domenica 15 gennaio 2017

SALVO E FOLGORE - Sebastiano Plutino

SALVO  E  FOLGORE
Sebastiano Plutino
            Lungo la strada che lo riportava a casa, Salvo camminava lentamente appoggiandosi al suo nodoso bastone in legno d’ulivo, un lieve sorriso incorniciato dalle rughe del viso. La pioggerellina che lenta e leggera scendeva su lui in quel pomeriggio di inizio autunno non riusciva a distoglierlo dai suoi pensieri. Il boschetto che attraversava  aveva cambiato il vestito  estivo, di un verde brillante in mille sfumature e punteggiato da variegati colori dei fiori, indossandone uno arancio e marrone con tocchi di giallo scuro che si intonava armoniosamente ai colori del sottobosco. Il profumo di terra bagnata aveva sostituito quello dei fiori e qualche fungo faceva capolino dal tappeto di foglie umide che andavano trasformandosi in ricco nutrimento.
                Erano ormai due mesi che Salvo andava in cima alla collina per far visita al suo amico. Rimaneva insieme con lui per qualche oretta ricordando le lunghe passeggiate fatte insieme tra i boschi e lungo le radure. Ufficialmente andavano a caccia, ma in realtà  era solo un’occasione in più per stare insieme, per nutrire l’anima con le bellezze dei luoghi, dei suoni e degli odori che la natura offriva loro. Ogni volta ed in modo diversamente uguale.
                Salvo non aveva sparato un sol colpo col fucile, lo teneva a tracolla perché “andava a caccia” e quindi doveva avere un fucile. L’amico, da parte sua, erano più le volte che giocava a rincorrersi con conigli  o volpi, che quelle dedicate alla punta. Dimenticavo di dire che era il migliore amico di Salvo : era il suo cane Folgore. 
                Il loro incontro era avvenuto per caso quasi quindici anni prima. Salvo rientrava in auto dal mercato settimanale che si svolgeva in un paesino vicino al suo. Era una giornata estiva, calda ma non afosa; il venticello che giungeva dal mare, distante qualche chilometro, rendeva piacevole il trasferimento sotto il sole che splendeva su quelle colline verdeggianti.
                Era quasi giunto a destinazione, rallentò in prossimità dell’incrocio con la stradina che lo avrebbe portato a casa e, nel guardare se stesse arrivando qualche auto, notò un movimento tra i cespugli che costeggiavano la strada. Spinto dalla curiosità, accostò l’auto, scese e si diresse verso il punto dove aveva notato l’ondeggiare delle piante. Ebbe una sorpresa bellissima: tra i rami sbucò la testolina bianca di un cucciolotto di cane, con l’espressione più curiosa che impaurita. Il cagnolino scodinzolava come se lo conoscesse, si sollevò sulle zampette posteriori e, appoggiandosi con quelle anteriori alle sue ginocchia, iniziò a saltellare. Salvo si piegò a carezzarlo e questo bastò perché il cucciolo iniziasse a compiere una serie di piroette intorno all’uomo che quasi non riusciva a seguirne i movimenti. Il cagnolino, terminato questo suo girotondo, continuava a saltellare davanti a Salvo come ad invitarlo a prenderlo in braccio. Così avvenne. Fu un abbraccio dolce, con carezze sulla testolina dell’uno e leccate continue sul volto dell’altro.
                Salvo provava un’immensa tenerezza nel suo cuore mentre stringeva a sé quel fagotto peloso che non stava un attimo fermo, desideroso di altre carezze. Lo mise in auto, ma nel portabagagli; non voleva rischiare un incidente a causa di quel vispo cagnolino. Del resto mancavano solo un paio di chilometri prima di giungere a casa e non avrebbe assolutamente sofferto.
                Tuttavia, fu quella un’occasione nella quale l’animaletto fece sentire la sua squillante voce. Abbaiò agitandosi, senza smettere un attimo, come per dire: “Che fai, mi abbandoni anche tu? Non lasciarmi qui da solo. Sapessi quanta paura ho avuto in queste notti da solo, al buio, senza cibo e senza la mia mamma … “. Qualcuno aveva avuto il barbaro coraggio o – meglio – la barbara viltà di abbandonarlo in strada al suo destino.
