martedì 15 dicembre 2015

IL NATALE NELLA TRADIZIONE DI PALERMO … E NON SOLO - Salvatore Lo Presti -

Il Natale nella tradizione di Palermo … e non solo
- Salvatore Lo Presti -


Voglio cominciare questo mio articolo, rivolgendo i miei più sinceri e affettuosi auguri di buone feste a tutti, e con l’auspicio che le feste che si prospettano dinanzi a noi, possano portare serenità e felicità, perché, in un periodo storico dove si stanno mettendo in discussione le tradizioni, le nostre tradizioni, ( le quali, vogliamo o non vogliamo ammetterlo, ci hanno permesso di arrivare dove oggi siamo ), e dove spesso la paura prende il sopravvento sulla ragione ( unico motivo per cui l’essere umano è superiore alle altre creature presenti sul nostro pianeta ), si possa continuare invece a tramandare le tradizioni, che tanto ci hanno insegnato, e ancora ci insegnano. Tradizioni che devono servire non soltanto da pretesto per cercare di pretendere dei diritti, ma che devono soprattutto servire per farci capire da dove veniamo. Perché si può guardare con fiducia al futuro solo ed esclusivamente se si ha la consapevolezza del nostro passato.
In questo articolo, parlerò del Natale, di come esso veniva vissuto a Palermo nel XIX secolo, riportando quello che sul Natale racconta un libro da me letto recentemente, ovvero La Conca D’Oro, Guida Pratica di Palermo” per Enrico Onufrio, libro edito a Milano dai Fratelli Treves, nel lontano 1882.
Il presente libro, è diviso in 4 parti, la prima parte riguardante la città, la seconda parte sulla vita dei cittadini palermitani e sulle loro abitudini, la terza parte riguarda la spiegazione di alcuni dei monumenti di Palermo, e l’ultima parte, la quarta, sui dintorni.
Quello che io riporto è inserito nell’undicesimo capitolo della seconda parte, che lo scrittore così comincia:
“Tutte le  feste e le festicciole popolari, tranne il carnevale, hanno un carattere religioso; cioè, intendiamoci bene, la religione è un pretesto, un santo pretesto che serve a salvar le apparenze; ma lo scopo vero, ultimo, reale, è quello di far baldoria, e di gozzovigliare. Ne volete un esempio? Non c’è festa religiosa in Palermo, che non abbia il suo manicaretto, il suo dolciume occasionale. Lo sentirete  adesso che, a cominciar dalla Pasqua, vi andrò discorrendo brevemente delle varie solennità… chiamiamole pure religiose.”
Questa introduzione da parte dell’autore basterebbe, o quantomeno dovrebbe bastare, a far capire a tutti noi, come la religione, in ogni tempo, non è stata solamente un elemento che ha condizionato la vita di noi esseri umani, ma al tempo stesso, è stata utilizzata per poter avere attimi di svago e di libertà dalla normale routine quotidiana, e che quindi chi oggi cita la religione come unica causa per lo stato di arretratezza della nostra terra ( dove per terra intendo non solo la nostra Regione, ma l’intera Nazione ), dovrebbe riflettere, fermarsi davanti un tavolo, aprire un qualsiasi libro, indipendentemente tratti di  Storia dell’Arte, di Storia, o ancora anche un semplice romanzo, e dopo averlo sfogliato, domandarsi cosa sarebbe oggi l’Italia, senza la religione.
Passo adesso a riportare quello che l’autore scrive sul Natale, e su come questo era vissuto alla sua epoca, dai suoi compaesani palermitani:
“E adesso entriamo un pochino nell’ambiente allegro del santo Natale; facciamo un po’ risplendere la gaia fiamma del ceppo.
Eppure, ve lo dico fin da principio, di ceppo e di fiamme in Palermo non bisogna parlarne, per la ragione semplicissima che ci bastano le fiamme del sole a riscaldarci; sicchè il camino, nelle nostre abitazioni, è raro come un cameo greco; lo spazzacamino poi è un animale che non appartiene alla nostra fauna.
Torniamo dunque al Natale, ovvero alla gastronomia natalizia, perché tutti i salmi finiscon in gloria e non c’è festa senza farina. Ebbene: il panettone a Milano non assume in quei giorni le proporzioni d’un monumento? e il capitone a Napoli? e il pan pepato altrove? Perché dunque non debbo dirvi due parole della nostra mustazzòla? Statemi quindi a sentire, e compatitemi se son costretto a fare per un istante il sapiente.
Voi lo sapete: ai tempi che il mondo si chiamava romano, c’erano le feste di Saturno, e tali feste si celebravano il 25 dicembre, che rappresentava allora il Natale dell’anno, vale a dire subito dopo il solstizio d’inverno.
