mercoledì 14 dicembre 2016
La Cruna dell'Ago - Anno n. 1 - N. 11 - Dicembre 2016
Etichette:
dicembre 2016,
Fondatore Ranieri Nicolai,
La Cruna dell'Ago,
Nebrodi,
Sicilia,
Ucria
Ubicazione:
98060 Ucria ME, Italia
CONVEGNO: “LA CULTURA DELLA PIETRA” - ASSOCIAZIONE CULTURALE NEBRODI
ASSOCIAZIONE CULTURALE
NEBRODI
Ucria
- 11.12.2016 - Ucria
centro culturale dei Nebrodi per la promozione
di quell’identità storico-culturale e scientifica, costruita sulle
eccellenze. Pubblico, privato ed istituzione accademica si sono uniti in un
progetto scientifico finalizzato alla caratterizzazione delle collezioni di
germoplasma vegetale conservate presso la
Banca Vivente di Ucria, con particolare attenzione alla coltivazione del nocciolo
dei Nebrodi. Un’azione concreta che favorirà il rilancio di un’economia
sostenibile volta al recupero delle principali coltivazioni che hanno
caratterizzato il patrimonio agroalimentare dei Nebrodi. Nell’ambito della
conferenza “La Cultura della Pietra”,
organizzata dall’”Associazione Culturale Nebrodi”, con il patrocinio del
Parco dei Nebrodi, presso la Banca vivente del Germoplasma di Ucria, è stata ufficializzata
dal prof. