UNO SGUARDO AL
PERCORSO STORICO DEI NEBRODI
Domenico Orifici
I Nebrodi sono
considerati la parte più bella della Sicilia per la flora che li caratterizza,
le specialità e il gusto dei suoi frutti, la fauna che vi popola i boschi.
Come affermano
gli storici, prendono il nome dal cerbiatto (nebros) che un tempo con i daini,
orsi, caprioli, lupi e altri animali, popolava i boschi: da tempo è del tutto
scomparso. Oggi, il mammifero più famoso che lega il suo nome al territorio è
il suino nero che, per le sue carni pregiati, ha conquistato i palati più
raffinati e di conseguenza i mercati italiani e non solo. Soffermiamoci, però,
un momento per un breve quadro storico di questi meravigliosi luoghi. La
presenza dell’uomo sui Nebrodi è testimoniata sin dall’età della pietra: nel
1965 alla Rocca San Marco, nel corso di scavi eseguiti dalla sovrintendenza di
Siracusa, furono rinvenute selci, armi del paleolitico; la città del Crasto,
esistita prima dell’arrivo dei greci, è una testimonianza sikana, mentre le
città di Kale Aktè, Apollonia, Amestratos e Alontium (Caronia, San Fratello,
Mistretta e San Marco D’Alunzio) sono legate al periodo greco-romano.
I Nebrodi erano l’ambiente adatto all’uomo
pastore e all’uomo cacciatore, per cui si può immaginare come fiorisse la vita
fra boschi, valli, monti e distese praterie. Il periodo Romano è caratterizzato
dalle rovinose estorsioni di Verre, citate da Cicerone, contro Aluntium e
Tindarys e si operò un disboscamento dissennato delle zone interne per far
posto ad aree seminative e pascolative e per rifornire di legname i cantieri
navali della costa soprattutto durante le guerre puniche.
La Sicilia divisa in latifondi venne sfruttata
in ogni suo punto tale da diventare il granaio di Roma. Venne popolata di
schiavi per la coltivazione della terra. Gli esseri umani dediti
all’agricoltura non conoscevano segno di libertà tanto che per opera dello
schiavo Eno si ribellarono e spinsero nel mare i romani. Questi ritornarono
rinforzati e massacrarono i ribelli. Tutto questo è successo fra il 200 avanti
Cristo e il 400 dopo Cristo. Il periodo bizantino vide l’affermarsi del
cristianesimo con la costruzione di chiese e monasteri.
Alcune di queste chiese ancora oggi sono la
testimonianza di un popolo dedito alla fede. Di altre chiese esistono solo i
ruderi spesso dislocate nelle campagne e in zone impervie. Gli arabi nel
dividere la Sicilia in tre valli compresero i Nebrodi nella Val Demone o di
Demenna. L’origine del nome però è poco chiara, un grattacapo per gli storici.
Forse tutto gira
in torno a Demenna, una città mai localizzata: diverse le ipotesi fra cui
quella che potesse trattarsi della città del Crasto o di Alunzio, ma niente di
sicuro. Il periodo arabo segna la persecuzione ai monaci cui chiedevano la
conversione all’Islam, per cui si assistette al ritiro dei frati
nell’entroterra, per non essere trovati. Così sorsero alcuni monasteri lontani
dalla costa. A questo tipo di monasteri si attribuisce quello del Fico a
Raccuia. L’esistenza di questo convento prima dell’arrivo dei normanni è
testimoniata dal fatto che non è riportata nel’elenco dei monasteri fondati dal
Conte Ruggero e dal fatto che lo stesso Conte donò, al detto convento, nel
1091, dopo aver conquistato la Sicilia, i territori di Ficarra, Piraino e
Sinagra ove erano già delle chiese ad esso monastero suffraganee. La conquista
della Sicilia da parte dei normanni, avviò il feudalesimo in Sicilia, proprio
quando il sistema feudale si finiva oltre lo stretto. Le valli in cui l’Isola
era stata divisa dagli arabi, furono suddivise in feudi e questi affidati a
famiglie amiche dei re di Sicilia che si susseguirono. Così i Nebrodi furono
smembrati in tanti feudi costituiti da terre e castelli. “Il castello di Ucria
- scrive Carmelo Rigoli - occupava una vasta area. … Essendo terra baronale con
mero e misto impero, disponeva di una prigione.. Verso l’anno 1750 cadde il
piano superiore del castello. In considerazione delle enormi spese occorrenti
per tenerlo in efficienza, data la sua cospicua mole, fu smembrato e la maggior
parte di esso concesso in enfiteusi a diversi proprietari privati che lo hanno
trasformato in case di abitazione” Cit. Carmelo Rigoli- Ucria- La città di
Montecastello in Valdemone. Il periodo feudale vede il contadino legato alla
terra e alle dipendenze del feudatario: egli dovrà fornire le uova, il
capretto, gli agnelli, il maiale, la carne in genere, frumento orzo, vino e
quant’altro. Doveva coltivargli la terra ed eseguire i lavori per la vigna,
l’aratura, la semina e la mietitura.
