NOTERELLE UCRIESI, I.
“Comu ‘e Giallonghi”.
Nino Pinzone (vulgo
Palagonia).
Messina 8-12-2015
Avevo tempo fa promesso
alla cara Maria Scalisi di mandare qualcosa per “La cruna dell’ago”, ma i
troppi impicci mi avevano finora impedito di mantener fede all’impegno. Lo
faccio oggi, anche per testimoniare il mio apprezzamento e il mio plauso a
quanti collaborano per portare avanti l’interessante iniziativa del giornalino
a suo tempo fondato da Ranieri Nicolai.
Quante volte capita, nel formulare
voti augurali ad una coppia in procinto di convolare a nozze, di stentare a
trovare le giuste parole senza necessariamente utilizzare terminologia e frasi
stereotipe, per finire poi con l’abusare delle solite frasi fatte, mille volte
ripetute di occasione in occasione.
E’ un problema questo che non ebbero
per un certo tempo (o che perlomeno poterono risolvere facilmente)i nostri
antenati ucriesi,a seguito di un episodio abbastanza curioso verificatosi nel
paese qualche secolo fa, riportato in un manoscritto delsacerdote Vincenzo
Domenico Martelli, autore, all’inizio dell’800, di quella
“Breve descrizione della penuria dell’anno 1793”, su cui mio padre, Ciccino Pinzone, tenne una
comunicazione in un interessante convegno sulla storia dei Nebrodi tenutosi a
Ficarra una trentina d’anni fa[1].
Dico subito che non mi è riuscito di rintracciare la trascrizione del
manoscritto del Martelli pazientemente fatta allora da mio padre e che purtroppo
molti particolari sono ormai sfocati nella mia memoria, resa sempre più flebile
dal passare degli anni. Nel chiedere scusa per eventuali inesattezze, invito
chi avesse notizie più sicure a farmele avere.
L’episodio si colloca nell’Ucria del
XVIII secolo. Due coniugi, appartenenti a famiglia di rango elevato all’interno
della comunità locale, di cui non ricordo il nome, ma che per comodità chiamerò
col soprannome di “Giallonghi”, erano
sempre vissuti in amore e concordia, rispettandosi vicendevolmente e allevando
nel rispetto di Dio e degli uomini un discreto numero di figli. Per una
circostanza non certo usuale i due sposi conclusero il loro ciclo vitale quasi
contemporaneamente, nella stessa giornata. Come era naturale, i figli ne furono
oltremodo addolorati, ma trovarono un forte motivo di consolazione nella
contemporaneità della dipartita, nella straordinarietà della quale vollero
probabilmente vedere una sorta di suggello divino all’amore che in vita aveva
unito i due perdutigenitori.
Fu per questo e forse in obbedienza aun
approccio con il tema della morte e ausi che a noi possono sembrare strani, ma lo
erano di meno in quei tempi lontani, che misero su una specie di macabra
rappresentazione. Le salme dei due morti, agghindate di tutto punto come se
fossero ancora in vita, vennero sistemate nella piazzetta della Matrice, sedute
su due poltrone l’una accanto all’altra, nell’atteggiamento di chi sta
colloquiando. Assieme a parenti e amici, tutta la popolazione locale, udita la
cosa espinta dalla curiosità suscitata dall’inusuale circostanza, fece a gara
nell’andare a sfilare compostamente davanti alle due salme per porgere l’ultimo
saluto ed esternare le dovute condoglianze ai familiari. Come i figli, tutti si
convinsero che la coppia aveva avuto il privilegio di quella particolare fine
per il troppo bene che l’aveva unita in vita. L’impressione, che fu naturalmente
fortissima, fece nascere negli ucriesi l’usanza di augurare da allora in poi a
tutti gli sposi novelli una vita lunga e piena di amore “comu ‘e Giallonghi”.
Col tempo e con l’allontanarsi dagli
anni in cui l’episodio si era verificato, l’usanza è andata scemando per svanire
poi del tutto. Mi è sembrato interessante richiamarla alla mente degli ucriesi
di oggi, anche per gettare un po’ di luce su un aspetto della vita dei nostri
antenati, in cui fede religiosa, amor filiale e ingenuità si mescolavano
intensamente, in un modo che può fare sorridere noi scaltriti figli del XXI
secolo, ma che può anche suggerire, in ultima analisi, non trascurabili
alternative alla nostra fin troppo materialistica visione della vita.
[1] Cfr. F. Pinzone, Della
penuria dell’anno 1793, in G. Celona (a cura di), Storia dei Nebrodi. Atti del Convegno di Studi sulla Storia dei
Nebrodi (Ficarra 7-8-9 agosto 1986), Patti 1987, pp.125-130.
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