sabato 14 maggio 2016
SAPERI E SAPORI. FESTIVAL DELLA CULTURA UCRIESE Associazione AFEU
Associazione AFEU
Al via la prima edizione di "Saperi
e Sapori. Festival della Cultura Ucriese" che avrà luogo giorno
22 Maggio 2016 nel centro montano nebroideo di Ucria.
L'evento nasce dall'idea di un gruppo di
commercianti ed imprenditori locali della associazione A.F.E.U., e
vede coinvolte con grande entusiasmo e partecipazione, tutte le associazioni
presenti sul territorio, con il patrocinio del Comune di Ucria. Il
principale scopo dell'iniziativa è la promozione del territorio Ucriese, bello
e variegato, ricco di storia, cultura e bellezze paesaggistiche, e non ultimo,
di una ricca tradizione enogastronomica.
Molte le
attività previste durante la giornata: sarà possibile esplorare Ucria e il suo
territorio con giovani guide appositamente formate per accompagnare gli ospiti
alla scoperta dei diversi itinerari, urbani e naturalistici, proposti dalle
associazioni "Rangers International - sez. di Ucria" e "Gruppo
culturale Ucriese", oppure visitare
"la Galleria del Gusto", a cura della associazione A.F.E.U., che vi accompagnerà in un
viaggio alla scoperta delle eccellenze gastronomiche locali. Per gli amanti
dell'arte, sarà d'obbligo la tappa alla mostra di pittura, che raccoglierà opere
di numerosi maestri d'arte locali e non, e per gli artisti ci sarà anche la
possibilità di creare delle opere in loco partecipando alla Estemporanea di pittura "Marcello
Maria Nici". Potrete anche semplicemente lasciarvi catturare dagli
stupendi scatti delle mostre fotografiche installate per le vie del paese, a
cura dell'Associazione Micologica Padre Bernardino, e dell'Associazione per la
tutela e valorizzazione del Nocciolo.
Un'altra mostra fotografica verrà
allestita all'interno di un antico salone da barbiere nel centro storico, dal
titolo: "Apriamo le porte ai
vecchi mestieri: I Barbieri di Sicilia", di Achille Baratta e Maria
Scalisi.
Per i più nostalgici, sarà possibile
fare un salto nel passato e "giocare" nell'angolo dei giochi antichi,
in cui la consulta giovani ne riproporrà alcuni dei più belli.
La mostra del ricamo, invece, verrà
curata dalla Consulta anziani che per l'occasione esporrà degli antichi e
pregiati manufatti.
La giornata si chiuderà in bellezza con
la presentazione del libro "Quaderno
a quadretti" di Giuseppe Salpietro alle ore 18.00 al circolo
Montecastello.
Buona aria, buon cibo, tanta cultura e
cordialità... tutti gli ingredienti per una domenica perfetta.
APRIAMO LE PORTE DEI VECCHI MESTIERI: UNA MOSTRA PERMANENTE DEI BARBIERI DI SICILIA AD UCRIA Maria Scalisi
APRIAMO LE PORTE DEI VECCHI
MESTIERI: UNA MOSTRA PERMANENTE DEI BARBIERI DI SICILIA AD UCRIA
Maria Scalisi
Ebbene si.. Apriamo le porte dei vecchi mestieri, ed iniziamo proprio da una barberia.
Già da tempo, coinvolta dalla
raccolta di fotografie “Alla ricerca dei
Barbieri di Sicilia”, iniziata molti anni prima dall’ing. Achille Baratta,
mi sono imbattuta a fotografare i nostri barbieri del territorio nebroideo e
quelli presenti in Ucria, ritrovandomi in un mondo che non mi appartiene ma
molto affascinante.
Le
immagini fanno parte di una ricerca realizzata scovando le barberie non ancora
travolte dalla modernizzazione, e non solo, in tutta l’isola e fotografando i
paesaggi che appartengono al luogo.
Più
di duecentocinquanta capolavori, duecentocinquanta fotografie, rigorosamente in
bianco e nero, nel quale l’occhio del fotografo indaga un universo maschile
arcaico, ritraendo situazioni e personaggi, oggi, quasi del tutto scomparsi,
componendo un quadro dal sapore documentaristico e antropologico.
Un
viaggio attraverso i negozi dei piccoli paesi, per fotografare non soltanto le
mura, ma anche le persone, i clienti e la loro storia. Che poi la storia della
Sicilia.
Le
riprese fotografiche, hanno seguito un itinerario fra barberie di città e di
piccoli paesi, procedendo dall’interno alla costa per tutta la Sicilia.
Saloni
da barba, con il loro corredo musicale, è materia che danno forma. Note di un
mandolino che accompagnano così, ad apertura di un supporto musicale, ad un
vero e proprio viaggio nel tempo. I vecchi saloni si rianimano, i motivi
musicali peculiari si espandono.
Un
arredo elegante e minimalista degli odierni saloni di bellezza, e far rivivere
invece un’aura oggi quasi irriconoscibile. Paesini di poche migliaia di anime,
vere e proprie trincee di una memoria ormai sbiadita.
