CAPO MUNNIZZA
Giuseppe Salpietro
Da sempre smaltire i materiali di risulta
costituti da macerie di vecchi edifici o terra che sovrabbondava dagli
sbancamenti delle colline saccheggiate da voraci imprenditori, ha costituito un
problema.
A Messina, che si affaccia sul mare ed in
particolare sullo Stretto per tutta la sua lunghezza, la soluzione è stata però
a portata di mano ed a costi bassissimi, quasi nulli: bastava buttarli a mare
occultandoli definitivamente alla vista.
Così, quando ancora le nostre colline
profumavano di agrumi e gelsomini ed era fiorente la coltivazione di gardenie e
kenzie, s’incominciò, sotto gli occhi di tutti e con sistematicità scellerata,
a sdivacare a mare milioni di metri
cubi di materiale di scarto prodotto dalla fiorente attività edile, alternata a
munnizza.
Il fenomeno era frequentissimo negli anni ’60,
ma anche nel decennio successivo è certo che non si scherzò.
La foce del Torrente Annunziata, così come la
spiaggia prossima alla chiesa di Santa Maria della Grotta sulla riviera di
Pace, ma anche l’arenile di Maregrosso o di Santa Margherita, diventarono i
luoghi preferiti per effettuare le bizzarre discariche a mare.
Per dare l’idea, all’Annunziata tutta l’area del
Baby Park, della Villa Sabin, del capolinea del tram, del posteggio a raso che
circonda la villa, è munnizza; come
similmente i campetti di calcetto realizzati nel litorale di Pace nei pressi
della chiesa di Santa Maria della Grotta (o Santa Maria delle Grazie)*, e gli
adiacenti giochi per bambini poggiano su macerie.
Munnizza
gettata lì così come farebbe chi, intento a fare le pulizie domestiche,
nascondesse sotto il tappeto della stanza migliore il risultato del suo
energico ramazzare.
Decine, centinaia di camion al giorno arrivavano
all’estrema propaggine dell’immondezzaio e lì, dopo un’inversione repentina a
ridosso del breve dirupo, sollevavano il cassone azionando i poderosi
martinetti idraulici, facendo così scivolare a mare dalla piattaforma
ribaltabile resa lucida dallo strofinio, tonnellate di macerie.
Ogni svuotamento era accompagnato per qualche
secondo, da un rumore sordo che si diffondeva nell'aria e che cessava poi
lentamente simultaneamente ad una piccola nuvola di polvere che si liberava
nell’aria, man mano che il materiale completava la sua veloce corsa verso il
mare lungo la rampa resa meccanicamente obliqua.
L’operazione fu ritenuta così interessante ed
ingegnosa che anche l’Assessorato alla Nettezza Urbana, volle fare la sua
parte associandosi al piano criminale.
Era il periodo nel quale ai cittadini messinesi
venivano distribuiti dal Comune funerei sacchetti di plastica con impressa a
caratteri cubitali bianchi la scritta “COMUNE DI MESSINA”. Anche questi
maleodoranti sacchetti, per lunghi periodi, in concomitanza con le
frequentissime emergenze dell’organizzazione di raccolta pubblica dei rifiuti
domestici, mai sufficientemente oleata, finirono sdirrupati in mare all’Annunziata con tutto il loro olezzante
contenuto.
Anticipando i tempi del Km 0, ogni emergenza organizzativa della raccolta aveva così una
soluzione a portata di mano.
Si dice, e comunque fu riportato dagli organi di
stampa, che per un pelo non ci scappo una crisi diplomatica con la vicina
Grecia, quando questi sacchetti, come fossero pacchi postali con il nome del
mittente, trascinati prima dalle correnti vorticose dello Stretto e poi in mare
aperto dallo scarroccio di deriva, seguendo le rotte di Ulisse e di Enea si
arenarono infine su qualche tratto di alcune delle splendide isole Greche che
si affacciano nelle parte bassa del Mare Jonio.
Nessuno poteva negare dicendo “non su’ mei” per evitare la mala figura, dato per certo che
riportavano la firma autografa impressa indelebilmente a lettere cubitali del
mittente Comune di Messina.
Fu poi la volta di ingegnosi Assessori al ramo,
che per trovare la soluzione alle numerose carcasse d’auto abbandonate, prive
di targa, nei posti più disparati del territorio comunale, compresi i Colli San
Rizzo nella parte dei Monti Peloritani più vicina alla città, aguzzarono
l’ingegno decidendo di scaraventarle giù da Capo munnizza, ma in pompa magna.
Ipocritamente, ma con grande eleganza e con
sfoggio ostentato, l’iniziativa fu presentata alla stampa come un'attività a
tutto guadagno dell'ambiente marino dato che i pesci dello Stretto avrebbero
trovato finalmente rifugio stabile negli abitacoli e tra le lamiere di contorte
autovetture, tra i loro sedili di similpelle, tra i motori arrugginiti e gli
olii esausti.
Insomma, case popolari e sedili ribaltabili per
tutti, puru pi’ pisci.