                Dopo qualche minuto giunsero a destinazione. Salvo aprì il cancello, prese in braccio il cagnolino e lo depose sul prato che circondava la casa. Appena a terra, il cagnetto iniziò l’esplorazione annusando ogni angolo, ogni filo d’erba; non dimenticò di marcare il nuovo territorio depositando qui e là un po’ della sua pipì. Ritornava poi da Salvo per un giretto intorno a lui, una leccatina, una scodinzolata e poi… via! nuovamente ad esplorare. Aveva capito che quella sarebbe stata la sua sistemazione definitiva: aveva trovato casa.
                Salvo lo lasciò fare, lo seguiva con sguardo compiaciuto, gli sembrava di vedere un bambino che gioca in assoluta libertà, senza pericoli e senza alcuna restrizione. Ritornò all’auto per prendere gli acquisti e portarli in casa e poco ci mancò che non cadesse inciampando sul cucciolo che gli passava tra le gambe.
-          Ma non stai fermo un attimo, sei proprio un fulmine! – disse con un sorriso – Credo che il nome appropriato possa essere… mmm, sì, Folgore ti chiamerai Folgore.
                Salvo arrivò, non senza difficoltà, al portoncino di casa. Aveva le buste con gli acquisti in una mano, le chiavi nell’altra ed una gamba alzata e mossa in ogni direzione per impedire a Folgore, che spingeva col suo musetto tra stipite e porta, di entrare in casa. Erano nel bel mezzo di questa tarantella quando il portone si aprì ed apparve Nunzia, la moglie di Salvo che esterrefatta guardò il marito con buste e chiavi in mano saltellare e volteggiare. Qualche secondo ed una velocissima macchia bianca le passò tra le gambe infilandosi in casa.
-          Oh santa pace! – urlò - cos’era? Dai Salvo, fai qualcosa, vai, controlla …
                L’uomo, ripreso l’equilibrio, si rivolse alla moglie con un sorriso sornione dicendole:
-          Non preoccuparti, non è nulla di grave, è solo ehmm… un cagnetto.
-          Che cosa? Un cane? Ma non credi che abbiamo già abbastanza lavoro in casa? Ci manca pure un cane da accudire!!!
-          Ma dai, Nunzia, è solo un cagnolino e abbiamo anche un giardino in cui tenerlo.
-          Ah si? E il tuo orticello a cui tieni tanto? Ed i miei fiori? Pensi che sopravviveranno alle scorribande di quel, quel, quel non so come definirlo …
-          Folgore, si chiama Folgore, sembra molto vispo, ma è solo un cucciolo e sarà sufficiente educarlo.
-          Bene, anche il nome gli hai già dato!
                Non  finì la frase che dall’interno della casa provenne un fragore metallico che li fece sobbalzare.
-          La mia cucina, il mio spezzatino!! Salvo corri, chissà cos’ha combinato…
                Lasciate le buste a terra, Salvo entrò in casa seguito da Nunzia. Si diressero diritti in cucina, scoprirono l’origine di quel rumore e rimasero come pietrificati: effettivamente lo spezzatino di Nunzia, riversato in terra insieme alla pentola, doveva essere gustoso, come sempre del resto. Prova ne era la foga e la soddisfazione  che Folgore dimostrava mangiandolo e leccandosi i baffi, mentre i suoi occhietti si spostavano ritmicamente dai pezzetti di carne ai volti increduli dei due coniugi.
-          Veramente prelibato, i miei complimenti alla cuoca – sembrava dire .
                Nunzia era come paralizzata, non sapeva se urlare, piangere o rassegnarsi all’irreparabile. Sedette lentamente su di una sedia e , i gomiti poggiati sulle ginocchia, il viso tra le mani, guardò dritto negli occhi Salvo. Salvo guardò dritto negli occhi Folgore con uno sguardo di rimprovero. Folgore, a sua volta, guardò Nunzia e Salvo. Ci fu un silenzio assoluto, il cagnetto sollevò il musetto dallo spezzatino deglutendo, quasi a fatica, l’ultimo boccone, leccò dai baffi una gocciolina di sugo, si accucciò con le orecchie basse, la coda tra le zampe mentre, con la testolina lievemente girata da un lato, sbirciava sottecchi i due.