Accogliendo
la richiesta di uno dei barbieri di Ucria, il
signor Salvatore Crisà, Barbiere di generazione, che metterà a disposizione
il suo antico salone da barbiere, allestiremo uno mostra fotografica dei
Barbieri, inserendolo nel contesto giusto, mettendo in mostra anche il salone,
con le sue forbici, gli attrezzi utilizzati dal padre e da lui stesso, e verrà
di nuovo aperto al pubblico il 22 maggio
2016, in occasione della manifestazione dal tema: Saperi e sapori, Festival della Cultura Ucriese.
UNA SPERANZA CHE DIVENTA REALTÀ Carmelina Allia
Carmelina Allia
Le parole scritte sul giornalino degli Ucriesi: "La Cruna dell'ago", da Alessandra
Nici: "Vogliamo continuare a
scommettere ancora sul nostro amato Paese", hanno riempito il mio
cuore di gioia.
A
lei e a quelli che con lei condividono la stessa speranza e il coraggio e la
determinazione di non volersi arrendere, voglio dire il mio grazie e
complimentarmi. Bravi e avanti insieme, senza cedere alle inevitabili
difficoltà, alimentando ogni giorno entusiasmo ed impegno.
Una espressione, della cui
paternità, non sono certa, dice: "Se sogno da solo, resta solo un sogno,
se sogniamo insieme, il sogno diventa realtà”.
Pertanto, tramite il giornalino, col desiderio di
poterlo fare in seguito personalmente, voglio far giungere gli auguri di buon lavoro ai giovani di Ucria che insieme sperano e
s'adoperano perché la sua storia, che ha radici antiche, continui a colorarsi
di futuro.
E
il Signore della Pietà, nostro Patrono, benedica la loro voglia di "passare
all'azione" con A.F.E.U. e faccia crescere il desiderio di impegnarsi
tenendosi per mano, dando ciascuno il meglio di sé.
NOTERELLE UCRIESI 6 QUARTE DIVAGAZIONI ONOMASTICHE: SOPRANNOMI, ANIMALI E CONTESTO SOCIALE E LAVORATIVO Nino Pinzone “Palagunia”
NOTERELLE
UCRIESI 6
QUARTE DIVAGAZIONI ONOMASTICHE: SOPRANNOMI,
ANIMALI E CONTESTO SOCIALE E LAVORATIVO
Nino
Pinzone “Palagunia”
Si è visto, nelle precedenti divagazioni
onomastiche, come l’origine dei soprannomi ucriesi possa essere la più varia,
ma la casistica non si è certo esaurita, anzi. Ho deciso di portare avanti,
s’intende per puro divertimento e senza alcuna pretesa di completezza e
scientificità, il mio lavoro di analisi e pertanto, a costo di annoiare i miei
pochi ma affezionati lettori, propongo qui altri gruppi di ‘nciurie, a cominciare da quelle che
hanno a che fare con nomi di animali.
Eccone un elenco, tratto dalla solita
fonte:
Aciddittu, Agneddu, Beccu, Buffu, Buffi
(Ttacca), Cagnulinu, Capuni, Chiattidda, Ciaredda, Ciauledda, Cirnecu, Cuccu,
Cunigghiu, Elefanti, Gaddazzu, Gaddina (Coddu ‘i), Gaddinedda, Gaddu, Gaddu
biancu, Gadducefiru, Gatta, Gurpigghiuni, Gurpuni, Jaddu, Jadduzzu, Jirriddu,
Lepri, Lepru, Liuni (Brasi)‘u Lupu, Lupu, Lupu minariu, Merlu, Mulu, Oca (Porca
l’), Paventula, Pecura bianca, Pernici, Picuredda, Pisciucani,
Pisciustoccu, Purvitruni (o Purvitiruni?), Rizzu, Sceccu, Suricittu,
Taddarita, Viteddu, Vitiddazzu, Zafratedda, Zafrocu, Zazzamilla, Zicca.
