SALVO E FOLGORE
Sebastiano Plutino
Lungo la strada che lo riportava a casa, Salvo
camminava lentamente appoggiandosi al suo nodoso bastone in legno d’ulivo, un
lieve sorriso incorniciato dalle rughe del viso. La pioggerellina che lenta e
leggera scendeva su lui in quel pomeriggio di inizio autunno non riusciva a
distoglierlo dai suoi pensieri. Il boschetto che attraversava aveva cambiato il vestito estivo, di un verde brillante in mille
sfumature e punteggiato da variegati colori dei fiori, indossandone uno arancio
e marrone con tocchi di giallo scuro che si intonava armoniosamente ai colori
del sottobosco. Il profumo di terra bagnata aveva sostituito quello dei fiori e
qualche fungo faceva capolino dal tappeto di foglie umide che andavano
trasformandosi in ricco nutrimento.
Erano
ormai due mesi che Salvo andava in cima alla collina per far visita al suo
amico. Rimaneva insieme con lui per qualche oretta ricordando le lunghe
passeggiate fatte insieme tra i boschi e lungo le radure. Ufficialmente andavano
a caccia, ma in realtà era solo
un’occasione in più per stare insieme, per nutrire l’anima con le bellezze dei
luoghi, dei suoni e degli odori che la natura offriva loro. Ogni volta ed in
modo diversamente uguale.
Salvo
non aveva sparato un sol colpo col fucile, lo teneva a tracolla perché “andava
a caccia” e quindi doveva avere un fucile. L’amico, da parte sua, erano più le
volte che giocava a rincorrersi con conigli
o volpi, che quelle dedicate alla punta. Dimenticavo di dire che era il
migliore amico di Salvo : era il suo cane Folgore.
Il
loro incontro era avvenuto per caso quasi quindici anni prima. Salvo rientrava
in auto dal mercato settimanale che si svolgeva in un paesino vicino al suo.
Era una giornata estiva, calda ma non afosa; il venticello che giungeva dal
mare, distante qualche chilometro, rendeva piacevole il trasferimento sotto il
sole che splendeva su quelle colline verdeggianti.
Era
quasi giunto a destinazione, rallentò in prossimità dell’incrocio con la
stradina che lo avrebbe portato a casa e, nel guardare se stesse arrivando
qualche auto, notò un movimento tra i cespugli che costeggiavano la strada.
Spinto dalla curiosità, accostò l’auto, scese e si diresse verso il punto dove
aveva notato l’ondeggiare delle piante. Ebbe una sorpresa bellissima: tra i
rami sbucò la testolina bianca di un cucciolotto di cane, con l’espressione più
curiosa che impaurita. Il cagnolino scodinzolava come se lo conoscesse, si
sollevò sulle zampette posteriori e, appoggiandosi con quelle anteriori alle sue
ginocchia, iniziò a saltellare. Salvo si piegò a carezzarlo e questo bastò
perché il cucciolo iniziasse a compiere una serie di piroette intorno all’uomo
che quasi non riusciva a seguirne i movimenti. Il cagnolino, terminato questo
suo girotondo, continuava a saltellare davanti a Salvo come ad invitarlo a
prenderlo in braccio. Così avvenne. Fu un abbraccio dolce, con carezze sulla
testolina dell’uno e leccate continue sul volto dell’altro.
Salvo
provava un’immensa tenerezza nel suo cuore mentre stringeva a sé quel fagotto
peloso che non stava un attimo fermo, desideroso di altre carezze. Lo mise in
auto, ma nel portabagagli; non voleva rischiare un incidente a causa di quel
vispo cagnolino. Del resto mancavano solo un paio di chilometri prima di
giungere a casa e non avrebbe assolutamente sofferto.
Tuttavia,
fu quella un’occasione nella quale l’animaletto fece sentire la sua squillante
voce. Abbaiò agitandosi, senza smettere un attimo, come per dire: “Che fai, mi
abbandoni anche tu? Non lasciarmi qui da solo. Sapessi quanta paura ho avuto in
queste notti da solo, al buio, senza cibo e senza la mia mamma … “. Qualcuno
aveva avuto il barbaro coraggio o – meglio – la barbara viltà di abbandonarlo
in strada al suo destino.