Alle sue costole
aveva il vassallo che lo opprimeva chiedendo sempre di più. Dal XIV secolo il
feudatario, in cambio di tasse da pagare alla corona, aveva il beneficio del
mero e misto impero con cui si faceva padrone dei sudditi: poteva ucciderli,
amputargli un arto, tagliare la lingua e fare quanto gli passava per la testa.
Una pena minore era il carcere di cui era fornito il castello. Con la fine dei
poteri feudali, 1812, i feudi diventarono comuni sotto la prefettura di Messina
e la sottoprefettura di Patti cui veniva sottoposto ogni atto. A capo
dell’amministrazione vi era il sindaco con la giunta e i consiglieri eletti.
Gli elettori, per essere tali, dovevano saper leggere e scrivere, una ventina
per paese. La lista veniva aggiornata ogni anno. In questo periodo il popolo godette
di momenti magici anche se il contadino restò vittima del suo padrone terriero
e perseguitato dal campiere, nuova figura a servizio del padrone per
amministrare i suoi campi.
Fiorirono le
botteghe artigianali e fu incrementata la lavorazione della seta e
l’allevamento del baco per la produzione dei bozzoli o “cucuddu”, come si
chiamava in gergo. La produzione della seta però era incominciata già
dall’inizio dell’anno 1000 come risulta da un a ricevuta rinvenuta in Egitto
per una partita della preziosa stoffa acquistata appunto sui Nebrodi nella
sconosciuta città di Demenna. Nel 1860, con la conquista della Sicilia da parte
di Garibaldi, le cose non cambiarono. Per dirla col “Principe di Salina”, si
cadde dalla padella nella brace. Furono depredate banche e città delle loro
ricchezze. Le fabbriche che fiorivano in Sicilia vennero trasferite al nord e
per i siciliani e, quindi, anche, e sopratutto per i cittadini nebroidei,
incominciò l’emigrazione verso il nord e il sud America in cerca di lavoro.
L’emigrazione
continuò anche con l’era repubblicana ma questa volta verso l’Australia.
Ritornando all’unità d’Italia, l’arrivo di Garibaldi, che promise terre e
ricchezze ai picciotti che sarebbero andati a combattere, fu salutato come il
portatore della libertà. Nei paesi s’incominciarono a perseguitare i
proprietari terrieri come se fossero diventati i padroni e i padroni contadini.
Vi furono in diversi luoghi dei Nebrodi proprietari terrieri uccisi.
Gli autori
furono fucilati su ordine del generale. Certo, Garibaldi non poteva capire i
contadini che avevano da secoli sopportato corna, pene e angherie. In altri
paesi si assaltarono i mulini che avevano ecceduto nel mettere tasse sul
macinato e si sequestrarono le bilance, spesso truccate. In altri casi furono assaltati
i municipi e bruciati documenti anche di valore storico. L’unità d’Italia però
ha dato vita a strade di grande comunicazione come la Capo D’Orlando Randazzo e
tantissime altre con i collegamenti a quasi tutti i paesi dei Nebrodi.
Nella prima guerra
mondiale anche i nostri paesi pagarono un caro prezzo per la liberazione di
Trento e Trieste: un elenco di nomi e un monumento, in ogni paese, testimoniano
quanti giovani del luogo persero la vita sul fronte italiano. Co fascismo i
sindaci non furono più eletti dal popolo ma nominati col nome di podestà o di
commissari prefettizi rispettivamente dal ministero agli interni o dal
prefetto. Una delle caratteristiche oppressive nei confronti dei contadini fu
l’ammasso, con cui veniva obbligato il produttore a cedere una percentuale del
suo prodotto a disposizioni delle autorità comunali e governative, che finiva
in gran parte nelle case dei gerarchi e dei loro amici.
Questo fatto
scoraggiò i contadini che scelsero la via dell’emigrazione. Altro aspetto fu quello
che ognuno poteva consumare solo quella quantità di cibo di prima necessità che
gli veniva concesso con la tessera. Nel 1946 il popolo fra monarchia e
repubblica scelse quest’ultima. Per la prima volta nella storia fu concesso il
voto alle donne e a tutti i cittadini superiori ai 21 anni di età, Iniziarono
le lotte sindacali e le rivendicazioni di un dignitoso rispetto del contadino.
Il resto è storia dei nostri tempi, storia che quotidianamente si svolge sotto
i nostri occhi. Per non essere prolissi rimandiamo ad altro tempo le
considerazioni dei fatti che ogni giorno si svolgono sotto i nostri occhi.
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