-          Credo non ci sia nulla da aggiungere – esordì con tono serio e deciso Nunzia – quel “coso” deve sparire da questa casa!
                Salvo ebbe un balzo al cuore. Cosa poteva replicare dopo ciò che era successo? Folgore, invece, a quelle parole rizzò le orecchie e fulmineamente scappò dalla cucina rifugiandosi sotto il divano in salotto. Sarà stato il tono delle parole di Nunzia, forse la pur brevissima esperienza da randagio unita alla sua intelligenza vivace, ma aveva capito tutto!
-          Cerca quel cane, Salvo. Cercalo, trovalo e portalo via da casa!
-          Ma Nunzia …
-          Non ci sono “ma” che tengano, Salvo, quel cane deve andar via da questa casa!!!
                Salvo non sapeva cosa fare. Sua moglie aveva ragione da vendere, ma quell’esserino così intelligente e monello gli era entrato nel cuore da subito. Come avrebbe fatto a distaccarsene e soprattutto dove avrebbe trovato il coraggio per farlo?
                L’amore che si era immediatamente instaurato tra lui e Folgore gli venne in aiuto. Andò in salotto seguito da Nunzia e cominciò a cercare il cagnetto dicendo:
-          Su, monello, vieni fuori dal tuo nascondiglio. Dove ti sei nascosto? Adesso ti trovo, ti prendo e ti carico in auto. Ti porterò dove ti ho trovato. Ti metterò tra quei cespugli spinosi dove ti ferirai, soffrirai la fame ed il freddo! Poco importa se non hai la mamma e non potrai essere da lei difeso, se rischierai di morire investito da qualche auto, se qualche stupido ragazzino ti legherà dei barattoli alla codina o ti legherà col fil di ferro le zampette. Pensandoci bene, forse potrei gettarti in un pozzo per farti soffrire di meno …
-          Smettila Salvo! Basta! Perché devi farmi sentire in colpa? Sai che anche io amo gli animali. Non abbiamo adottato e tenuto in casa la nostra gattina Aloe? Son quasi sei anni che vive con noi, ma lei è discreta, non ha mai sporcato o rotto nulla in casa. Anche quando è in giardino sembra godere dei colori e del profumo dei miei fiori e poi non è mai entrata nell’orto a rovinare i tuoi pomodori o le tue erbe aromatiche. Lei sì che sa comportarsi bene. Pensa a quando si accoccola sul divano tra noi e guarda la tv  facendo le fusa…
Folgore, la testolina che spuntava appena da sotto il divano, ascoltava tutto. Alternava un’espressione dubbiosa ad una accigliata. Le sopracciglia si sollevavano alle parole di Salvo e si aggrottavano quando sentiva parlare di quella certa Aloe che era stata accettata. Lui no, lui era cattivo soltanto perché aveva voluto assaggiare lo spezzatino di Nunzia! Ma aveva fame e poi, alla fin fine, aveva dimostrato di averlo gradito, aveva riconosciuto la sua abilità culinaria gustandolo tanto, ma proprio tanto.
-          Mah! Valli a capire questi uomini … - pensava tra sé.
                Nel frattempo Salvo, che aveva scorto quasi subito il musetto di Folgore far capolino da sotto il divano, continuava a far finta di cercarlo dicendo:
-          Sai Nunzia, credo proprio che lo getterò in un pozzo così non soffrirà a lungo tante pene …
-          Ma che sei scemo? – replicò subito Nunzia – avresti il coraggio di fare una cosa simile?
-          Io ti voglio bene Nunzia e non voglio che tu debba adirarti per i guai che potrebbe combinare in casa Folgore. Anche se son sicuro che, educandolo, si comporterebbe bene, ci terrebbe compagnia, sarebbe un coccolone affettuoso, farebbe la guardia alla nostra casa …
-          Ascoltami, attore e filibustiere, se mi prometti di badare tu a questa specie di terremoto e di assumertene tutte le responsabilità che ne derivano, allora ti dico che possiamo provare - sottolineo provare - a tenerlo.
                A sentir queste parole, Folgore balzò fuori dal suo “segretissimo” nascondiglio ed andò a scodinzolare davanti a Nunzia col musetto che sembrava mandarle baci. Continuò così fin quando la donna non resistette e lo prese in braccio ricevendo un’infinità di leccatine riconoscenti.