Dopo
qualche minuto giunsero a destinazione. Salvo aprì il cancello, prese in
braccio il cagnolino e lo depose sul prato che circondava la casa. Appena a
terra, il cagnetto iniziò l’esplorazione annusando ogni angolo, ogni filo
d’erba; non dimenticò di marcare il nuovo territorio depositando qui e là un
po’ della sua pipì. Ritornava poi da Salvo per un giretto intorno a lui, una
leccatina, una scodinzolata e poi… via! nuovamente ad esplorare. Aveva capito
che quella sarebbe stata la sua sistemazione definitiva: aveva trovato casa.
Salvo
lo lasciò fare, lo seguiva con sguardo compiaciuto, gli sembrava di vedere un
bambino che gioca in assoluta libertà, senza pericoli e senza alcuna
restrizione. Ritornò all’auto per prendere gli acquisti e portarli in casa e
poco ci mancò che non cadesse inciampando sul cucciolo che gli passava tra le
gambe.
-
Ma non stai fermo
un attimo, sei proprio un fulmine! – disse con un sorriso – Credo che il nome
appropriato possa essere… mmm, sì, Folgore ti chiamerai Folgore.
Salvo
arrivò, non senza difficoltà, al portoncino di casa. Aveva le buste con gli
acquisti in una mano, le chiavi nell’altra ed una gamba alzata e mossa in ogni
direzione per impedire a Folgore, che spingeva col suo musetto tra stipite e
porta, di entrare in casa. Erano nel bel mezzo di questa tarantella quando il
portone si aprì ed apparve Nunzia, la moglie di Salvo che esterrefatta guardò
il marito con buste e chiavi in mano saltellare e volteggiare. Qualche secondo
ed una velocissima macchia bianca le passò tra le gambe infilandosi in casa.
-
Oh santa pace! –
urlò - cos’era? Dai Salvo, fai qualcosa, vai, controlla …
L’uomo,
ripreso l’equilibrio, si rivolse alla moglie con un sorriso sornione dicendole:
-
Non preoccuparti,
non è nulla di grave, è solo ehmm… un cagnetto.
-
Che cosa? Un
cane? Ma non credi che abbiamo già abbastanza lavoro in casa? Ci manca pure un
cane da accudire!!!
-
Ma dai, Nunzia, è
solo un cagnolino e abbiamo anche un giardino in cui tenerlo.
-
Ah si? E il tuo
orticello a cui tieni tanto? Ed i miei fiori? Pensi che sopravviveranno alle scorribande
di quel, quel, quel non so come definirlo …
-
Folgore, si
chiama Folgore, sembra molto vispo, ma è solo un cucciolo e sarà sufficiente
educarlo.
-
Bene, anche il
nome gli hai già dato!
Non finì la frase che dall’interno della casa
provenne un fragore metallico che li fece sobbalzare.
-
La mia cucina, il
mio spezzatino!! Salvo corri, chissà cos’ha combinato…
Lasciate
le buste a terra, Salvo entrò in casa seguito da Nunzia. Si diressero diritti
in cucina, scoprirono l’origine di quel rumore e rimasero come pietrificati:
effettivamente lo spezzatino di Nunzia, riversato in terra insieme alla
pentola, doveva essere gustoso, come sempre del resto. Prova ne era la foga e
la soddisfazione che Folgore dimostrava
mangiandolo e leccandosi i baffi, mentre i suoi occhietti si spostavano
ritmicamente dai pezzetti di carne ai volti increduli dei due coniugi.
-
Veramente
prelibato, i miei complimenti alla cuoca – sembrava dire .
Nunzia
era come paralizzata, non sapeva se urlare, piangere o rassegnarsi all’irreparabile.
Sedette lentamente su di una sedia e , i gomiti poggiati sulle ginocchia, il
viso tra le mani, guardò dritto negli occhi Salvo. Salvo guardò dritto negli
occhi Folgore con uno sguardo di rimprovero. Folgore, a sua volta, guardò Nunzia
e Salvo. Ci fu un silenzio assoluto, il cagnetto sollevò il musetto dallo
spezzatino deglutendo, quasi a fatica, l’ultimo boccone, leccò dai baffi una
gocciolina di sugo, si accucciò con le orecchie basse, la coda tra le zampe
mentre, con la testolina lievemente girata da un lato, sbirciava sottecchi i
due.
-
Credo non ci sia
nulla da aggiungere – esordì con tono serio e deciso Nunzia – quel “coso” deve
sparire da questa casa!
