NOTERELLE
UCRIESI 6
QUARTE DIVAGAZIONI ONOMASTICHE: SOPRANNOMI,
ANIMALI E CONTESTO SOCIALE E LAVORATIVO
Nino
Pinzone “Palagunia”
Si è visto, nelle precedenti divagazioni
onomastiche, come l’origine dei soprannomi ucriesi possa essere la più varia,
ma la casistica non si è certo esaurita, anzi. Ho deciso di portare avanti,
s’intende per puro divertimento e senza alcuna pretesa di completezza e
scientificità, il mio lavoro di analisi e pertanto, a costo di annoiare i miei
pochi ma affezionati lettori, propongo qui altri gruppi di ‘nciurie, a cominciare da quelle che
hanno a che fare con nomi di animali.
Eccone un elenco, tratto dalla solita
fonte:
Aciddittu, Agneddu, Beccu, Buffu, Buffi
(Ttacca), Cagnulinu, Capuni, Chiattidda, Ciaredda, Ciauledda, Cirnecu, Cuccu,
Cunigghiu, Elefanti, Gaddazzu, Gaddina (Coddu ‘i), Gaddinedda, Gaddu, Gaddu
biancu, Gadducefiru, Gatta, Gurpigghiuni, Gurpuni, Jaddu, Jadduzzu, Jirriddu,
Lepri, Lepru, Liuni (Brasi)‘u Lupu, Lupu, Lupu minariu, Merlu, Mulu, Oca (Porca
l’), Paventula, Pecura bianca, Pernici, Picuredda, Pisciucani,
Pisciustoccu, Purvitruni (o Purvitiruni?), Rizzu, Sceccu, Suricittu,
Taddarita, Viteddu, Vitiddazzu, Zafratedda, Zafrocu, Zazzamilla, Zicca.
Come
si vede, per tali soprannomi sono utilizzati praticamente tutti i tipi di
animali, da quelli domestici a quelli selvatici, dagli uccelli ai mammiferi caratteristici
della fauna delle nostre case e delle nostre campagne, con qualche piccola
eccezione però, come Elefanti, Pisciucani, Pisciustoccu, Lupu minariu. Tra le eccezioni anche Gadducefiru, verosimilmente
sicilianizzazione di Gallo Cefalo, nome che niente sembra aver a che fare con
il maschio delle galline ed è invece identificabile con quello di una specie
ittica, detta pesce San Pietro o anche pesce Gallo. Non c’è dubbio che il
riferimento in questione sia parecchio strano per un paese montano e lontano
dal mare come Ucria. In passato, qui il pesce arrivava di tanto in tanto, ma si
trattava quasi esclusivamente di sarde, acciughe o altri tipi di pesce azzurro
di basso pregio. A portarlo, quando ero ragazzo, era un orlandino, che caricava
due casse sulla sua vecchia Lambretta e, arrivato a Ucria, andava a
posizionarsi in piazza, nell’angolo sotto la facciata del municipio dove inizio
alla vendita. Si serviva a volte di un banniaturi
(tutti ricorderanno Bastianu,
fratello di Peppi l’Orbu), che
avvisava la gente che in piazza era possibile acquistare buon pesce fresco a
basso costo. In realtà, come si vantava il suddetto venditore tra i suoi
compaesani, si trattava di “ristatini”,
rimasugli, e di pesce al limite della conservazione. La cosa mi fu riferita,
ridendo, dal caro Pippo Messina, a cui, sempre ridendo, risposi io che si
trattava di una specie di contrappasso per tutta la carne di pecora, anziché di
castrato, che i macellai ucriesi facevano occasionalmente mangiare agli
orlandini. Se a ciò si aggiunge la polvere di cui si impregnava il pesce nel
tragitto da Capo d’Orlando a Ucria, allora in gran parte non asfaltato, pensate
a cosa non erano costretti a ingurgitare i nostri poveri nonni e i nostri
poveri padri. Tutto però passava in secondo piano di fronte al piacere e alla
grande soddisfazione di poter variare saltuariamente il solito, trito e
ritrito, menu quotidiano.
Un’altra piccola chiosa a proposito di Purvitruni: è derivato dal nome di un
uccello, ma non escluderei del tutto che abbia a che fare con una cantilena
parecchio diffusa ad Ucria e sicuramente anche altrove[1],
almeno fino agli anni della mia fanciullezza. Essa suonava così:
Sacciu un nidu ‘i purvitruni
sutt’all’anchi du patruni.
A questa se ne aggiungevano anche altre
similari:
Sacciu un nidu ‘i gutturusa
sutt’all’anchi ‘i ‘dda carusa,
oppure
Sacciu un nidu ‘i carcarazza
sutt’all’anchi ‘i ‘dda ragazza.
L’allusione scherzosa (e maliziosa) a
parti nascoste del corpo maschile e femminile non era affatto nascosta e
contribuiva in maniera rilevante alla sopravvivenza delle suddette cantilene.
Altrettanto interessante un’altra
tipologia di soprannomi ucriesi, quella, cioè, geneticamente collegabile con
mestieri, professioni, titoli, incarichi, funzioni varie. Se ne riporta qui un
lungo elenco.
Arginteri, Avvocatu, Bannista, Barbera,
Bardunaru, Barrilaru, Baruni/-issa, Calaciaru, Caliaru, Camperi, Canalaru, Capitanu, Carritteri, Carvunaru,
Castagnaru, Cavaleri, Chiavaru, Ciancianiddaru, Cucchiararu, Cipuddaru,
Cirasara, Collocaturi, Colonnellu, Cracularu/a, Craparu, Cumannanti, Curateddu,
Curatulu, Cutidderi, Dittureddu, Esatturi, Farmacista, Franninaru, Funnacaru, Furgiaru, Furnaru, Fusaru,
Gaddinaru, Guardia, Ispetturi, Lardaru, Luppinaru, Maresciallu, Marescialluni,
Marmista, Mastriceddu, Mirceri, Mulinaru, Officiali, Onorivuli, Organista,
Parrineddu, Parrinu spugghiatu, Piattinaru, Picuraru, Pipariddaru/ara,
Pirsicaru, Pitturi, Pridicaturi, Pusteri, Raluggiaru, Rancasciaru, Sagristanu,
Sardiddaru, Sbirru, Scarpareddu, Sciameca, Sergenti, Spazzinu, Spizziali,
Staddunaru, Stagnataru, Surfariddaru, Tabacchinaru, Trummetta, Trummittuni,
Trummuni, Ugghiaru, Ugghiularu, Umbrillaru, Usceri, Vaccaru,Vicariu, Vucceri[2].
Da una attenta considerazione dei
soprannomi presenti in tale elenco viene fuori uno spaccato del corpo sociale
della popolazione ucriese dei tempi andati di straordinario interesse.
Più
che quelli derivanti da titoli nobiliari, civili, militari o professionali (Baruni, Cavaleri, Cumannanti, Capitanu,
Colonellu, Sergenti, Maresciallu, Marescialluni, Avvocatu, Dittureddu,
Farmacista, Spiziali, Officiali, Onorevuli, Parrineddu, Vicariu), sono
interessanti quelli derivanti dai mestieri praticati. Curioso come, anche nel
caso in cui nelle generazioni successive nessuno in famiglia continuasse a fare
il mestiere che lo aveva originato, il soprannome sopravvivesse comunque (così,
ad es., per Mulinaru, Caliaru, Canalaru,
Stagnataru, Pridicaturi…).
Ovvio ritrovare nell’elenco tutti gli
esponenti della “mastranza” paesana,
immancabili in passato in qualsiasi comunità costituita, grande o piccola che
fosse (Furgiaru, Vucceri, Furnaru,
Carvunaru, Mastriceddu, Scarpareddu, ma anche Carritteri, Tabacchinaru);
ma chi avrebbe immaginato che fosse esistito nell’Ucria dei tempi andati un
individuo che di mestiere faceva il calaciaru,
che cioè fabbricava, aggiustava (o vendeva?) calici, oppure l’arginteri, ‘u cucchiararu, ‘u cutiddaru, l’ombrillaru, ‘u chiavaru, ‘u canalaru, ‘u bardunaru, ‘u
ciancianiddaru, u’ raluggiaru, ‘u pitturi…
Qualcuno aveva a che fare con
l’allevamento del bestiame (Craparu,
Picuraru, Staddunaru, Vaccaru, Curatulu, Curateddu). Molti erano i
venditori di merce varia, per lo più ambulanti: Castagnaru, Cirasara, Ugghiaru, Ugghiularu, Lardaru, Sardiddaru,
Franninaru (= venditore di pezzi di stoffa[3]), Cracularu, Cipuddaru, Gaddinaru, Luppinaru, Pipariddaru, Pirsicaru.
Un discorso a parte merita il soprannome Sciameca, derivante dalla
volgarizzazione di Shoemaker che in
inglese significa ‘calzolaio’ e che testimonia che il primo titolare della
suddetta’nciuria non soltanto faceva
il ciabattino, ma che aveva fatto quel mestiere anche in America prima di
rientrare in paese, dove gli amici, forse anche loro emigrati, gliel’ avevano
affibbiata.
Il lettore più attento avrà notato come
nella lista sopra riportata manchino totalmente soprannomi che abbiano a che
fare col lavoro agricolo, che era quello a cui si dedicava la quasi totalità
della popolazione ucriese nei tempi andati. Forse si potrebbe far rientrare in
tale categoria qualcuno dei soprannomi che prima ho indicato come derivanti dal
mestiere di venditore, intendendoli piuttosto come riferentisi alla
coltivazione di un particolare prodotto (Cirasara,
Castagnaru, Pipariddaru, ecc.), ma
non credo sia il caso. Il motivo dell’assenza è a parer mio da ritrovare nella
natura stessa del soprannome, la cui funzionalità prima, come più volte ho
avuto occasione di dire, è quella di individuare in maniera univoca una singola
persona e la sua famiglia all’interno di una comunità più vasta, di restringere
al massimo il numero delle possibilità identificative. Ciò esclude
automaticamente il ricorso a mestieri e specializzazioni troppo generici e
propri di un numero ampio di persone.
Per concludere, un’ultima interessante
notazione: tra le ‘nciurie prima elencate
se ne leggono alcune che solleticano particolarmente la nostra curiosità e la
nostra immaginazione. Mi riferisco a Rancasciaru,
Piattinaru, Bannista, ma anche a
Trummetta, Trummittuni, Trummuni. In tali soprannomi c’è un pezzo di storia
della nostra vecchia Ucria, derivanti come sono dallo strumento che i titolari
della ‘nciuria suonavano nella banda
del paese. Oltre a tali soprannomi, esistono vecchie foto, ma anche documenti
ufficiali, che ne testimoniano l’esistenza. Era molto conosciuta nei paesi viciniori,
dove si recava a suonare nei giorni di festa o in altre occasioni particolari.
Da un motivetto che suonava sempre (un tormentone, che era una specie di
marchio di fabbrica e che purtroppo nessuno ricorda più), era conosciuta come ‘a banna ‘i pani e pira, pira e pani. Il
suo repertorio, a giudicare da un elenco dei pezzi in programma, che è
sopravvissuto e che mi è capitato di leggere qualche tempo fa, era di buon
livello. Naturalmente, i pezzi più importanti erano eseguiti sul palco, nel
grande concerto tipico della vigilia delle festività più solenni, una delle
poche occasioni che aveva allora la gente dei piccoli centri di ascoltare
musica di un certo tono. Il nostro vecchio complesso bandistico ebbe vicende
varie. Dopo una prima fase e un primo declino, si tentò di rilanciarlo
all’inizio del Novecento, ma si dissolse poi del tutto dopo la Grande Guerra,
per via dei dissidi di natura politica, che caratterizzarono allora anche il
nostro paese, e per l’intensificarsi del fenomeno dell’emigrazione, che
sottrasse alla banda numerosi elementi, quasi tutti provenienti dal ceto della
“mastranza”, quello che forse più di
tutti risentì in quegli anni delle ristrettezze economiche causate dallo sforzo
bellico. Non rinacque mai più, non potendosi certo chiamare banda la piccola
fanfara che avrebbe poi accompagnato le varie sfilate nelle manifestazioni del
ventennio fascista[4].
[1]
Ad esempio, in una bella poesia di Mario Gori (Niscemi 1926-1970), dal titolo Cincu e dieci, si legge: “Sacciu un nidu rampicanti, a li chiuppira,
addavì”.
[2]Contrariamente
a quanto potrebbe sembrare a prima vista, non mi pare abbiano a che fare con un
mestiere i soprannomi Iudici, Bummularu, Macchiaru, Magareddu.
[3]
L’etimologia della parola rimanda a stoffe delle Fiandre, ma col tempo il
significato originario si era allargato comprendendo tutti i tipi di stoffa.
[4]
Ho trovato tali informazioni sulla banda in un interessante scritto di mio padre dedicato ai mestieri
nella vecchia Ucria.
Nessun commento:
Posta un commento