Ebbene, tra le vivande rituali di quella festa, ci erano i mustacca, che sono i mostaccioli o mustazzoli d’adesso fatti di farina e miele. Non vi commovete al sentire tutte queste belle cose? Per lo meno noi palermitani possiamo affermare che in fatto di mostaccioli non abbiamo tralignato dai nostri padri; eppoi queste offerte di farina e miele non vi ricordano gli antichi e semplici riti del culto pagano, e salendo su su fino ai  nostri primi atavi della valle dell’Oxus, non vi ricordano il sacerdote aryano, là, nelle fertili regioni dall’Eptasiuda, che, su la vetta d’un colle, dinanzi a un rozzo altare, offriva il biondo miele e la candida farina al dio della luce e al dio delle tempeste?
Auf! la sapienza è sfumata; tutto quello che sapevo l’ho detto.
Passiamo oltre. Di che cosa debbo parlarvi?
Del natale, vale a dire di Gesù bambino, del bue e dell’asinello; ed ecco un presepe già bello e formato. E i presepi da noi, in tali giorni di feste, sono assai in voga; i bambini specialmente ne vanno matti. Con dei pezzi di sughero formano una grotta, e poi comperano dei pastorelli di creta, che qui si vendono a due centesimi l’uno. In mezz’ora è composto tutto lo scenario: in fondo la grotta con dentro Gesù coi piedi e le mani per aria, accanto a lui, a destra e a sinistra, il bue e il somaro che lo fiutano avidamente; un po’ più da canto la madonna per lo più ginocchioni, e San Giuseppe con un nodoso bastone in mano. Verso la grotta s’incamminano dei pastori, recanti con sé delle offerte, come a dire agnelli, ricotte, formaggi; qua e là poi, per la scena, si vedono una mandra con rispettiva caldaia in funzione, una cascina, un tugurio, degli alberi, una collina, un prato, e così di seguito tutto ciò che di bello presenta la campagna. Questo è il presepe che metton su i bambini, e se ne stanno per delle ore contemplandolo a bocca aperta.
Vi piace tutto ciò? è simpatico? è grazioso? è gentile? è Arcadia insomma o non è Arcadia? Aspettate, che di cotesta Arcadia debbo  ancora disegnare l’ultima scena.
State a sentire: una delle più inveterate abitudini delle feste natalizie in Palermo è il giuoco d’azzardo; e non c’è riunione elegante, non v’è circolo, dove per nove o quindici giorni di seguito non si studi la scienza positiva della bassetta, del lanzichenecco e del macao. Nelle case della piccola borghesia si giuoca per soldi e magari per centesimi, ma nei circoli e nelle case signorili le centinaia e le migliaia si dileguano come in acqua la spuma. È per questo che, in quei giorni, uscendo la mattina di buon’ora a respirare un po’ d’aria, boi incontrate delle facce livide di fatica e di rabbia, delle persone prostrate dalla stanchezza e dal sonno, e che, rimaste in debito di grosse somme, van cercando il modo di riparare al danno. È in tale occasione che si compiono delle stupende operazioni al cento e magari al duecento per cento, e chi si frega le mani è quel brutto rettile dagli occhi di falco che si chiama usuraio.”
Nonostante il libro parli e racconti di una Palermo che oggi, per moltissimi aspetti non c’è più, molte delle cose che sono raccontate in questo libro in occasione della festa del Natale, personalmente io le ricordo. Non pensiate adesso che io sia pazzo, con la mia ultima affermazione, voglio solo dire, che quando io ero bambino, non molti anni fa insomma visti i miei 26 anni, nel mio quartiere, con mio fratello, Luca, Claudio e tutti gli altri bambini presenti nella mia zona, ci siamo ritrovati spesso e volentieri ad allestire il presepe, e, come noi facevano gli altri bambini in ogni altro quartiere del paese. Ancora oggi, nonostante nel nostro paese i bambini comincino a essere sempre meno, ogni anno i presepi non smettono di essere presenti.
Da noi, i mustazzoli non sono presenti, ma comunque anche da noi è presente una pietanza che ogni anno viene preparata nel periodo natalizio, ovvero le “Crispedde”, sapientemente descritto da Marco Ferro in un articolo lo scorso anno nel medesimo giornalino.
Un altro aspetto che ahimè è facile riscontrare anche nel nostro comune è il gioco d’azzardo, dove in molti ogni anno, nel periodo natalizio si ritrovano per giocare, e se è pur vero che ognuno con i propri soldi può fare quello che vuole, è vero anche che quando si gioca mettendo in palio denaro c’è chi vince, solitamente sono pochi, se non uno solo, e c’è chi perde, la maggioranza di quelli che giocano, e talvolta chi perde mette in difficoltà intere famiglie. Per questo colgo anche l’occasione per invitare tutti voi a non giocare, o, a giocare in maniera responsabile, perché il termine gioco è qualcosa che dovrebbe essere visto come positivo e non dovrebbe in nessun caso essere visto come un modo per aumentare il grano che ognuno, chi più e chi meno, ci ritroviamo in tasca. Insomma, giocare si, ma per divertirsi e per stare tutti assieme in armonia.














Nessun commento:

Posta un commento