Salvo
ebbe un balzo al cuore. Cosa poteva replicare dopo ciò che era successo?
Folgore, invece, a quelle parole rizzò le orecchie e fulmineamente scappò dalla
cucina rifugiandosi sotto il divano in salotto. Sarà stato il tono delle parole
di Nunzia, forse la pur brevissima esperienza da randagio unita alla sua
intelligenza vivace, ma aveva capito tutto!
-
Cerca quel cane,
Salvo. Cercalo, trovalo e portalo via da casa!
-
Ma Nunzia …
-
Non ci sono “ma”
che tengano, Salvo, quel cane deve andar via da questa casa!!!
Salvo
non sapeva cosa fare. Sua moglie aveva ragione da vendere, ma quell’esserino
così intelligente e monello gli era entrato nel cuore da subito. Come avrebbe
fatto a distaccarsene e soprattutto dove avrebbe trovato il coraggio per farlo?
L’amore
che si era immediatamente instaurato tra lui e Folgore gli venne in aiuto. Andò
in salotto seguito da Nunzia e cominciò a cercare il cagnetto dicendo:
-
Su, monello,
vieni fuori dal tuo nascondiglio. Dove ti sei nascosto? Adesso ti trovo, ti
prendo e ti carico in auto. Ti porterò dove ti ho trovato. Ti metterò tra quei
cespugli spinosi dove ti ferirai, soffrirai la fame ed il freddo! Poco importa se
non hai la mamma e non potrai essere da lei difeso, se rischierai di morire
investito da qualche auto, se qualche stupido ragazzino ti legherà dei
barattoli alla codina o ti legherà col fil di ferro le zampette. Pensandoci
bene, forse potrei gettarti in un pozzo per farti soffrire di meno …
-
Smettila Salvo!
Basta! Perché devi farmi sentire in colpa? Sai che anche io amo gli animali.
Non abbiamo adottato e tenuto in casa la nostra gattina Aloe? Son quasi sei
anni che vive con noi, ma lei è discreta, non ha mai sporcato o rotto nulla in
casa. Anche quando è in giardino sembra godere dei colori e del profumo dei
miei fiori e poi non è mai entrata nell’orto a rovinare i tuoi pomodori o le
tue erbe aromatiche. Lei sì che sa comportarsi bene. Pensa a quando si
accoccola sul divano tra noi e guarda la tv facendo le fusa…
Folgore, la testolina che spuntava appena da sotto il
divano, ascoltava tutto. Alternava un’espressione dubbiosa ad una accigliata.
Le sopracciglia si sollevavano alle parole di Salvo e si aggrottavano quando
sentiva parlare di quella certa Aloe che era stata accettata. Lui no, lui era
cattivo soltanto perché aveva voluto assaggiare lo spezzatino di Nunzia! Ma
aveva fame e poi, alla fin fine, aveva dimostrato di averlo gradito, aveva riconosciuto
la sua abilità culinaria gustandolo tanto, ma proprio tanto.
-
Mah! Valli a
capire questi uomini … - pensava tra sé.
Nel
frattempo Salvo, che aveva scorto quasi subito il musetto di Folgore far
capolino da sotto il divano, continuava a far finta di cercarlo dicendo:
-
Sai Nunzia, credo
proprio che lo getterò in un pozzo così non soffrirà a lungo tante pene …
-
Ma che sei scemo?
– replicò subito Nunzia – avresti il coraggio di fare una cosa simile?
-
Io ti voglio bene
Nunzia e non voglio che tu debba adirarti per i guai che potrebbe combinare in
casa Folgore. Anche se son sicuro che, educandolo, si comporterebbe bene, ci
terrebbe compagnia, sarebbe un coccolone affettuoso, farebbe la guardia alla
nostra casa …
-
Ascoltami, attore
e filibustiere, se mi prometti di badare tu a questa specie di terremoto e di
assumertene tutte le responsabilità che ne derivano, allora ti dico che
possiamo provare - sottolineo provare - a tenerlo.
A
sentir queste parole, Folgore balzò fuori dal suo “segretissimo” nascondiglio
ed andò a scodinzolare davanti a Nunzia col musetto che sembrava mandarle baci.
Continuò così fin quando la donna non resistette e lo prese in braccio
ricevendo un’infinità di leccatine riconoscenti.