Come
si vede, per tali soprannomi sono utilizzati praticamente tutti i tipi di
animali, da quelli domestici a quelli selvatici, dagli uccelli ai mammiferi caratteristici
della fauna delle nostre case e delle nostre campagne, con qualche piccola
eccezione però, come Elefanti, Pisciucani, Pisciustoccu, Lupu minariu. Tra le eccezioni anche Gadducefiru, verosimilmente
sicilianizzazione di Gallo Cefalo, nome che niente sembra aver a che fare con
il maschio delle galline ed è invece identificabile con quello di una specie
ittica, detta pesce San Pietro o anche pesce Gallo. Non c’è dubbio che il
riferimento in questione sia parecchio strano per un paese montano e lontano
dal mare come Ucria. In passato, qui il pesce arrivava di tanto in tanto, ma si
trattava quasi esclusivamente di sarde, acciughe o altri tipi di pesce azzurro
di basso pregio. A portarlo, quando ero ragazzo, era un orlandino, che caricava
due casse sulla sua vecchia Lambretta e, arrivato a Ucria, andava a
posizionarsi in piazza, nell’angolo sotto la facciata del municipio dove inizio
alla vendita. Si serviva a volte di un banniaturi
(tutti ricorderanno Bastianu,
fratello di Peppi l’Orbu), che
avvisava la gente che in piazza era possibile acquistare buon pesce fresco a
basso costo. In realtà, come si vantava il suddetto venditore tra i suoi
compaesani, si trattava di “ristatini”,
rimasugli, e di pesce al limite della conservazione. La cosa mi fu riferita,
ridendo, dal caro Pippo Messina, a cui, sempre ridendo, risposi io che si
trattava di una specie di contrappasso per tutta la carne di pecora, anziché di
castrato, che i macellai ucriesi facevano occasionalmente mangiare agli
orlandini. Se a ciò si aggiunge la polvere di cui si impregnava il pesce nel
tragitto da Capo d’Orlando a Ucria, allora in gran parte non asfaltato, pensate
a cosa non erano costretti a ingurgitare i nostri poveri nonni e i nostri
poveri padri. Tutto però passava in secondo piano di fronte al piacere e alla
grande soddisfazione di poter variare saltuariamente il solito, trito e
ritrito, menu quotidiano.
Un’altra piccola chiosa a proposito di Purvitruni: è derivato dal nome di un
uccello, ma non escluderei del tutto che abbia a che fare con una cantilena
parecchio diffusa ad Ucria e sicuramente anche altrove[1],
almeno fino agli anni della mia fanciullezza. Essa suonava così:
Sacciu un nidu ‘i purvitruni
sutt’all’anchi du patruni.
A questa se ne aggiungevano anche altre
similari:
Sacciu un nidu ‘i gutturusa
sutt’all’anchi ‘i ‘dda carusa,
oppure
Sacciu un nidu ‘i carcarazza
sutt’all’anchi ‘i ‘dda ragazza.
L’allusione scherzosa (e maliziosa) a
parti nascoste del corpo maschile e femminile non era affatto nascosta e
contribuiva in maniera rilevante alla sopravvivenza delle suddette cantilene.
Altrettanto interessante un’altra
tipologia di soprannomi ucriesi, quella, cioè, geneticamente collegabile con
mestieri, professioni, titoli, incarichi, funzioni varie. Se ne riporta qui un
lungo elenco.
Arginteri, Avvocatu, Bannista, Barbera,
Bardunaru, Barrilaru, Baruni/-issa, Calaciaru, Caliaru, Camperi, Canalaru, Capitanu, Carritteri, Carvunaru,
Castagnaru, Cavaleri, Chiavaru, Ciancianiddaru, Cucchiararu, Cipuddaru,
Cirasara, Collocaturi, Colonnellu, Cracularu/a, Craparu, Cumannanti, Curateddu,
Curatulu, Cutidderi, Dittureddu, Esatturi, Farmacista, Franninaru, Funnacaru, Furgiaru, Furnaru, Fusaru,
Gaddinaru, Guardia, Ispetturi, Lardaru, Luppinaru, Maresciallu, Marescialluni,
Marmista, Mastriceddu, Mirceri, Mulinaru, Officiali, Onorivuli, Organista,
Parrineddu, Parrinu spugghiatu, Piattinaru, Picuraru, Pipariddaru/ara,
Pirsicaru, Pitturi, Pridicaturi, Pusteri, Raluggiaru, Rancasciaru, Sagristanu,
Sardiddaru, Sbirru, Scarpareddu, Sciameca, Sergenti, Spazzinu, Spizziali,
Staddunaru, Stagnataru, Surfariddaru, Tabacchinaru, Trummetta, Trummittuni,
Trummuni, Ugghiaru, Ugghiularu, Umbrillaru, Usceri, Vaccaru,Vicariu, Vucceri[2].
Da una attenta considerazione dei
soprannomi presenti in tale elenco viene fuori uno spaccato del corpo sociale
della popolazione ucriese dei tempi andati di straordinario interesse.
Più
che quelli derivanti da titoli nobiliari, civili, militari o professionali (Baruni, Cavaleri, Cumannanti, Capitanu,
Colonellu, Sergenti, Maresciallu, Marescialluni, Avvocatu, Dittureddu,
Farmacista, Spiziali, Officiali, Onorevuli, Parrineddu, Vicariu), sono
interessanti quelli derivanti dai mestieri praticati. Curioso come, anche nel
caso in cui nelle generazioni successive nessuno in famiglia continuasse a fare
il mestiere che lo aveva originato, il soprannome sopravvivesse comunque (così,
ad es., per Mulinaru, Caliaru, Canalaru,
Stagnataru, Pridicaturi…).
