VERBO
Antonino Paladina
La gentile e graziosa ucriese ing.
Scalisi Maria mi ha invitato a scrivere sul mensile “La cruna dell’ago” su
quanto fosse inerente ad Ucria, alla sua storia, cultura, costumi, tradizioni.
La levatura culturale dei
“giornalisti”, i cui articoli ho letto nella rivista – on line, mi hanno per un
verso inorgoglito campanilisticamente e per un altro verso scoraggiato a
scrivere qualcosa su Ucria: ma una promessa è una promessa.
Dei costumi ed il fenomeno della
globalizzazione ha relegato Ucria – paesino poco più che post-medievale fino ai
primi anni del ‘50 - ad oggetto di nostalgia di un periodo magico della nostra
vita individuale.
La matrice culturale di Ucria
discende dalla principale attività del paese: agricoltura e allevamento. La
notevole emigrazione verso l’estero ed il nord dell’Italia, a seguito della
industrializzazione del dopo guerra, ha portato ad una forte diminuzione di
occupazione nell’attività agricola. I primi tempi degli anni ’70 emigravano i
giovani, dopo un decennio circa, anche gli anziani andavano al Nord. Molti
giovani studiavano fuori e non tornavano più ad Ucria.
Lo spopolamento del paese ha
generato un notevole “impoverimento generale”.
Sono però presenti tanti elementi
culturali, linguistici e elementi storici che vanno preservati dall’effetto
tempo: alcuni dicono che il tempo è galantuomo (?).
In estate, alla fine del periodo
scolastico che trascorrevo a Messina in collegio, tornavo ad Ucria con la
macchina del sig. Turi “Tataranchio” una Lancia Flavia, chiedo perdono ma non ricordo il cognome (
Lembo???) di questo signore.
Secondo i principi pedagogici vigenti
ad Ucria in quel tempo “pi nun pigghiari
vizi” mia madre mi portava con sé in campagna a lavorare tutti i giorni.
A luglio si andava a tagliare l’erba
nei noccioleti per facilitare, a settembre, la raccolta delle nocciole.
Andavamo a lavorare “a iurnata” insieme ad altre persone; il
gruppo di operai costituiva “l’antu”.
Disposti in fila obliqua si tagliava
l’erba sottostante ai noccioleti. Orario di lavoro:
7.00-
9.00, colazione, 10-13.00, pranzo, 14.30-17.30.
L’antu
procedeva da destra verso sinistra guidato da spata (il primo operaio in alto) che tagliava con la falce
l’erba che spinta dal “mazzuni” discendeva verso i secondo operao e così via,
chiudeva l’antu ‘u biccheri che faceva i runci (cumuli di erba recisa)
la mia carriera inizio come acqualoru,
e successivamente a fari i zuccati, fino a che, anch’io, fui misu all’antu.
Fine agosto e settembre si
raccoglievano le nocciole.
Spesso si verificavano temporali
estivi con abbondanza di tuoni e lampi.
Tutti scappavamo verso un rifugio,
seppur precario di un “pagghiaru” al riparo dal temporale.
Qualcuno durante l’attesa che il
temporale si sfogasse, diceva “dicimo u
Verbu cussì ‘ni scanza du malu tempu”; ed io che conoscevo questa preghiera
recitavo il Verbu.
Non ricordo dove ne quando ho
imparato questa preghiera, probabilmente ero piccolo.
‘U VERBU
Verbu
sacciu e Verbu vogghiu diri
Verbu
‘ncarnatu ‘ì nostru Signuri
‘ca
chista Cruci vinni a muriri
Vinni
a muriri pi nui piccaturi.
Piccaturi
e peccatrici
La
viditi quant’è bedda chista Cruci?
A
la cruci lu videmu a Gesù lu bonsapemu.
Alla
valli Gesù fa rosi e sciuri ci su dda.
Ranni e picciuli ama essiri dha
San
Giuvannuzzu misu di latu
cun
libruzzu d’oru liggennu e scrivennu
O
Signuri, o Giuvanni, pirdunamu i
piccaturi
Giuvanni
nun li pozzu pirdunari
ca
sunu dispittusi e fanu guerri
Travagghiunu
di festi principali
Bestemmiunu
e rinneganu la fidi
La
Matri Santa rispunni e dici:
Lu
Verbu cu lu sapi tri voti lu dici
Cu
nun lu sapì si lu ‘nsignirà
Cu
lu senti e nun lun ‘mprenni
Setti
virgati di focu arriprenni
Cu
lu sapi e nun lu dici Gesù Cristu lu maladici.
In genere il temporale si quietava e
l’antu era sicuro che la recita del
Verbu li aveva salvaguardati dalle intemperie.
In alcune parti il senso logico
della preghiera stenta ma credo incarni il senso religioso comune.
Sarei veramente contento se qualcuno
che conosce questa preghiera volesse socializzare la sua versione.
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