-
Sei più
filibustiere del tuo padrone, monello che non sei altro – gli diceva mentre
carezzava quella testolina in movimento.
Salvo
si avvicinò ai due stringendoli in un unico abbraccio e, baciando la moglie
sulla fronte, le disse:
-
Ero certo che
sarebbe finita così, sei tanto tanto cara.
Nel
primo pomeriggio Salvo uscì per comprare una cuccia, alcune ciotole e
croccantini per Folgore. A sera, in giardino, il nuovo arrivato aveva pronti
vitto e alloggio a cinque stelle. Il cagnetto fece un giro di ispezione intorno
alla cuccia, vi entrò, uscendone dopo qualche minuto con aria soddisfatta.
Assaggiò i croccantini, bevve dalla ciotola, poi si mise accucciato davanti
all’entrata della sua nuova residenza e si assopì.
Il
giorno dopo, di buon mattino, Salvo andò in giardino per controllare come
avesse trascorso la notte il suo amico, si avvicinò alla cuccia, ma non lo
trovò. Andò dietro casa nell’orto, nulla; girò per il giardino fino a giungere
nei pressi dell’aiuola fiorita di Nunzia. Fu qui che scoprì l’interesse
botanico di Folgore : aveva raccolto un paio di profumate gardenie e ne stava
analizzando i fusti e le radici. Salvo ebbe una crisi di panico. Faceva piccoli
passi avanti e indietro pensando a come giustificare quel disastro e come
arginare la reazione, certamente non piacevole, di Nunzia. Sottovoce
rimbrottava Folgore:
-
Oh no, le
gardenie! Ma ti rendi conto di cosa hai fatto? Non capisci che rischiamo tutti
e due di esser buttati fuori da casa? Non avevi altro da fare? Al limite avrei
preferito che staccassi qualcuna delle mie piante di pomodoro, mannaggia a te!
E chi lo dice a Nunzia? Come minimo mi becco una padellata in testa!
Folgore
lo guardava stupito masticando lentamente una bianca gardenia e sputacchiandone
qualche petalo.
-
Salvo, Salvo, la
colazione è pronta. Vieni altrimenti il caffè si fredda.
-
Oddio, sono un
uomo morto – pensò.
-
Ma dove sei, ti
sbrighi? Ho tanto da fare ancora – riprese Nunzia.
-
Arrivo, arrivo.
Solo un attimo e son lì.
La
forza della disperazione gli fornì la soluzione. Scavò a mani nude nel
terriccio e rimise a dimora le gardenie strappandole dalle fauci di Folgore che
rimase a bocca aperta. Lo prese in braccio e si avviò verso casa. Entrò con lui
in cucina lo poggiò in terra e si accinse a sorbire il caffè, ma Nunzia lo
riprese:
-
Ma che fai, prendi
il caffè con le mani sporche di terra e dopo aver carezzato il cane? Lavatele
subito.
-
Si Nunzia,
scusami, hai ragione. L’igiene prima di tutto, ero sovrappensiero. Ho sistemato
una pianta di … di … di pomodoro e non ci ho fatto caso…
-
Pomodori? Ma non
le aveva chiamate gardenie? – pensava Folgore come sempre attentissimo ai
dialoghi tra i due - vuol dire che nel pomeriggio assaggerò anche i pomodori.
Dopo
aver lavato le mani, con la fronte ancora perlata di sudore per lo scampato
pericolo, Salvo bevve il caffè e si apprestò ad uscire. Messi collare e
guinzaglio a Folgore, dopo aver salutato Nunzia, Iniziarono la loro prima
passeggiata.
Folgore
non riusciva a spiegarsi perché avesse al collo quella striscia di pelle legata
ad una catenella che terminava nella mano del suo amico Salvo. Era fastidiosa,
gli procurava prurito e, soprattutto, non lo faceva correre come voleva.
Folgore cercava di correre in avanti trascinando Salvo che, non senza fatica,
cercava a sua volta di trattenerlo. Il cagnetto, sebbene ancora cucciolo,
dimostrava una forza non indifferente. Il loro procedere non era molto fluido,
Folgore non seguiva una direzione precisa; passava davanti a Salvo
attorcigliandolo col guinzaglio e l’uomo doveva girare su se stesso per
liberarsi. Poi improvvisamente il cane si fermava per una liberatoria
grattatina al collo, riprendeva a camminare, si fermava ad odorare ogni angolo
per poi riprendere a saltellare davanti a Salvo.