Ovvio ritrovare nell’elenco tutti gli
esponenti della “mastranza” paesana,
immancabili in passato in qualsiasi comunità costituita, grande o piccola che
fosse (Furgiaru, Vucceri, Furnaru,
Carvunaru, Mastriceddu, Scarpareddu, ma anche Carritteri, Tabacchinaru);
ma chi avrebbe immaginato che fosse esistito nell’Ucria dei tempi andati un
individuo che di mestiere faceva il calaciaru,
che cioè fabbricava, aggiustava (o vendeva?) calici, oppure l’arginteri, ‘u cucchiararu, ‘u cutiddaru, l’ombrillaru, ‘u chiavaru, ‘u canalaru, ‘u bardunaru, ‘u
ciancianiddaru, u’ raluggiaru, ‘u pitturi…
Qualcuno aveva a che fare con
l’allevamento del bestiame (Craparu,
Picuraru, Staddunaru, Vaccaru, Curatulu, Curateddu). Molti erano i
venditori di merce varia, per lo più ambulanti: Castagnaru, Cirasara, Ugghiaru, Ugghiularu, Lardaru, Sardiddaru,
Franninaru (= venditore di pezzi di stoffa[3]), Cracularu, Cipuddaru, Gaddinaru, Luppinaru, Pipariddaru, Pirsicaru.
Un discorso a parte merita il soprannome Sciameca, derivante dalla
volgarizzazione di Shoemaker che in
inglese significa ‘calzolaio’ e che testimonia che il primo titolare della
suddetta’nciuria non soltanto faceva
il ciabattino, ma che aveva fatto quel mestiere anche in America prima di
rientrare in paese, dove gli amici, forse anche loro emigrati, gliel’ avevano
affibbiata.
Il lettore più attento avrà notato come
nella lista sopra riportata manchino totalmente soprannomi che abbiano a che
fare col lavoro agricolo, che era quello a cui si dedicava la quasi totalità
della popolazione ucriese nei tempi andati. Forse si potrebbe far rientrare in
tale categoria qualcuno dei soprannomi che prima ho indicato come derivanti dal
mestiere di venditore, intendendoli piuttosto come riferentisi alla
coltivazione di un particolare prodotto (Cirasara,
Castagnaru, Pipariddaru, ecc.), ma
non credo sia il caso. Il motivo dell’assenza è a parer mio da ritrovare nella
natura stessa del soprannome, la cui funzionalità prima, come più volte ho
avuto occasione di dire, è quella di individuare in maniera univoca una singola
persona e la sua famiglia all’interno di una comunità più vasta, di restringere
al massimo il numero delle possibilità identificative. Ciò esclude
automaticamente il ricorso a mestieri e specializzazioni troppo generici e
propri di un numero ampio di persone.
Per concludere, un’ultima interessante
notazione: tra le ‘nciurie prima elencate
se ne leggono alcune che solleticano particolarmente la nostra curiosità e la
nostra immaginazione. Mi riferisco a Rancasciaru,
Piattinaru, Bannista, ma anche a
Trummetta, Trummittuni, Trummuni. In tali soprannomi c’è un pezzo di storia
della nostra vecchia Ucria, derivanti come sono dallo strumento che i titolari
della ‘nciuria suonavano nella banda
del paese. Oltre a tali soprannomi, esistono vecchie foto, ma anche documenti
ufficiali, che ne testimoniano l’esistenza. Era molto conosciuta nei paesi viciniori,
dove si recava a suonare nei giorni di festa o in altre occasioni particolari.
Da un motivetto che suonava sempre (un tormentone, che era una specie di
marchio di fabbrica e che purtroppo nessuno ricorda più), era conosciuta come ‘a banna ‘i pani e pira, pira e pani. Il
suo repertorio, a giudicare da un elenco dei pezzi in programma, che è
sopravvissuto e che mi è capitato di leggere qualche tempo fa, era di buon
livello. Naturalmente, i pezzi più importanti erano eseguiti sul palco, nel
grande concerto tipico della vigilia delle festività più solenni, una delle
poche occasioni che aveva allora la gente dei piccoli centri di ascoltare
musica di un certo tono. Il nostro vecchio complesso bandistico ebbe vicende
varie. Dopo una prima fase e un primo declino, si tentò di rilanciarlo
all’inizio del Novecento, ma si dissolse poi del tutto dopo la Grande Guerra,
per via dei dissidi di natura politica, che caratterizzarono allora anche il
nostro paese, e per l’intensificarsi del fenomeno dell’emigrazione, che
sottrasse alla banda numerosi elementi, quasi tutti provenienti dal ceto della
“mastranza”, quello che forse più di
tutti risentì in quegli anni delle ristrettezze economiche causate dallo sforzo
bellico. Non rinacque mai più, non potendosi certo chiamare banda la piccola
fanfara che avrebbe poi accompagnato le varie sfilate nelle manifestazioni del
ventennio fascista[4].
[1]
Ad esempio, in una bella poesia di Mario Gori (Niscemi 1926-1970), dal titolo Cincu e dieci, si legge: “Sacciu un nidu rampicanti, a li chiuppira,
addavì”.
[2]Contrariamente
a quanto potrebbe sembrare a prima vista, non mi pare abbiano a che fare con un
mestiere i soprannomi Iudici, Bummularu, Macchiaru, Magareddu.
[3]
L’etimologia della parola rimanda a stoffe delle Fiandre, ma col tempo il
significato originario si era allargato comprendendo tutti i tipi di stoffa.
