Pochi sanno che la zona nebroidea, che incastona paesi
meravigliosi come Ucria, Floresta, Raccuja e Sinagra, è una delle più belle
della Sicilia con una storia tanto interessante quanto avvincente. Parliamo del
bacino del Torrente Naso che da Floresta, in lieve declivio, fra due monti opposti,
il Pizzo Corvo da una parte e il Santa Rosalia dall’altra, va ad estinguersi
sulle spiagge del Tirreno nel territorio di Naso ove il corso d’acqua trova la
sua foce. Gli storici vogliono si tratti del fiume Timeto, nome che in età
moderna è stato attribuito a quello che scorre nel territorio di Patti. Lo
scienziato e geografo Tolomeo, vissuto fra il 100 e il 175 ad Alessandria,
chiamò Fiume Timeto un corso d’acqua che localizzò fra Agatirno (forse
l’odierna Capo D’Orlando) e Tindari. E’ stata questione degli storici stabilire
se il detto fiume fosse quello che scorre presso Patti o quello che nasce sopra
Ucria e Raccuia, lambisce Sinagra e si versa nel mar Tirreno, fra Capo
D’Orlando e Brolo. Il Cluverio pende per quest’ultimo. Il Fazello scrive: “Segue
la foce del fiume Naso che è nome moderno “ (Storia di Sicilia- deca I- libro
IX- pag. 309). Per questo propendono pure V. Amico e il Maurolico. Il Ferrara
scrive: “pare che il fiume di Naso debba essere il Timeto che Tolomeo segna fra
Agatirno e Tindari” Giovanni Andrea Massa in “La Sicilia in prospettiva” scrive
“Sinagraefluvius, ha ricevuto il nome da una terra così appellata. In età più
antica fu il “SinusCrio”, l’insenatura che porta ai luoghi freddi, alle cime
dei Nebrodi innevate. Lungo la vallata fiorì l’antica Nasida. Tommaso Fazello,
a valle del paese, intorno alla metà del 1500, ne trovò “il castello
antichissimo, il quale si vede in una valle tutto rovinato”. E Carlo Incudine
scrive: “sulle rive del Timeto o Naso e segnatamente per quella contrada che
s’addimanda oggidì S. Antonino, fioriva Nasida o Naxida, città eretta da una
colonia di Nassensi poi che la greca Naxo cadde e ruinò. Assalita continuamente
dai Saraceni, oppose resistenza, ma invano, i suoi popoli spazientiti,
sgomenti, la lasciarono infine (820 d.c.)” - (cfr Carlo Incudine -Naso
illustrata-1881:9) Ma i segni della presenza dell’uomo sull’intero territorio
vanno oltre, a cominciare dagli scavi eseguiti dalla sovrintendenza di Siracusa
nel 1965, quando in località “ Rocca San Marco, fu trovato un buon numero di
selci, armi del paleolitico, ed in località Arelluso fu rinvenuto un forziere
di monete romane risalenti al 200 a.c”. cfr Carmelo Rigoli- Ucria Città di
Montecastello in Valdemone; -Luigi BernabòBrea 1965 20-16. Il Pirri riporta un
documento del Conte Ruggero che nell’anno 1082 dona al convento Basiliano di
Troina 34 città e Castelli fra cui figura il nome di Sinagra, Un altro
documento del 1091 riporta il privilegio dello stesso conte Ruggero che dona i
territori di Sinagra, Ficarra e Piraino al convento Basiliano del Fico di
Raccuja. Carmelo Rigoli rileva che le due torri ad Ucria e a S. Giovanni sulla
strada che porta alla costa tirrenica e a Randazzo sono la prova evidente che
Ucria sia esistita nel periodo arabo. In effetti le torri risalgono al periodo
Bizantino quando servivano per segnalare l’arrivo di orde saracene, avanzi di
galera, che mettevano a ferro e fuoco i luoghi abitati portando seco giovani e
uccidendo bambini e vecchi. Il Re Ruggero I, figlio del Conte, concesse nel
1043 ai monaci del Fico di Raccuja licenza a costruire e amministrare mulini
lungo la fiumara. Durante il periodo feudale i tre paesi ebbero feudatari
diversi. In ogni caso, nonostante le ristrettezze in cui erano costretti a
vivere i contadini (i servi della gleba) i paesi fiorirono con la costruzione
di eleganti e possenti palazzi, chiese e luoghi di straordinaria bellezza che
ancora vediamo nei entri storici. Grande merito va attribuito ai monaci:
carmelitani a Sinagra, basiliani e carmielitani a Raccuja, sconosco quali
monaci ci siano stati ad Ucria dove ce ne dovettero essere di diversi ordini
data l’importanza che ebbe il centro nebroideo nel periodo feudale. I conventi
a quei tempi erano scuole, officine e laboratori. Il merito delle tecniche di
coltivazione e l’introduzione di piantagioni è da attribuirsi appunto ai
monaci. Conventi e beni, nel 1866, furono confiscati dal governo italiano per
effetto delle leggi siccardiane Con l’avvento dell’unità d’Italia questi paesi
dipesero dal mandamento di Patti retto da un sottoprefetto e dalla prefettura
di Messina. Il territorio, grazie alle acque che sgorgano dalle falde dei monti
opposti, è uno dei più verdeggianti della Sicilia. Il greto del torrente, per
una larghezza media di oltre 50 m. si copre di alberi acquatici, come pioppi,
ondine e salici di varie specie che danno un bel verde a tutta la fiumara. Le
colline sono coltivate ad oliveti che conferiscono un verde argentato che
contrasta con quello dei giardini di aranci, limoni e mandarini che caratterizzano
le zono limitate dal letto della fiumara. Più in alto, in particolare quella
parte che guarda a nord, è invece coltivata a noccioleti che per secoli furono
fulcro dell’economia nebroidea. Il resto è ammantato di boschetti ove prevale
il castagno e la quercia. Accanto alle coltivazioni principali, abbondano le
piante da frutto come pesco, albicocco, fico, prugno, pero, melo. Molto diffusa
è la pianta di fico d’india. In un documento dl 1249 non si parla di nocciole,
olive, agrumi ma solo di viti, grano, avena, ghianda e frutta in genere. La
cosa fa pensare che le specie di piante suddette furono importate
successivamente con molto probabilità dai Carmelitani. L’ulivo introdotto nel
nostro territrorio è “il minuto” da cui si estrae una eccezionale qualità
d’olio quasi completamente esente di acidità e ricca di polifenoli. Tale da
considerarsi quasi un medicinale protettore del cuore. La zootecnia, un tempo
fiorente, oggi è in pieno declino a parte il suino nero, autoctono dei Nebrodi,
che mantiene alti i livelli del mercato, portando il nome appunto, dei Nebrodi
oltre i confini della nostra Italia per la sua eccezionale qualità di carne dai
grassi polinsaturi. Questo pregio richiama turisti e amanti della cucina per
venire a gustare nei locali di queste terre le eccellenze della cucina
nebroidea. Il bacino è servito da una soddisfacente rete viaria fra strade
statali, provinciali e comunali. La più antica è la Capo d’Orlando- Naso-Ucria-
Randazzo, deliberata dal consiglio provinciale nel 1861 e completata nel corso
degli anni del 1870. Allora il suo corso doveva essere diverso ma per contrasti
politici segui quello realizzato. Tuttavia la strada monti – mare, oggi, è la
Randazzo-Ucria- Sinagra - Ponte Naso perché accorcia di molti chilometri quella
originaria dai monti alla costa tirrenica.
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