Così
facendo, giunsero davanti alla bottega di Peppe il fruttivendolo. La sua
bottega era un quadro siciliano variopinto: il rosso acceso dei pomodori maturi
si mescolava al viola delle susine, al verde in varie sfumature di pere e
cetrioli, mentre il rosa arancio delle albicocche era incastonato tra cesti di
mele rubiconde; il tricolore delle angurie tagliate contrastava col giallo
solare dei limoni appena colti deposti in ceste ornate da foglie verde scuro.
A questa esplosione di colori faceva da
sottofondo l’intenso profumo del basilico e della menta proveniente dai vasetti
posti a terra davanti al bancone.
Salvo
si fermò per scambiare due chiacchiere con Peppe tenendo ben saldo in mano il
guinzaglio per evitare sorprese. Folgore iniziò ad analizzare quei profumi, per
lui nuovi, passando dal basilico alla menta, alzando il muso per catturare
quello dei frutti esposti più in alto. Lo colpì in modo particolare l’odore dei
limoni. Lo sentiva forte quasi fastidioso. Prese una decisione: doveva in
qualsiasi modo evitare che quelle palle gialle dentro il cesto potessero
rovinare il suo prezioso odorato. Fu così che, con un balzo, si ritrovò dentro
al cesto, impegnato a combattere con un esercito di limoni che iniziarono a
rotolare sul marciapiedi tra le urla di Peppe e di Salvo che lo tirò a sé col
guinzaglio. Ad ogni modo il cavaliere Folgore era riuscito, azzannandoli, ad
ucciderne almeno tre di nemici: giacevano in terra perforati e squartati ormai
esanimi, mentre il vincitore sputacchiava rimasugli di buccia gialla e succo
agro.
Nei
mesi successivi Folgore ne combinò tante altre di marachelle, ma l’amore che lo
legava a Salvo insieme a periodi di addestramento svolto a mo’ di gioco durante
le passeggiate quotidiane sulle colline che circondavano il paesino,
trasformarono il cucciolo in un cane ubbidiente ed amico fidato.
Folgore
era ormai un bell’esemplare di tre anni, intelligentissimo e possente; ormai
non c’era bisogno di tenerlo al guinzaglio, camminava al fianco di Salvo senza
allontanarsi da lui. Guardandoli sembrava fossero una sola persona e tutti in
paese conoscevano il legame che c’era fra i due. Anche Nunzia, ormai, lo
riteneva uno di famiglia e gli era affezionata tal punto che la porzione di
spezzatino più grande era sempre destinata a Folgore.
Una
domenica di fine autunno, di buon’ora, Salvo si preparò per una battuta di
caccia. Indossò il suo giaccone mimetico ed il cappello, prese fucile,
cartucciera e carniere, aprì l’uscio di casa richiudendolo lentamente senza far
rumore per non svegliare Nunzia. Folgore era in attesa davanti alla sua cuccia.
Senza abbaiare, scodinzolando, diede il buongiorno a Salvo ed insieme, con
passi felpati, si avviarono verso le colline. L’aria frizzante del mattino
penetrava attraverso le loro narici uscendone poi in diafane nuvolette di vapor
acqueo e dando loro una carica come neanche mille caffè avrebbero potuto. Erano
momenti bellissimi, sereni, rilassanti. I due amici procedevano senza fretta scambiandosi
sguardi complici, sapevano che avrebbero trascorso un’altra giornata in mezzo
alla natura ed alle sue bellezze. L’odore del sottobosco li inebriava mentre
andavano all’appuntamento con l’alba, in cima alla collina ammirando, lungo il
tragitto, lo spuntar del sole con i suoi raggi rosei.
Anche
quella domenica non avevano sbagliato i tempi. A metà salita i primi raggi iniziarono
a dipingere le cime degli alberi più alti che man mano passarono da un verde
cupo e scuro ad un verde brillante. Il sole si alzava ed il pennello dei suoi
raggi diveniva multicolore dando vita progressivamente al verde scuro delle
felci, alle varie sfumature di marrone dei funghi appena nati, al rosso delle
fragoline che spuntavano a margine del sentiero. Era una lenta esplosione di
bellezza la cui onda d’urto entrava profondamente nell’anima. Folgore guardava
il suo amico facendogli capire che anche lui era inebriato da tanta bellezza,
ma che non vedeva l’ora di correre e saltare tra i cespugli alla ricerca di
qualche lepre o volpe a cui far prendere uno spavento. Sapeva bene che Salvo
non avrebbe mai sparato, il piacere e la felicità non risiedono di certo nel
toglier la vita ad un essere vivente per poi esibirlo come trofeo della propria
incapacità d’amare.
