Serena Galbato
Ho
letto che le case dell'infanzia non si lasciano mai, che rimangono sempre
dentro di noi. Niente di più vero.
Quando
penso a me bambina, esiste un solo posto nel mondo: u Purteddu. Se scendi dalla
matrice, c'è un arco; se ti affacci dal paravento, vedi una scinnuta, una
scalinata rigogliosa di gramigne che dirige scrupolosamente gli occhi al cuore
del quartiere Annunziata e, poi dopo, alle montagne di Belinu.
A
proposito di quelle erbacce, quando facevo la capricciosa, mia nonna mi
biasimava: “Va' strichiti 'nta
niputedda!”. La nepetella è un'aromatica, simile alla menta, mi viene da
immaginare con proprietà terapeutiche contro il malannò dei mocciosi, per
l'appunto.
Gli
inverni a casa dei miei nonni erano dolci come le nocciole zuccherate di
Parmina e, quando nevicava sul cocuzzolo i Casteddu, la sua cucina era in
fermento come il mosto che vugghi: farina, uova e, a menzijornu tagghiarini c'a
linticchia!
Il
sabato pomeriggio, sempre in inverno, si andava al Catechismo, al Teatrino: al
Teatrino, molti anni dopo, nacque la Cruna dell'ago. Ricordi "stretti
indispensabili", com’u focu della notte di Natale, una corda dell'anima.
Ma anche la carta regalo natalizia per proteggere la copertina del Sussidiario,
il pane nel latte caldo a colazione, i maglioni di lana cusuti 'e ferri,
lavorati a maglia.
U Purteddu è ovunque io riveda chi sono.
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