-          Sei più filibustiere del tuo padrone, monello che non sei altro – gli diceva mentre carezzava quella testolina in movimento.
                Salvo si avvicinò ai due stringendoli in un unico abbraccio e, baciando la moglie sulla fronte, le disse:
-          Ero certo che sarebbe finita così, sei tanto tanto cara.
                Nel primo pomeriggio Salvo uscì per comprare una cuccia, alcune ciotole e croccantini per Folgore. A sera, in giardino, il nuovo arrivato aveva pronti vitto e alloggio a cinque stelle. Il cagnetto fece un giro di ispezione intorno alla cuccia, vi entrò, uscendone dopo qualche minuto con aria soddisfatta. Assaggiò i croccantini, bevve dalla ciotola, poi si mise accucciato davanti all’entrata della sua nuova residenza e si assopì.
                Il giorno dopo, di buon mattino, Salvo andò in giardino per controllare come avesse trascorso la notte il suo amico, si avvicinò alla cuccia, ma non lo trovò. Andò dietro casa nell’orto, nulla; girò per il giardino fino a giungere nei pressi dell’aiuola fiorita di Nunzia. Fu qui che scoprì l’interesse botanico di Folgore : aveva raccolto un paio di profumate gardenie e ne stava analizzando i fusti e le radici. Salvo ebbe una crisi di panico. Faceva piccoli passi avanti e indietro pensando a come giustificare quel disastro e come arginare la reazione, certamente non piacevole, di Nunzia. Sottovoce rimbrottava Folgore:
-          Oh no, le gardenie! Ma ti rendi conto di cosa hai fatto? Non capisci che rischiamo tutti e due di esser buttati fuori da casa? Non avevi altro da fare? Al limite avrei preferito che staccassi qualcuna delle mie piante di pomodoro, mannaggia a te! E chi lo dice a Nunzia? Come minimo mi becco una padellata in testa!
                Folgore lo guardava stupito masticando lentamente una bianca gardenia e sputacchiandone qualche petalo.

-          Salvo, Salvo, la colazione è pronta. Vieni altrimenti il caffè si fredda.
-          Oddio, sono un uomo morto – pensò.
-          Ma dove sei, ti sbrighi? Ho tanto da fare ancora – riprese Nunzia.
-          Arrivo, arrivo. Solo un attimo e son lì.
                La forza della disperazione gli fornì la soluzione. Scavò a mani nude nel terriccio e rimise a dimora le gardenie strappandole dalle fauci di Folgore che rimase a bocca aperta. Lo prese in braccio e si avviò verso casa. Entrò con lui in cucina lo poggiò in terra e si accinse a sorbire il caffè, ma Nunzia lo riprese:
-          Ma che fai, prendi il caffè con le mani sporche di terra e dopo aver carezzato il cane? Lavatele subito.
-          Si Nunzia, scusami, hai ragione. L’igiene prima di tutto, ero sovrappensiero. Ho sistemato una pianta di … di … di pomodoro e non ci ho fatto caso…
-          Pomodori? Ma non le aveva chiamate gardenie? – pensava Folgore come sempre attentissimo ai dialoghi tra i due - vuol dire che nel pomeriggio assaggerò anche i pomodori.
                Dopo aver lavato le mani, con la fronte ancora perlata di sudore per lo scampato pericolo, Salvo bevve il caffè e si apprestò ad uscire. Messi collare e guinzaglio a Folgore, dopo aver salutato Nunzia, Iniziarono la loro prima passeggiata.
                Folgore non riusciva a spiegarsi perché avesse al collo quella striscia di pelle legata ad una catenella che terminava nella mano del suo amico Salvo. Era fastidiosa, gli procurava prurito e, soprattutto, non lo faceva correre come voleva. Folgore cercava di correre in avanti trascinando Salvo che, non senza fatica, cercava a sua volta di trattenerlo. Il cagnetto, sebbene ancora cucciolo, dimostrava una forza non indifferente. Il loro procedere non era molto fluido, Folgore non seguiva una direzione precisa; passava davanti a Salvo attorcigliandolo col guinzaglio e l’uomo doveva girare su se stesso per liberarsi. Poi improvvisamente il cane si fermava per una liberatoria grattatina al collo, riprendeva a camminare, si fermava ad odorare ogni angolo per poi riprendere a saltellare davanti a Salvo.