Giunti
in cima salutarono il nuovo giorno ed insieme fecero colazione con le pagnotte
farcite da Nunzia la sera prima. Salvo addentò la sua di pane integrale con
mortadella e formaggio, Folgore, da parte sua gustava beatamente un gran filone
con le salsicce arrostite sul carbone, leccandosi i baffi per la soddisfazione.
Un paio di sorsi di fresca acqua dalla borraccia segnarono la conclusione dello
spuntino di Salvo, mentre il vispo Folgore si lanciò in una veloce corsa verso
un ruscello che scorreva poco lontano. Cominciò a bere abbondantemente; le
salsicce erano un po’ salate sebbene gustosissime.
Mentre
beveva, la sua attenzione fu attratta da uno sciabordio proveniente da uno
stagno, qualche metro più giù, alla fine
di una ripida scarpata. Velocemente vi arrivò e vide un gruppo di carpe che si
rincorrevano saltando di tanto in tanto sul pelo dell’acqua. Senza pensarci
su, con un balzo si tuffò per catturarne
qualcuna, ma l’unico effetto che sortì fu quello di un rinfrescante bagno
nell’acqua limpida. Guardatosi intorno e visto che le carpe non avevano voglia
di tenergli compagnia, con agile nuotata riguadagnò la riva. Nel frattempo
Salvo, udito il rumore del tuffo, corse per vedere cosa fosse accaduto.
-
Folgore dove sei? Che succede?
Così
dicendo, frettolosamente corse verso lo stagno, ma giunto nei pressi, mentre
osservava il suo amico scrollarsi l’acqua di dosso
con una serie di energici scossoni, mise un piede in fallo scivolando sulle foglie
ancora bagnate dalla rugiada. Fu una caduta rovinosa, un piede restò impigliato
in una radice e la sua gamba si fratturò. Un dolore lancinante che arrivò al
cervello; rotolò lungo la scarpata sbattendo la testa su di una pietra e perse
i sensi.
Folgore
si rese subito conto che qualcosa di grave era successo e a grandi balzi
raggiunse l’uomo ormai incosciente. Cominciò a leccargli il viso, guaiva, cercava
di risvegliarlo ficcando il suo muso sotto la testa di Salvo scuotendola.
Nulla, non succedeva nulla. Cominciò ad abbaiare con tutte le sue forze per
richiamare l’attenzione di qualcuno, ma non sentiva rumori, non percepiva
alcuna presenza. Si accoccolò accanto a Salvo, come per proteggerlo e
riscaldarlo. Di tanto in tanto lo leccava e scuoteva nella speranza di vedere i
suoi occhi aprirsi, ma nulla. Poi si acquietò ed assunse un’espressione
pensierosa, come se stesse valutando il da farsi.
Passarono
pochi minuti, si alzò, corse verso lo stagno e vi entrò lentamente impregnando
il suo folto pelo con la fresca acqua. Uscì dall’acqua e a passo lento si diresse
verso Salvo; appena giuntogli vicino, iniziò a scrollarsi. Una densa e fresca
cascata di goccioline cadde sull’uomo che diede un lieve cenno di risveglio.
Folgore ritornò allo stagno e ripetè le stesse azioni per tre volte. Alla fine
Salvo aprì gli occhi, guardò il cane e la smorfia di dolore che aveva sul viso
si trasformò in un sofferente sorriso. Non era solo, aveva il suo amico al suo
fianco.
Cercò
di alzarsi, ma ogni movimento della gamba gli provocava dolore. Folgore, da
parte sua, assunse nuovamente un’espressione pensierosa e iniziò a gironzolare
odorando e guardandosi attorno.
Folgore, che
fai, ti metti a giocare? Non capisci che sono nei guai?
