Angela Niosi
Il tempo apparecchiava la neve.
Il cielo diventava di un bianco che non
dava scampo e non si sentivano più cinguettare i passerotti. C’era un silenzio
pallido, come d’attesa.
C’è freddo da neve, dicevano gli anziani
e, in effetti, piccole punture ghiacciate mi colpivano le mani e la faccia.
Mi affrettavo a rientrare, il cuore che
batteva di gioia.
Scendeva già qualche fiocco
solitario…nevica asciutto asciutto…aggiungeva la donna che cercava di superarmi
in salita … fra poco arrivano i parpagghiuni.
Arrivata a casa, appoggiavo il viso alla
finestra della cucina e guardavo in su, aspettando la magia.
Pian piano, si ammassavano i fiocchi ed
io li seguivo, piccoli puntini scuri contrastanti col candore del cielo,
volteggiavano a spirale, si scontravano e trovavano pace sulle strade e
sugli orti.
Qualche fiocco sbatteva sul vetro e,
sciogliendosi, lo faceva lacrimare.
Quando si accendevano le luci della
strada, lo sfarfallio si colorava di giallo; intanto la neve scendeva più
fitta, senza un ordine e il tappeto di velluto bianco si ingrossava sempre di
più.
Calcolavo, mentalmente, che se avesse
continuato così l’indomani ce ne sarebbe stata abbastanza da saziarmi.
Mi mettevo a letto speranzosa e i miei
occhi quasi bucavano il vetro della finestra.
Mi raggomitolavo sepolta sotto
strati di coperte, cercando un po’ di calore ma avevo come l’impressione che
fosse il mio corpo a riscaldare il letto.
Quando iniziava a diventare chiaro, con
coraggio mi alzavo, la stanza era gelata, e guardando fuori, la meraviglia mi
appannava gli occhi e mi consolava dell’attesa.
Liberavo il mio sguardo che inquadrava
dettagli: orme incrociate di uccellini disorientati, alberi con larghe braccia
che, ogni tanto, con un piccolo tonfo, buttavano giù la neve che non
riuscivano a sopportare, case improvvisamente ingrassate, una
finestra si apriva e vedevi una mano lanciare briciole, comignoli che
buttavano fumo come un respiro che si dilatava fino a languire.
Di fronte, l’impatto coi monti sui
quali incombevano nuvole ancora piene. Lì non vedevi il bianco totale ma
sporgenze di colori assonnati.
E, dai tetti, iniziavano a spuntare
piccole spade ghiacciate che si allungavano pian piano tentando i bambini in
sfide di lancio.
A quel punto, correvo fuori a toccare la
neve, la odoravo, la mangiavo, la appallottolavo, la stringevo e la sentivo
sgretolarsi fra le mie mani.
Mi stupiva ogni volta guardarla,
soffice ovatta con un cuore gelido e la sensazione che provavo era un misto di
solitudine e di quiete.
Saziavo i miei occhi e avrei voluto che
rimanesse tutto così, immacolato ma mio padre ed i vicini già iniziavano a
profanarla con le pale, creando trincee per poter passare.
Per loro, la neve era solo un impiccio.
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