                Così facendo, giunsero davanti alla bottega di Peppe il fruttivendolo. La sua bottega era un quadro siciliano variopinto: il rosso acceso dei pomodori maturi si mescolava al viola delle susine, al verde in varie sfumature di pere e cetrioli, mentre il rosa arancio delle albicocche era incastonato tra cesti di mele rubiconde; il tricolore delle angurie tagliate contrastava col giallo solare dei limoni appena colti deposti in ceste ornate da foglie verde scuro. A  questa esplosione di colori faceva da sottofondo l’intenso profumo del basilico e della menta proveniente dai vasetti posti a terra davanti al bancone.
                Salvo si fermò per scambiare due chiacchiere con Peppe tenendo ben saldo in mano il guinzaglio per evitare sorprese. Folgore iniziò ad analizzare quei profumi, per lui nuovi, passando dal basilico alla menta, alzando il muso per catturare quello dei frutti esposti più in alto. Lo colpì in modo particolare l’odore dei limoni. Lo sentiva forte quasi fastidioso. Prese una decisione: doveva in qualsiasi modo evitare che quelle palle gialle dentro il cesto potessero rovinare il suo prezioso odorato. Fu così che, con un balzo, si ritrovò dentro al cesto, impegnato a combattere con un esercito di limoni che iniziarono a rotolare sul marciapiedi tra le urla di Peppe e di Salvo che lo tirò a sé col guinzaglio. Ad ogni modo il cavaliere Folgore era riuscito, azzannandoli, ad ucciderne almeno tre di nemici: giacevano in terra perforati e squartati ormai esanimi, mentre il vincitore sputacchiava rimasugli di buccia gialla e succo agro.
                Nei mesi successivi Folgore ne combinò tante altre di marachelle, ma l’amore che lo legava a Salvo insieme a periodi di addestramento svolto a mo’ di gioco durante le passeggiate quotidiane sulle colline che circondavano il paesino, trasformarono il cucciolo in un cane ubbidiente ed amico fidato.
                Folgore era ormai un bell’esemplare di tre anni, intelligentissimo e possente; ormai non c’era bisogno di tenerlo al guinzaglio, camminava al fianco di Salvo senza allontanarsi da lui. Guardandoli sembrava fossero una sola persona e tutti in paese conoscevano il legame che c’era fra i due. Anche Nunzia, ormai, lo riteneva uno di famiglia e gli era affezionata tal punto che la porzione di spezzatino più grande era sempre destinata a Folgore.
                Una domenica di fine autunno, di buon’ora, Salvo si preparò per una battuta di caccia. Indossò il suo giaccone mimetico ed il cappello, prese fucile, cartucciera e carniere, aprì l’uscio di casa richiudendolo lentamente senza far rumore per non svegliare Nunzia. Folgore era in attesa davanti alla sua cuccia. Senza abbaiare, scodinzolando, diede il buongiorno a Salvo ed insieme, con passi felpati, si avviarono verso le colline. L’aria frizzante del mattino penetrava attraverso le loro narici uscendone poi in diafane nuvolette di vapor acqueo e dando loro una carica come neanche mille caffè avrebbero potuto. Erano momenti bellissimi, sereni, rilassanti. I due amici procedevano senza fretta scambiandosi sguardi complici, sapevano che avrebbero trascorso un’altra giornata in mezzo alla natura ed alle sue bellezze. L’odore del sottobosco li inebriava mentre andavano all’appuntamento con l’alba, in cima alla collina ammirando, lungo il tragitto, lo spuntar del sole con i suoi raggi rosei.