Il cane
sembrava non ascoltarlo. Poi, d’un tratto si infilò tra i cespugli e ne uscì
qualche minuto dopo con un frondoso e robusto ramo d’ulivo tra i denti che poggiò
davanti a Salvo accucciandosi. L’uomo capì le sue intenzioni e lo strinse a sé
in un abbraccio.
-
Amico mio caro –
sussurrò .
Il
muso di Folgore si aprì in un sorriso, la lingua penzoloni e gli occhi che
sprizzavano felicità.
Salvo
sedette; con la cintura e la cartucciera fissò un paio di rami più piccoli ma
robusti alla gamba rotta per immobilizzarla; ripulì il ramo d’ulivo da foglie e rametti
fino a farne una sorta di bastone. Vi si appoggiò e, non senza fatica, riuscì a
rimettersi in piedi. Il problema era, adesso, ripercorrere in salita quegli
otto dieci metri di scarpata che lo separavano dal sentiero.
Anche
questa volta gli venne in aiuto il suo amico. Si pose davanti a lui, muso in
su, scodinzolando.
-
Dai, che aspetti
– gli diceva con un abbaio – afferra la mia coda che ti porto su io …
Salvo
comprese le sue intenzioni, afferrò la coda e, aiutandosi col bastone, iniziò a
salire. Folgore lo trainava con tutta la sua forza, incurante del dolore che
provava per la trazione sulla sua coda.
-
Anche lui soffre
per la sua gamba rotta – pensava. Anche lui è venuto da me credendo fossi in
pericolo. Se si condivide un dolore tra amici si soffre meno. La mia coda e la
sua gamba guariranno presto ed insieme.
Così
facendo e pensando, si ritrovarono sul sentiero che li avrebbe riportati a
casa. Recuperato il fucile, Salvo e Folgore si avviarono lentamente verso il
paese. Bastone e fucile facevano da stampelle, la loro amicizia era il
carburante che dava loro la forza di procedere.
Giunti
in prossimità della strada si fermarono sul ciglio in attesa di qualcuno che
potesse accompagnarli fino al paese. Trascorsi una decina di minuti, un
compaesano li prese a bordo della sua auto e li accompagnò alla guardia medica.
Dopo i primi soccorsi, accompagnato da Nunzia, Salvo arrivò in ospedale dove
gli fu fatta l’ingessatura e poi rimandato a casa. Folgore seduto sul sedile
posteriore dell’auto, aspettò pazientemente che il suo amico uscisse e tutti
insieme rientrarono a casa.
I
giorni della degenza trascorsero velocemente, in quasi assoluta libertà
concessa da Nunzia: per Salvo che poteva soggiornare e pasteggiare in salotto
davanti alla televisione scegliendo i programmi che più gli piacevano senza
interferenze della moglie; per Folgore, protagonista del salvataggio che aveva
avuto la concessione, previa copertura del divano con doppio tappetino in
cotone pesante, di sedere comodamente accanto al suo amico. Avevano tanto
bisogno di sostegno e coccole reciproche. Il quadretto che conoscenti ed amici
si ritrovavano davanti quando andavano a trovare i due “convalescenti” era
questo: Salvo che, in giacca da camera, la gamba ingessata su di uno sgabello,
sgranocchiava salatini, arachidi e sorseggiava una fresca birra; Folgore,
seduto sul divano al suo fianco, che attentissimo al programma in televisione,
di tanto in tanto assaggiava le prelibatezze che Nunzia, riconoscente, gli preparava
in una ciotolona.
Durante
questa serena convalescenza, Salvo lavorò col suo coltello quel bastone di
ulivo “regalatogli” da Folgore. Aveva rappresentato la sua salvezza ed era il
segno tangibile del legame esistente tra due esseri che si erano amati da
subito, divenendo quasi una cosa sola.
Anche
questa immagine era nella mente di Salvo quando, un po’ affaticato, giunse in
cima alla collina. Si diresse lentamente dove il suo amico riposava ormai da un
po’ di tempo.
-
Ricordi, Folgore,
quando …..
I suoi pensieri erano parole non
pronunciate, non c’era bisogno del suono per intendersi: erano le loro anime a
parlare.
Preso da una dolce stanchezza, appoggiandosi
con entrambe le mani a quel bastone d’ulivo, Salvo con movimento lento sedette
accanto a Folgore, poggiò a terra il cappello e chiuse gli occhi. Restarono così,
uniti per sempre ad aspettare altre albe.
Nessun commento:
Posta un commento