*Achille Baratta*
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ermarsi ai fiori è
certamente troppo poco, occorre solo oltre lo stretto e togliersi i paraocchi
culturali e scegliere un altro punto di vista che ci liberi dalla cancrena
delle discariche e dei relativi intrallazzi e ci faccia capire i vantaggi
diretti e indiretti del nuovo modo di fare urbanistica che oggi non può più
essere una scienza di pochi ma deve coinvolgere altri settori per dare una
nuova linfa ai nostri centri abitati in piena libertà conoscitiva.
In Italia i tagli
retroattivi e improvvisi hanno messo in ginocchio la nascente industria
dell’energia pulita. Nel 2014 c’è stato un calo del 71% per cento degli
investimenti in rinnovabili con crollo occupazionale.
Positivo invece il
trend nel settore degli imballaggi. L’aggiornamento del rapporto di
sostenibilità del Conai, il consorzio del settore (elaborato con l’approccio
metodologico del Green Economy Report), testimonia che nel 2014 il recupero e
l’avvio a riciclo degli imballaggi ha generato benefici economici diretti per
891 milioni di euro. Inoltre il riciclo e recupero degli imballaggi ha
consentito nel 2014 il risparmio di 3,3 milioni di tonnellate di materia prima.
A Milano la
differenziata è al 67%, infatti in sei mesi l’Expo ha prodotto una montagna di
rifiuti, che sono stati raccolti e trattati in modo differenziato. L’Amsa
(Azienda milanese servizi ambientali) ha infatti usato per il sito
dell’Esposizione il metodo utilizzato in tutta Milano.
Conai ha invece
messo a punto un “contatore ambientale”
che è stato installato per valutare i benefici derivanti dalla corretta
gestione della spazzatura. Secondo i dati aggiornati al 15 ottobre, la
differenziata all’interno dell’area espositiva ha raggiunto quota 67%, evitando
l’emissione di 285 tonnellate di Co2 e consentendo il risparmio di 44.700 metri
cubi d’acqua e di 4 milioni di kwh di energia elettrica. I rifiuti riciclati
nei primi quattro mesi hanno, inoltre, permesso di produrre 213.426 felpe in
pile, 2.230 panchine in plastica, 51.594 chiavi inglesi, 2.495 caffettiere in
alluminio, 2.321 armadi in legno, 5.205.363 scatole per scarpe, 1.310.716
bottiglie in vetro e 171 tonnellate di compost. Ma c’è chi per vivere meglio
propone le reti intelligenti della città ideale, ecco quello che scrive Laura Montanari su La Repubblica.
“Lampioni che si caricano con la luce solare,
strade che si illuminano senza bisogno di elettricità, telecamere a basso
costo, droni per il monitoraggio del traffico o delle frane. La città digitale
è un laboratorio delle meraviglie, un cantiere aperto, andare in bicicletta per
lunghi tratti su piste ciclabili collegate, camminare su superfici che riducono
il rumore. «Le smart city sono mirate a una sostenibilità che va in tre
direzioni: ambientale, economica e sociale». spiega Gian Marco Revel, docente
di ingegneria all’Università Politecnica delle Marche. «Sono un concetto ampio
e complesso perché toccano il Dna del vivere urbano». E puntano tutto sulla
tecnologia per sciogliere i nodi, dal traffico alla raccolta dei rifiuti, dai
parcheggi al trasporto pubblico e per offrire soluzioni che migliorino la vita
dei cittadini.
Si potrebbe
protrarre questa tematica sociale ed economica all’infinito, ma il vero
problema è portare fuori dai recinti delle professioni queste argomentazioni che
non sono certamente di settore. Dobbiam cambiare canale con i fiori e col
riuso, invece di giocare a nascondino, affrontiamo i problemi da un nuovo punto
di osservazione che potrebbe essere anche Ucria.
Ma il trend
nord-sud aumenta ancora ma noi non siamo italiani? O semplicemente i neri
annacquati d’Italia!
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