[4]
Ho trovato tali informazioni sulla banda in un interessante scritto di mio padre dedicato ai mestieri
nella vecchia Ucria.
UCRIA - LA CITTÀ DEI MUSEI Rosalba Paladina
UCRIA
- LA CITTÀ DEI MUSEI
Rosalba
Paladina
Cari amici e lettori come ben
sappiamo Ucria è nota per essere la "città
dei musei" e infatti ne possiede ben cinque.
Sono sorti per iniziativa del centro
internazionale di etnostoria di Palermo che ha voluto eleggere il nostro
territorio quale è vero e proprio "mosaico
all'aperto".
Una visita meritano i musei: Il museo etnologico delle maschere di
cartapesta Gianpistone: contiene circa 500 maschere in cartapesta. Il
materiale utilizzato per queste creazioni è il legno ma non solo: ma anche
vimini, bambù, zucche e gusci di noci di cocco, fra i materiali di origine
animale si trovano: l'avorio, l'osso e il corno.
Il mosaico "Due Mondi a Confronto" presso la chiesa nostri del SS.
Rosario è un gran panello musivo, lungo 15 m e alto 3m, in pasta di vetro, grès
e arricchito da preziose murrine e oro zecchino. Racconta l'itinerario
verso le terre lontane delle caravelle di Colombo. Da notare il
"buio" del "vecchio mondo" e la solare luminosità del
"nuovo mondo".
Il
Museo tipologico delle arti e delle tradizioni in Sicilia,
questo museo contiene reperti della tradizione popolare con i quali si intende
comunicare non solo il messaggio che si legano al valore d'uso, ma soprattutto
ne sottolineano il significato simbolico. Molti di questi oggetti sono
legati al mondo femminile: come ad esempio splenditi ricami e tappeti tessuti a
mano.
“…IL MIGLIOR LAVORO PAGATO È QUELLO CHE NON SI FA!” Salvatore Lo Presti
“…IL
MIGLIOR LAVORO PAGATO È QUELLO CHE NON SI FA!”
Salvatore Lo Presti
Cari lettori, dire in Sicilia, da
siciliano, che il mese di Maggio è uno dei più terribili quando si parla di
mafia o di fenomeno mafioso, è una cosa molto difficile, poiché quando si parla
di mafia, e/o di atteggiamenti mafiosi, in Sicilia, sono così tanti i morti, e
così tanti gli esempi, che è difficile scegliere un periodo dell’anno che valga
da questo punto di vista più dell’altro e dove quindi poter dare maggiore
attenzione e risalto a questo argomento, ma, essendo io da anni uno studente
universitario a Palermo, scelto di farlo in questo periodo, poiché, ogni anno,
in occasione del 23 Maggio, giornata in ricordo della Strage di Capaci, sono
veramente moltissime le persone che a Palermo scendono in strada e manifestano
il loro dissenso nei confronti della mafia e del fenomeno mafioso.
In questo breve articolo voglio porre un
quesito. E’ risaputo che, la mafia, a Palermo (e non solo), nel secondo
dopoguerra ha fatto i propri affari soprattutto grazie al settore edile, ma, se
è riuscita in ciò, lo deve anche, e soprattutto a molti professionisti del
settore edile - sia nel pubblico che nel privato - che, accettando di progettare,
e dirigere determinati lavori, hanno contribuito a far diventare la mafia e il
fenomeno mafioso un fatto sempre più grande.
“Architetto (o ingegnere o geometra, se
preferite), il miglior lavoro pagato è quello che non si fa!”, o, più
esattamente “Architè, u mugghi survizzu
è chiddu non fattu e pagatu”. Chissà quanti professionisti del settore, nella
loro carriera, si sono sentiti dire questa frase, durante un appalto pubblico
vinto, mentre, magari, tutti i lavori stanno avanzando in maniera perfetta, e
dove quindi non ci sarebbe stato nessun motivo per richiedere una perizia di variante,
e far lievitare i costi finali dell’opera.
Delle domande mi sorgono spontanee amici,
e le voglio fare a voi:
è più mafioso colui che pronuncia questa
frase o comunque qualcosa di simile, o colui che udendola si genuflette al suo
volere? Sono più mafiosi coloro che facevano saltare le autostrade, o gli
amministratori/appaltatori che, per intascarsi soldi che non gli spetterebbero,
utilizzavano/utilizzano questi mezzi? Sono più mafiosi coloro che ti
commissionano un lavoro infattibile, o tu professionista che, seppure sai che
ci sono leggi che te lo vietano, realizzi ugualmente il progetto?
Oggi, noi abbiamo la grande
responsabilità di non commettere gli stessi errori che coloro che sono più
grandi ed esperti di noi (non tutti fortunatamente si sono genuflessi) hanno
commesso, perché come possiamo benissimo vedere, fare le scelte sbagliate,
magari non avrà condizionato il presente di coloro che le hanno commesse, ma
sicuramente sta condizionando il nostro presente.