Come per ripulire la coscienza per lo scempio
dissennatamente perpetrato, nella prima metà degli anni Sessanta si pensò di
piantare degli alberelli nell’area divenuta ormai una vasta penisola
pianeggiante, che sarebbe poi diventata un piccolo polmone di verde pubblico,
oggi Villa Albert Bruce Sabin.
Ricordo bene, allineati in grembiule nero e con
un fiocchetto rosso che fuorusciva dal colletto bianco, tutti gli alunni della
vicina Scuola Elementare Regina Elena, coinvolti nella cerimonia ufficiale di
piantumazione simbolica delle prime piante. Non era certo una cattiva idea,
anzi. Il problema stava a monte, nello scarico incessante che nonostante tutto
continuò - questa volta a salvaguardia della villetta dai marosi - ancora per
alcuni decenni.
E così, le spiagge del litorale del Ringo come
quelle di Paradiso, un tempo composte da rina
finissima e bianchissima, che racchiusa in un pugno, non appena fosse stata
allentata la presa scivolava giù leggera, finirono per essere sempre di più
mischiate con frammenti di mattoni pieni e ghiaia grossa alternati a variopinti
pezzetti di piastrelle di ceramica da cucina che via via si smussavano a causa
dello strofinio incessante procurato dallo risacca marina.
Capo munnizza,
per qualcuno diventò anche luogo aureo. Come alla ricerca di piccoli tesori
infatti, specie a ridosso delle frequenti mareggiate invernali, quando le onde
impattavano spumeggianti nei grossi frammenti di conglomerato cementizio,
poteva capitare che l'incessante lavorio erosivo procurato dalle onde che
s’infrangevano sulle macerie facesse riaffiorare, qua e là, qualche oggetto di
pregio lì precipitato assieme allo sterro proveniente dal sommario sbancamento
di vecchie case sdirrupate. Allo
stesso modo dei cercatori d'oro che drenavano pazientemente l'acqua di fiumi
auriferi alla ricerca di luccicanti
pepite, decine di persone allora, si mettevano alla ricerca di ogni cosa
che fosse riemersa grazie alla perenne azione del mare: monili, monete, frecce,
piccoli soprammobili di metallo e quant’altro fosse stato occultato in piccoli
nascondigli ricavati sotto i pavimenti, o ‘mpurtusato
nelle fessure dei muri per preservarli dai malintenzionati di cui madre natura
non ci privò mai nelle diverse epoche.
E’ certo che Capo
Munnizza sparirà. Tra decenni il mare, come ha sempre fatto nei secoli,
farà ancora una volta giustizia ripristinando ogni cosa. Va ricercato però il
senso e l’insegnamento da questa assurda storia.
Era il primo vero, scellerato, tentativo di
realizzare il ponte sullo Stretto di Messina senza pilastri ed impalcature o era
il frutto dell’insipienza ed ottusaggine di una classe politica inadeguata e
retrograda.
I milioni di tonnellate precipitati in mare
anticipavano comunque i medesimi guasti che s’incominciavano a mettere in atto
sulle colline dell’Annunziata, in località Fontanelle, dove camion stracarichi
di rifiuti s’inerpicavano percorrendo la vecchia strada militare, oggi Strada
Provinciale 44, percorso tutto in salita da cui si possono godere panorami
mozzafiato, per svuotare il loro maleodorante contenuto in quelle che furono
vallate bellissime e profumate.
Per anni scenari da inferno dantesco
caratterizzarono la vallata che dalla fortificazione Umbertina Forte Crispi, o
batteria Minaia, si affacciava sulla bellissima vallata di Pace
Si badi bene, anche in quel caso
un’Amministrazione comunale ottusa, come era avvenuto per Capo Mummuzza,
progettava di realizzare un bel parco pubblico a testimonianza della seria
volontà di recupero dei luoghi. Ma intanto, lo scempio di questa disgraziata
città di Messina continuò senza limite alcuno.
* Il
toponimo è dovuto a un'antica chiesa, detta della Madonna della Pace, oggi
scomparsa. All'interno della frazione si distinguono le località Porticatello
(nei pressi dell'omonima fiumara Pace), Grotte (‘a rutta) e Fortino
* Il forte
Crispi, sorge in zona Portella Arena - Campo Italia -, in una posizione strategica, per tale motivo era una delle più
fortificazioni più armate. Consentiva il controllo sia dell’ingresso Nord dello
Stretto, che del porto di Messina. La forma trapezoidale simmetrica e le
dimensioni contenute, erano tipiche della maggior parte delle batterie
Umbertine con le quali ha condiviso gli eventi tragici dei bombardamenti
Angloamericani riportando dal susseguirsi incessanti di questi, ingentissimi
danni. Nel 1943 è stato riadattato a postazione contraerea ed antinave
ospitando diverse batterie di artiglieria italiane e tedesche, con pezzi 90
Ansaldo e 88 mm Flak. La struttura danneggiata in più parti, per anni è stata
utilizzata come ricovero per animali.
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