                Anche quella domenica non avevano sbagliato i tempi. A metà salita i primi raggi iniziarono a dipingere le cime degli alberi più alti che man mano passarono da un verde cupo e scuro ad un verde brillante. Il sole si alzava ed il pennello dei suoi raggi diveniva multicolore dando vita progressivamente al verde scuro delle felci, alle varie sfumature di marrone dei funghi appena nati, al rosso delle fragoline che spuntavano a margine del sentiero. Era una lenta esplosione di bellezza la cui onda d’urto entrava profondamente nell’anima. Folgore guardava il suo amico facendogli capire che anche lui era inebriato da tanta bellezza, ma che non vedeva l’ora di correre e saltare tra i cespugli alla ricerca di qualche lepre o volpe a cui far prendere uno spavento. Sapeva bene che Salvo non avrebbe mai sparato, il piacere e la felicità non risiedono di certo nel toglier la vita ad un essere vivente per poi esibirlo come trofeo della propria incapacità d’amare.
                Giunti in cima salutarono il nuovo giorno ed insieme fecero colazione con le pagnotte farcite da Nunzia la sera prima. Salvo addentò la sua di pane integrale con mortadella e formaggio, Folgore, da parte sua gustava beatamente un gran filone con le salsicce arrostite sul carbone, leccandosi i baffi per la soddisfazione. Un paio di sorsi di fresca acqua dalla borraccia segnarono la conclusione dello spuntino di Salvo, mentre il vispo Folgore si lanciò in una veloce corsa verso un ruscello che scorreva poco lontano. Cominciò a bere abbondantemente; le salsicce erano un po’ salate sebbene gustosissime.
                Mentre beveva, la sua attenzione fu attratta da uno sciabordio proveniente da uno stagno,  qualche metro più giù, alla fine di una ripida scarpata. Velocemente vi arrivò e vide un gruppo di carpe che si rincorrevano saltando di tanto in tanto sul pelo dell’acqua. Senza pensarci su,  con un balzo si tuffò per catturarne qualcuna, ma l’unico effetto che sortì fu quello di un rinfrescante bagno nell’acqua limpida. Guardatosi intorno e visto che le carpe non avevano voglia di tenergli compagnia, con agile nuotata riguadagnò la riva. Nel frattempo Salvo, udito il rumore del tuffo, corse per vedere cosa fosse accaduto.
-           Folgore dove sei? Che succede?
                Così dicendo, frettolosamente corse verso lo stagno, ma giunto nei pressi, mentre osservava il suo amico scrollarsi l’acqua di dosso con una serie di energici scossoni, mise un piede in fallo scivolando sulle foglie ancora bagnate dalla rugiada. Fu una caduta rovinosa, un piede restò impigliato in una radice e la sua gamba si fratturò. Un dolore lancinante che arrivò al cervello; rotolò lungo la scarpata sbattendo la testa su di una pietra e perse i sensi.
                Folgore si rese subito conto che qualcosa di grave era successo e a grandi balzi raggiunse l’uomo ormai incosciente. Cominciò a leccargli il viso, guaiva, cercava di risvegliarlo ficcando il suo muso sotto la testa di Salvo scuotendola. Nulla, non succedeva nulla. Cominciò ad abbaiare con tutte le sue forze per richiamare l’attenzione di qualcuno, ma non sentiva rumori, non percepiva alcuna presenza. Si accoccolò accanto a Salvo, come per proteggerlo e riscaldarlo. Di tanto in tanto lo leccava e scuoteva nella speranza di vedere i suoi occhi aprirsi, ma nulla. Poi si acquietò ed assunse un’espressione pensierosa, come se stesse valutando il da farsi.
                Passarono pochi minuti, si alzò, corse verso lo stagno e vi entrò lentamente impregnando il suo folto pelo con la fresca acqua. Uscì dall’acqua e a passo lento si diresse verso Salvo; appena giuntogli vicino, iniziò a scrollarsi. Una densa e fresca cascata di goccioline cadde sull’uomo che diede un lieve cenno di risveglio. Folgore ritornò allo stagno e ripetè le stesse azioni per tre volte. Alla fine Salvo aprì gli occhi, guardò il cane e la smorfia di dolore che aveva sul viso si trasformò in un sofferente sorriso. Non era solo, aveva il suo amico al suo fianco.
                Cercò di alzarsi, ma ogni movimento della gamba gli provocava dolore. Folgore, da parte sua, assunse nuovamente un’espressione pensierosa e iniziò a gironzolare odorando e guardandosi attorno.
   Folgore, che fai, ti metti a giocare? Non capisci che sono nei guai?
