mercoledì 14 dicembre 2016

CAPO MUNNIZZA Giuseppe Salpietro

CAPO MUNNIZZA
Giuseppe Salpietro
Da sempre smaltire i materiali di risulta costituti da macerie di vecchi edifici o terra che sovrabbondava dagli sbancamenti delle colline saccheggiate da voraci imprenditori, ha costituito un problema.
A Messina, che si affaccia sul mare ed in particolare sullo Stretto per tutta la sua lunghezza, la soluzione è stata però a portata di mano ed a costi bassissimi, quasi nulli: bastava buttarli a mare occultandoli definitivamente alla vista.
Così, quando ancora le nostre colline profumavano di agrumi e gelsomini ed era fiorente la coltivazione di gardenie e kenzie, s’incominciò, sotto gli occhi di tutti e con sistematicità scellerata, a sdivacare a mare milioni di metri cubi di materiale di scarto prodotto dalla fiorente attività edile, alternata a munnizza.
Il fenomeno era frequentissimo negli anni ’60, ma anche nel decennio successivo è certo che non si scherzò.
La foce del Torrente Annunziata, così come la spiaggia prossima alla chiesa di Santa Maria della Grotta sulla riviera di Pace, ma anche l’arenile di Maregrosso o di Santa Margherita, diventarono i luoghi preferiti per effettuare le bizzarre discariche a mare.
Per dare l’idea, all’Annunziata tutta l’area del Baby Park, della Villa Sabin, del capolinea del tram, del posteggio a raso che circonda la villa, è munnizza; come similmente i campetti di calcetto realizzati nel litorale di Pace nei pressi della chiesa di Santa Maria della Grotta (o Santa Maria delle Grazie)*, e gli adiacenti giochi per bambini poggiano su macerie.
Munnizza gettata lì così come farebbe chi, intento a fare le pulizie domestiche, nascondesse sotto il tappeto della stanza migliore il risultato del suo energico ramazzare.
Decine, centinaia di camion al giorno arrivavano all’estrema propaggine dell’immondezzaio e lì, dopo un’inversione repentina a ridosso del breve dirupo, sollevavano il cassone azionando i poderosi martinetti idraulici, facendo così scivolare a mare dalla piattaforma ribaltabile resa lucida dallo strofinio, tonnellate di macerie.
Ogni svuotamento era accompagnato per qualche secondo, da un rumore sordo che si diffondeva nell'aria e che cessava poi lentamente simultaneamente ad una piccola nuvola di polvere che si liberava nell’aria, man mano che il materiale completava la sua veloce corsa verso il mare lungo la rampa resa meccanicamente obliqua.
L’operazione fu ritenuta così interessante ed ingegnosa che anche l’Assessorato alla Nettezza Urbana, volle fare la sua parte  associandosi al piano criminale.
Era il periodo nel quale ai cittadini messinesi venivano distribuiti dal Comune funerei sacchetti di plastica con impressa a caratteri cubitali bianchi la scritta “COMUNE DI MESSINA”. Anche questi maleodoranti sacchetti, per lunghi periodi, in concomitanza con le frequentissime emergenze dell’organizzazione di raccolta pubblica dei rifiuti domestici, mai sufficientemente oleata, finirono sdirrupati in mare all’Annunziata con tutto il loro olezzante contenuto.
Anticipando i tempi del Km 0, ogni emergenza organizzativa della raccolta aveva così una soluzione a portata di mano.
Si dice, e comunque fu riportato dagli organi di stampa, che per un pelo non ci scappo una crisi diplomatica con la vicina Grecia, quando questi sacchetti, come fossero pacchi postali con il nome del mittente, trascinati prima dalle correnti vorticose dello Stretto e poi in mare aperto dallo scarroccio di deriva, seguendo le rotte di Ulisse e di Enea si arenarono infine su qualche tratto di alcune delle splendide isole Greche che si affacciano nelle parte bassa del Mare Jonio.
Nessuno poteva negare dicendo “non su’ mei” per evitare la mala figura, dato per certo che riportavano la firma autografa impressa indelebilmente a lettere cubitali del mittente Comune di Messina.
Fu poi la volta di ingegnosi Assessori al ramo, che per trovare la soluzione alle numerose carcasse d’auto abbandonate, prive di targa, nei posti più disparati del territorio comunale, compresi i Colli San Rizzo nella parte dei Monti Peloritani più vicina alla città, aguzzarono l’ingegno decidendo di scaraventarle giù da Capo munnizza, ma in pompa magna.
Ipocritamente, ma con grande eleganza e con sfoggio ostentato, l’iniziativa fu presentata alla stampa come un'attività a tutto guadagno dell'ambiente marino dato che i pesci dello Stretto avrebbero trovato finalmente rifugio stabile negli abitacoli e tra le lamiere di contorte autovetture, tra i loro sedili di similpelle, tra i motori arrugginiti e gli olii esausti.
Insomma, case popolari e sedili ribaltabili per tutti, puru pi’ pisci.
