsi,
nonostante gli annunci, di una vera area artigianale.
In quegli anni, la Fiat produceva un’orribile autovettura
commercialmente sostenuta nell’immagine dallo slogan pubblicitario “Ritmo, l’evoluzione della
specie”. Nonostante l’estetica non suscitasse particolare entusiasmi, aveva un
nome che evocava un movimento musicalmente piacevole ed allegro. Similmente
nello stesso periodo storico, anche Ucria appariva parimenti in evoluzione e
ben più vicina nella sua diffusa mentalità imprenditoriale alla Milano “da
bere”.
Quanti e quali siano stati
i risultati positivamente terreni che ne scaturirono è difficile dirlo, ma
sicuramente tanti: amori, matrimoni, sicurezza economica, case, mobili,
“picciriddi”, impegni da onorare e pure tante belle cambiali da pagare per chi
ebbe il coraggio e la voglia di rischiare imbarcandosi nell’avventura.
Il sogno infatti fu effimero ed il
fiammifero con la capocchia al fosforo
dopo l’allegra scintilla, arse con naturale velocità nelle mani del suo
sbigottito detentore.
Sarebbe lungo l’elenco delle
numerosissime realtà imprenditoriali che coinvolsero gli ucriesi:
-
il
Maglificio Gama’s che ha iniziato l’attività nel 1982 con Paolo Martelli a
Santa Caterina;
-
il
Maglificio Simar di Giuseppe e Rosaria Murabito di Via San Biagio a Sinagra;
-
il
Maglificio Stemon di Francesco Maturi con sede a Capo d’Orlando;
-
il
Maglificio 3M di Maria Vinciullo con sede in Via Padre Bernardino;
-
il
Picchio di Signorino Martelli con sede a Brolo;
-
la
Futur Moda di Martelli Maria con sede in Via Carmine ad Ucria;
-
la
Alexmoda di Paolo Martelli Paolo con sede a Castell’Umberto;
-
la
Decormoda di Paolo Martelli con sede ad Ucria in Via Padre Bernardino;
-
la
Elvis di Rosalia Martelli con sede in Via Provinciale di Sinagra;
-
il
Maglificio Stefj di Ernesto Ricciardi con sede a Gioiosa Marea;
-
la
Confezioni Primula di Gabriele Martelli con sede in Via Padre Bernardino;
-
la
Confezioni l’Emanuela di Emanuela Maturi con sede in Via padre Bernardino;
-
il
Maglificio Gabry di Giuseppe Verdura con sede in Via Francesco Crispi ad Ucria;
-
il
Maglificio Esseci di Salvatore Cugno con sede in Via Francesco Crispi ad Ucria;
-
il
Maglificio Aemme di Maria Casella con sede in via San Biagio a Sinagra;
-
la
Sara Sport di Rosaria Maturi con sede ad Ucria in Via Padre Bernardino;
-
la
Confezioni Guglielmo di Salvatore Murabito con sede in Via Crispi di Ucria
-
il
Maglificio Sara di Anna Casella in Via San Biagio a Sinagra;
-
la
Texconf di Francesco Maturi con sede a Sinagra in contrada Gorghi;
-
il
Maglificio C.D. Carpe Diem di Francesco Maturi con sede in Via Guttuso a
Sinagra.
Per ultimo cito “Carpe diem”, per il
suo significato letterale (da Wikipedia) "cogli il giorno", troppo
liberamente tradotto in "cogli l'attimo", anche se la traduzione più appropriata
sarebbe "ruba un giorno (al tempo)", ovvero una sorta di invocazione
a cercare di porsi al di fuori dall'interminabile e continuo ciclo
"distruttore" dell’addivenire.
Oggi il deserto industriale si è
riappropriato come la gramigna dei luoghi. Non si sente né il ticchettio
frenetico delle macchine da cucire, ma badate bene, neanche il suono ben più
armonioso delle nocciole “paliate”.
E’ sceso il silenzio.
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