   Il cane sembrava non ascoltarlo. Poi, d’un tratto si infilò tra i cespugli e ne uscì qualche minuto dopo con un frondoso e robusto ramo d’ulivo tra i denti che poggiò davanti a Salvo accucciandosi. L’uomo capì le sue intenzioni e lo strinse a sé in un abbraccio.
-          Amico mio caro – sussurrò .
                Il muso di Folgore si aprì in un sorriso, la lingua penzoloni e gli occhi che sprizzavano felicità.
                Salvo sedette; con la cintura e la cartucciera fissò un paio di rami più piccoli ma robusti alla gamba rotta per immobilizzarla;  ripulì il ramo d’ulivo da foglie e rametti fino a farne una sorta di bastone. Vi si appoggiò e, non senza fatica, riuscì a rimettersi in piedi. Il problema era, adesso, ripercorrere in salita quegli otto dieci metri di scarpata che lo separavano dal sentiero.
                Anche questa volta gli venne in aiuto il suo amico. Si pose davanti a lui, muso in su, scodinzolando.
-          Dai, che aspetti – gli diceva con un abbaio – afferra la mia coda che ti porto su io …
                Salvo comprese le sue intenzioni, afferrò la coda e, aiutandosi col bastone, iniziò a salire. Folgore lo trainava con tutta la sua forza, incurante del dolore che provava per la trazione sulla sua coda.
-          Anche lui soffre per la sua gamba rotta – pensava. Anche lui è venuto da me credendo fossi in pericolo. Se si condivide un dolore tra amici si soffre meno. La mia coda e la sua gamba guariranno presto ed insieme.
                Così facendo e pensando, si ritrovarono sul sentiero che li avrebbe riportati a casa. Recuperato il fucile, Salvo e Folgore si avviarono lentamente verso il paese. Bastone e fucile facevano da stampelle, la loro amicizia era il carburante che dava loro la forza di procedere.
                Giunti in prossimità della strada si fermarono sul ciglio in attesa di qualcuno che potesse accompagnarli fino al paese. Trascorsi una decina di minuti, un compaesano li prese a bordo della sua auto e li accompagnò alla guardia medica. Dopo i primi soccorsi, accompagnato da Nunzia, Salvo arrivò in ospedale dove gli fu fatta l’ingessatura e poi rimandato a casa. Folgore seduto sul sedile posteriore dell’auto, aspettò pazientemente che il suo amico uscisse e tutti insieme rientrarono a casa.
                I giorni della degenza trascorsero velocemente, in quasi assoluta libertà concessa da Nunzia: per Salvo che poteva soggiornare e pasteggiare in salotto davanti alla televisione scegliendo i programmi che più gli piacevano senza interferenze della moglie; per Folgore, protagonista del salvataggio che aveva avuto la concessione, previa copertura del divano con doppio tappetino in cotone pesante, di sedere comodamente accanto al suo amico. Avevano tanto bisogno di sostegno e coccole reciproche. Il quadretto che conoscenti ed amici si ritrovavano davanti quando andavano a trovare i due “convalescenti” era questo: Salvo che, in giacca da camera, la gamba ingessata su di uno sgabello, sgranocchiava salatini, arachidi e sorseggiava una fresca birra; Folgore, seduto sul divano al suo fianco, che attentissimo al programma in televisione, di tanto in tanto assaggiava le prelibatezze che Nunzia, riconoscente, gli preparava in una ciotolona.
                Durante questa serena convalescenza, Salvo lavorò col suo coltello quel bastone di ulivo “regalatogli” da Folgore. Aveva rappresentato la sua salvezza ed era il segno tangibile del legame esistente tra due esseri che si erano amati da subito, divenendo quasi una cosa sola.
                Anche questa immagine era nella mente di Salvo quando, un po’ affaticato, giunse in cima alla collina. Si diresse lentamente dove il suo amico riposava ormai da un po’ di tempo.
-          Ricordi, Folgore, quando …..
I suoi pensieri erano parole non pronunciate, non c’era bisogno del suono per intendersi: erano le loro anime a parlare.

Preso da una dolce stanchezza, appoggiandosi con entrambe le mani a quel bastone d’ulivo, Salvo con movimento lento sedette accanto a Folgore, poggiò a terra il cappello e chiuse gli occhi. Restarono così, uniti per sempre ad aspettare altre albe. 

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