Come diceva Giovanni Falcone, “la mafia è
un fatto umano, e come tutti i fatti umani, ha avuto un inizio e avrà anche una
fine”, ma se vogliamo velocizzare questo processo l’unica strada
percorribile, è quella di fare la scelta giusta, ognuno, nella propria vita, e
nella propria professione deve fare la scelta giusta.
LA SCIAMATURA DELLE API Peppino Marcantone
Peppino Marcantone
Quando iniziano le belle giornate primaverili,
le api entrano in fervida sciamatura, allora l'apicoltore inizia a visitare gli
alveari e con tanta attenzione cerca eventuali celle reali per eliminarle, ma
qualche volta capita che qualcuna sfugge: ed ecco che avviene la sciamatura.
La regina vecchia parte, portandosi dietro un
bel po’ di api, attorno all'alveare si sente un gran ronzio, e per l'apicoltore
da una parte sente una gioia e dall'altra un po’ di tristezza, perché rischia
di perdere lo sciame, le api partendo portano con se un bel po’ di miele.
Si può fare anche la sciamatura artificiale,
cioè togliendo un paio di telai colme di api e magari con la regina, così che
le api provvedono a farsi una regina nuova. Quello che per un apicoltore è una
cosa normale per la gente comune è fonte di panico, perché, si vede arrivare
una nuvola di api, ma non c'è alcun bisogno di spaventarsi, perché le api non
hanno nessuna intenzione di attaccare, per non perdere il loro prezioso carico
di miele, che a loro serve per la sopravvivenza dei primi giorni, finché non
trovano un posto idoneo per formare un nuovo alveare.
Considerando che le api per via dei trattamenti
in agricoltura rischiano di scomparire, sono diventati insetti protetti, così
quando qualcuno mi chiama per recuperare uno sciame selvatico, per me è una
grande gioia e non mi resta che ringraziarlo per avermi dato la possibilità di
salvare quelle povere api, che magari qualche incosciente le avrebbe eliminato
avvelenando.
Ricordiamoci che Albert Einstein predisse che
se scompaiono le api dalla terra all'uomo non rimane nulla, resterebbero che 4
anni di vita, quindi rispettiamo questo nobile insetto e quando avvistate uno
sciame, vi prego, avvisate un apicoltore di vostra conoscenza.
GRAZIE.
PAISI DITTU MIA CHIAMATU UCRIA Filippo Marzullo
PAISI DITTU MIA CHIAMATU UCRIA
Filippo Marzullo
Paisi dittu mia chiamatu
Ucria
Si accussi beddu allegru
e scialaturi
Chi inchi di gioia o
cori i cu ti vidi.
O suli ci fai tanta
simpatia,
chi ti faci cumpagnia
chiù chi poti,
e puru lu ciriveddu ti
quadia,
pitti fari sdivacari
persone beddi e pieni di sapiri.
Tra chisti c’è ddu Padri
Bernardinu
L’artefici principali
ddi na grand’opera di Palermu,
e diri chi chi ci sapi
cosi tanti
che solo Linneo u poti
superari.
ALL’ETA’ DI 16 ANNI - Salvatore Vinciullo
ALL’ETA’ DI 16 ANNI
Salvatore Vinciullo
“Mastri
nati con il mestiere tra le mani”.
All’età
di 16 anni, già si notava benissimo la maestria di Salvatore Vinciullo, mastro della pietra e del marmo.
Dopo la
mancanza della mamma Margherita Scalisi, lui dedica questo capolavoro che
potete ammirare nelle successive immagini.
Mani
d’artista, opera di straordinaria bellezza e precisione, opera fatta con il
cuore di figlio.
La Bontà - Giuseppe Rigoli
Giuseppe
Rigoli
Nella vita vien cercata
con assidua vanità
se qualcuno l’ha trovata
presto o tardi ne approfitterà
la bontà è come un fiore
calpestata appassirà
Milano
08/03/1999
PIOGGIA SUL PAESE - Angela Niosi
PIOGGIA SUL PAESE
Angela Niosi
Improvvisamente si compattano
nuvole, coprono il cielo quasi a non volerlo coinvolgere, un discorso fra loro
e la terra.
Quando tutto è pronto, si sganciano
gocce, vengono giù come piccoli paracaduti, atterrano dove capita, prima
lentamente poi sempre più veloci.
Colpiscono il suolo che ne trattiene
una parte, il resto scivola via lungo questo paese concepito in discesa e
piccoli torrenti lo attraversano di corsa, dilatando il rumore che copre altri
suoni.
L’ acqua trascina ciò che passanti
incuranti gettano via. Grovigli testardi si impuntano in un ostacolo e lei gli
gira intorno formando mulinelli e disegnando piccole isole.
Dove corri, pioggia, qual è la tua
meta?
Batti sui tetti come tacchi a
spillo, riempi canaloni che singhiozzano di fianco alle case, sorprendi
passanti che si riparano sotto ai balconi e massaie che si affrettano a portare
dentro il bucato.
Aspettano i bimbi, aspettano che
smetta di piovere per calpestare pozzanghere e spruzzare scintille d’acqua.
E
pian piano la pioggia cessa.