Come per ripulire la coscienza per lo scempio dissennatamente perpetrato, nella prima metà degli anni Sessanta si pensò di piantare degli alberelli nell’area divenuta ormai una vasta penisola pianeggiante, che sarebbe poi diventata un piccolo polmone di verde pubblico, oggi Villa Albert Bruce Sabin.
Ricordo bene, allineati in grembiule nero e con un fiocchetto rosso che fuorusciva dal colletto bianco, tutti gli alunni della vicina Scuola Elementare Regina Elena, coinvolti nella cerimonia ufficiale di piantumazione simbolica delle prime piante. Non era certo una cattiva idea, anzi. Il problema stava a monte, nello scarico incessante che nonostante tutto continuò - questa volta a salvaguardia della villetta dai marosi - ancora per alcuni decenni.
E così, le spiagge del litorale del Ringo come quelle di Paradiso, un tempo composte da rina finissima e bianchissima, che racchiusa in un pugno, non appena fosse stata allentata la presa scivolava giù leggera, finirono per essere sempre di più mischiate con frammenti di mattoni pieni e ghiaia grossa alternati a variopinti pezzetti di piastrelle di ceramica da cucina che via via si smussavano a causa dello strofinio incessante procurato dallo risacca marina.
Capo munnizza, per qualcuno diventò anche luogo aureo. Come alla ricerca di piccoli tesori infatti, specie a ridosso delle frequenti mareggiate invernali, quando le onde impattavano spumeggianti nei grossi frammenti di conglomerato cementizio, poteva capitare che l'incessante lavorio erosivo procurato dalle onde che s’infrangevano sulle macerie facesse riaffiorare, qua e là, qualche oggetto di pregio lì precipitato assieme allo sterro proveniente dal sommario sbancamento di vecchie case sdirrupate. Allo stesso modo dei cercatori d'oro che drenavano pazientemente l'acqua di fiumi auriferi alla ricerca di luccicanti  pepite, decine di persone allora, si mettevano alla ricerca di ogni cosa che fosse riemersa grazie alla perenne azione del mare: monili, monete, frecce, piccoli soprammobili di metallo e quant’altro fosse stato occultato in piccoli nascondigli ricavati sotto i pavimenti, o ‘mpurtusato nelle fessure dei muri per preservarli dai malintenzionati di cui madre natura non ci privò mai nelle diverse epoche.
E’ certo che Capo Munnizza sparirà. Tra decenni il mare, come ha sempre fatto nei secoli, farà ancora una volta giustizia ripristinando ogni cosa. Va ricercato però il senso e l’insegnamento da questa assurda storia.
Era il primo vero, scellerato, tentativo di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina senza pilastri ed impalcature o era il frutto dell’insipienza ed ottusaggine di una classe politica inadeguata e retrograda.
I milioni di tonnellate precipitati in mare anticipavano comunque i medesimi guasti che s’incominciavano a mettere in atto sulle colline dell’Annunziata, in località Fontanelle, dove camion stracarichi di rifiuti s’inerpicavano percorrendo la vecchia strada militare, oggi Strada Provinciale 44, percorso tutto in salita da cui si possono godere panorami mozzafiato, per svuotare il loro maleodorante contenuto in quelle che furono vallate bellissime e profumate.
Per anni scenari da inferno dantesco caratterizzarono la vallata che dalla fortificazione Umbertina Forte Crispi, o batteria Minaia, si affacciava sulla bellissima vallata di Pace 
Si badi bene, anche in quel caso un’Amministrazione comunale ottusa, come era avvenuto per Capo Mummuzza, progettava di realizzare un bel parco pubblico a testimonianza della seria volontà di recupero dei luoghi. Ma intanto, lo scempio di questa disgraziata città di Messina continuò senza limite alcuno.

* Il toponimo è dovuto a un'antica chiesa, detta della Madonna della Pace, oggi scomparsa. All'interno della frazione si distinguono le località Porticatello (nei pressi dell'omonima fiumara Pace), Grotte (‘a rutta) e Fortino

 * Il forte Crispi, sorge in zona Portella Arena - Campo Italia -,  in una posizione strategica,  per tale motivo era una delle più fortificazioni più armate. Consentiva il controllo sia dell’ingresso Nord dello Stretto, che del porto di Messina. La forma trapezoidale simmetrica e le dimensioni contenute, erano tipiche della maggior parte delle batterie Umbertine con le quali ha condiviso gli eventi tragici dei bombardamenti Angloamericani riportando dal susseguirsi incessanti di questi, ingentissimi danni. Nel 1943 è stato riadattato a postazione contraerea ed antinave ospitando diverse batterie di artiglieria italiane e tedesche, con pezzi 90 Ansaldo e 88 mm Flak. La struttura danneggiata in più parti, per anni è stata utilizzata come ricovero per animali.






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