- Salvatore
Lo Presti -
Nei giorni prima del mio rientro a
casa in occasione delle vacanze per le
feste natalizie, a Palermo ho avuto l’occasione di partecipare a diverse
attività. Una di queste mi sento di sponsorizzarla, sperando che possa essere per
qualcuno un buon esempio da seguire, per migliorare il contesto cittadino in
cui ognuno di noi abita, perché, per prendere spunto dalla frase di Ranieri
Nicolai, “Ucria è nostra, non rendiamoci
complici di un suo ulteriore degrado”, frase che ognuno di noi può, e
dovrebbe, fare sua, ovviamente cogliendo il significato che la frase emana,
perché se Ucria era nel cuore di Ranieri, ognuno di noi dovrebbe tenere nel
cuore il luogo che lo fa, e/o lo ha fatto crescere, cercando non solo di
fermare il degrado in esso presente, ma, se possibile di dare una svolta per
cercare di riportare un po’ di luce in luoghi dove oggi dominano le ombre.
L’attività che mi sento di
sponsorizzare è la riapertura della “Chiesa
di S. Maria degli Agonizzanti”.
La riapertura di questa chiesa è
stata possibile grazie all’operato dei componenti del “Progetto Zyz”. Questo progetto è stato lanciato dall’Associazione Culturale “La Carovana degli Artisti”
e vuole avere come obbiettivo/ambizione, la riqualificazione e la fruizione dei
beni monumentali nascosti e/o abbandonati della città di Palermo (che per chi
la conosce un minimo sa che sono tantissimi).
Per questo progetto è stata scelta
la parola “Zyz” che in Fenicio significa “Fiore” o “Splendente”, perché è
questo lo scopo del progetto, “far risplendere” i tesori nascosti di Palermo.
Quindi, la collocazione della Chiesa
coincise con la sua funzione storica, perché i confrati della omonima Compagnia
che in essa ebbe sede, assolvevano al triste compito di assistere
spiritualmente i condannati a morte con digiuni e preghiere nei tre giorni
precedenti l’esecuzione. La tradizione racconta che nel 1616 alcuni confrati
avevano visto un certo Francesco Anello salire sulla forca senza prima essersi
pentito delle sue colpe. Per tale motivo le pie pratiche tendevano ad impetrare
le conversione del reo, mentre la campana della chiesa, specie nelle ore
notturne, ripeteva i suoi lenti e funebri rintocchi tante volte quanti erano i
rei da giustiziare. Il momento dell’esecuzione, poi, veniva annunciato
attraverso una rete di vendette dislocate lungo tutto il percorso tra la chiesa
e il Piano della Marina; allora, un predicatore impartiva la benedizione
solenne con il Santissimo ai numerosi fedeli, inginocchiati, che impetravano la
salvezza delle anime dei giustiziati.
Dopo essere stata ospitata in un
Oratorio della Chiesa di San Girolamo, poi in San Nicolò da Tolentino ed infine
in San Vincenzo Ferreri dei “confettieri”, la Confraternità ebbe
la sua propria chiesa, costruita nel 1630. Tra il 1778 e il 1784 essa fu
rinnovata dalle fondamenta ad opera dell’arch. Antonio Interguglielmi.
La facciata è semplice e severa,
secondo schemi compositivi tardo settecenteschi.
Nel
corso del rinnovamento effettuato dall’architetto A. Interguglielmi furono
distrutte le decorazione in stucco di Procopio e Giacomo Serpotta e alcuni
affreschi di Guglielmo Borremans.
L’interno che si può ammirare oggi, è
semplice ed è costituito da un’aula terminante in una vasta abside
semicircolare: gli affreschi monocromi
raffiguranti storie della SS. Vergine sono opera di Elia Interguglielmi del 1782. All’interno della Chiesa sono
presenti tre pale d’altare sulle pareti laterali anche queste ad opera di E.
Interguglielmi, ed un SS. Crocifisso ad opera di un intagliatore siciliano
ignoto. All’interno della Chiesa sono anche presente 4 statue in stucco
raffiguranti S. Girolamo (o
Gerolamo, S. Hieronymus), S. Agostino
(S. Augustinus), S. Gregorio Magno
(S. Gregorius M.) e S. Ambrogio (S.
Ambrosius), padri della Chiesa.
Di magnifica fattura è l’altare maggiore, in marmi policromi,
in cui si inseriscono rilievi eseguiti da Ignazio
Marabitti; al di sopra di esso
troneggia il quadro della “Madonna degli Agonizzanti” del XVIII sec.
raffigurante un condannato a morte assistito dai confrati che pregano perché la
sua anima venga accolta in cielo; in fondo il carcere della Vicaria e la Chiesa di S. Maria di
Portosalvo contestualizzano la narrazione e costituiscono documento delle tristi
consuetudini del tempo.
Un quadro, che rappresentava l’uso
dei “confratelli che si adoperavano per salvare l’anima dei giustiziati, già in
sacrestia, oggi si trova al Museo Diocesano.
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