Si spostano le nuvole, fanno posto
al cielo e sembrano dirgli “Ora puoi
guardare, sorprenditi dei piccoli arcobaleni che fluttuano in una macchia
d’acqua là davanti a quella bambina incantata che crede di averti catturato”.
SANT'ANGELO DI BROLO 1804 UN AGENTE SEGRETO AL SERVIZIO DI SUA MAESTA' L'IMPERATORE - Luigi Pinzone
SANT'ANGELO
DI BROLO 1804
UN
AGENTE SEGRETO AL SERVIZIO DI SUA MAESTA' L'IMPERATORE
Luigi Pinzone
Carlo Gottardo Grass, scrittore, poeta e
pittore, nacque il 19 Ottobre 1767 a Serben, un piccolo paese della Livonia,
una regione tra la Lettonia e l'Estonia. Morì il 3 Agosto 1814. Innamorato
dell'Italia, come tutti i pittori di scuola Svizzero-tedesca, nel 1791 conobbe
Goethe, il quale ebbe a riferirgli testualmente “Sizilien ist noch schoener als
das neapolitanische Land”, rafforzando in lui la curiosità di visitare e
dipingere i magnifici panorami siciliani.
Quando, dopo essersi trasferito a Roma (1803) ebbe l'occasione di
visitare la Sicilia a spese di un mecenate non si fece pregare. In particolare
visitò il territorio di Sant'Angelo di Brolo. Scrisse “Sizilienische Reise”
pubblicato a Stoccarda e Tuebingen postumo nel 1815. Il fatto che prendesse
sempre degli appunti e dipingesse quei luoghi fece sorgere il sospetto che egli
in realtà fosse una spia napoleonica. E tale sospetto è corroborato dal fatto che
i suoi numerosi dipinti furono al ritorno venduti a Gioacchino Murat a Napoli.
Essendoci in quel particolare momento storico (1804) il timore che Napoleone
potesse invadere la Sicilia, quale posto si sarebbe prestato meglio ad uno
sbarco che Brolo, cosa che avvenne nella realtà ma in un altro contesto
storico, cioè nel 1943 quando sbarcarono gli americani? Ecco perchè egli venne
accolto con diffidenza dagli indigeni siciliani pur nel rispetto della squisita
ospitalità che distingue gli abitanti dell'isola. Quello che ci preme oggi
comunque non è il sapere se fosse una spia o meno. Ci interessa infatti ciò che
ha scritto sul suo viaggio ed in particolare il capitoletto che riporto punto
per punto e parola per parola, tradotto in italiano tranne le parti in corsivo
già in italiano nel testo.
“VIAGGIO DA GIUSA ATTRAVERSO L'INTERNO PER SANTA
DOMENICA ED AI PIEDI DELLA PARTE NORD DELL'ETNA. Il caso volle che il
commerciante aidonese (Filippo Conti) dovesse fare lo stesso viaggio che era
nel mio programma. Dopo aver noleggiato i cavalli ci siamo messi in cammino il
22 Settembre. Così svanì tutto il mio timore di percorrere senza compagni una strada
completamente sconosciuta e poco frequentata. Fui preso dal vivo piacere di
attraversare per la prima volta l'isola e di poter vedere l'Etna da una parte
per me completamente sconosciuta anche da altri viaggiatori. Davanti alla mia
immaginazione si presentarono allora le romantiche e incantate vallate che io
avevo già collegato al magico nome dell'Etna. La nostra strada ci portò prima
per diverse miglia nella fiumara di Gioiosa della quale fino ad allora avevo
visto solo la foce...... Sempre più il ruscello scorreva attraverso campi
tranquilli...Rùvoli, una specie di altre querce, sporgevano i loro rami
sulla strada. Aranci, fichi, granati facevano qui da corona ad una casa
contadina. Là si vedevano pioppi avvolti da viti... Fino a quando restammo
nella vallata si mostrò una superficie piana sulla quale si potevano trovare le
tracce di una strada; ma quando si cominciò a salire su un costone della
montagna, il viottolo divenne così scosceso da costringerci a fare la maggior
parte del cammino a piedi. Tutto intorno però il terreno si mostrava quanto mai
fertile. Alberi da frutta di ogni specie, soprattutto i fichi, fanno qui a gara
in grandezza con gli alberi selvatici. Intorno alle molte capanne sparse
solitarie qui e là si notava l'abbondanza delle viti. Volevamo comprare dei
fichi, ma poiché non ne avevano di già raccolti, si permise alla nostra guida
di salire sugli alberi e di raccoglierne gratuitamente quanti ne desiderasse.
Questo faticoso cammino, anche se sempre alternato da quadri di rigogliosa
fertilità, durò quasi tre ore. Quando arrivammo in alto Sant'Angelo si trovava
sotto di noi nella vallata. A causa della giornata nuvolosa da quel momento
sparì per noi la vista della costa e delle isole. Le uniche persone che
incontrammo erano i conducenti degli animali da soma, che carichi di frumento
scendevano dalla montagne. Soltanto con estrema difficoltà potemmo cedere loro
il passo su quegli stretti sentieri rocciosi. Finalmente raggiungemmo una
capanna chiamata Fundachello o locanda, dove però non c'era nulla da
comprare. Da lì potei vedere tutta la vallata che scende con i suoi declivi
verso Sant'Angelo, i cui villaggi vivono di allevamento del bestiame e
coltivazione del grano e contano tra i loro principali prodotti commerciali le
nocciole. Un religioso che si trovava a Fondachello, ma che era di un villaggio
vicino, cercò di persuadermi a stappare una bottiglia di vino di Lipari che
avevo ancora con me; ma quando io rifiutai la sua richiesta, rassicurandolo che
a Sant'Angelo avrebbe potuto aver dell'ottimo vino, venni a sapere che la mia
cattiva fama si era diffusa fino a Lucrè (Ucria) e ad altri villaggi che
egli stesso mi nominò”. (1)
Rilevanti notizie dunque sull'economia nei primi
dell'ottocento sulla zona dei Nebrodi (il vecchio Valdemone) che interessa la
nostra analisi, e una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che il termine
Ucria non è etimologicamente derivato dall'arabo ma dal greco, questo a mio
modestissimo parere e nel rispetto di opinioni che altri più ferrati di me in
materia possano manifestare. Una notazione geografico-etimologica però mi
permetto di farla proseguendo virtualmente il viaggio del Grass da Fondachello
e girando lo sguardo verso est. Sulla mulattiera che conduce a Novara di
Sicilia si trova una rocca denominata dai locali “ 'A paràta 'a mula” (La
pedata della mula) Per giustificare
detta denominazione si racconta dagli indigeni (io non ho mai visitato
il sito) che San Michele diretto a Sant'Angelo a dorso di una mula, vide il
Diavolo sopra la rocca e scese per
ucciderlo mente la mula si imbizzarrì puntando le zampe sulla rocca e
lasciandovi impresse le orme (da qui deriverebbe il nome la pedata della mula).
In realtà, si tratta di una spiegazione ad usum delphini perchè “parà
ta myle” in dorico significa “presso la roccia”, quindi denomina il sito
esistente nei pressi della roccia Ciò denota la presenza in loco di elleni di
stirpe dorica, che come è notorio colonizzarono la Sicilia tra il 736 e il 36
a.C. Quindi è certa la presenza ellenistica
già oltre duemilacinquecento anni fa, storicamente certificata anche
dalla presenza di città fiorentissime come Abakainon, in parte venuta alla luce
nei pressi del vicino paese di Tripi, una vera e propria polis con una
estensione molto ampia sol che si pensi che Abakainon comprendeva villaggi come
Fournos (Furnari), Falkes (Falcone), Pactue (Patti
Marina), Temenos (poi Timeno oggi San Piero Patti) Elikòn (Montalbano
Elicona), Basko (Basicò), Mazaràkis (Mazzarrà), Tundareos (Tindari),
ecc., mentre gli arabi invasero la Sicilia e la occuparono dall'827 fino
all'arrivo degli Altavilla quasi alla fine del sec. XI d.C. E' notorio anche
che nella zona ci fu anche una massiccia presenza ellenistica bizantina, ma
questo prima del sec. IX e dopo l'XI secolo d.C., quando i Normanni
rivitalizzarono i conventi basiliani distrutti dagli Arabi o abbandonati dai
monaci per fuggire agli stessi. Questo la dice lunga intorno alla favola che
viene raccontata relativamente alla tolleranza degli arabi, che avrebbero
permesso ai “locali”di professare una fede cristiana anche se dietro pagamento di una geziah. In
realtà il Convento di San Michele Arcangelo di Sant'Angelo di Brolo fu quasi
completamente distrutto dagli arabi e ricostruito nel 1084 da Ruggero I. Nel
Valdemone con i normanni vi fu un gran rifiorire di conventi basiliani e tra
quelli più vicini si ricordano quello di S. Nicolò de la Ficu sito a Est
del sito dove sarebbe successivamente sorto il paese di Raccuja e quello di San
Niccolò di Ise che il Pirri pone ora a Gesso ora a Ucria. (2) Però detta
presenza a Ucria non è mai stata documentalmente accertata se non da toponimi
quali Vasìli (S. Basilio) e Santu Nicola. Mi riferisco naturalmente a Santu
Nicola vicino al campo sportivo. E' mia personalissima opinione, infine, che
neanche il paese di Ucria fosse ancora sorto, almeno nella forma attuale. Vi
era un Casale di Ucria, nome rinvenuto da qualche topo di biblioteca mezzo
secolo fa e riferito alla metà del sec. XI d.C.
Carpi di Modena, lì 04.05.2016
LUIGI PINZONE
Note:
1)
CARLO GRASS Sant'Angelo di Brolo 1804 – Storia
di Sicilia Documenti inediti e rari – Editrice Pungitopo Patti 1992
2)
ROCCO PIRRI Sicilia sacra disquisitionibus et
notitiis illustrata, in BURMANNI, Thesaurus antiquitatum et historiarum
Siciliae, t. II e III
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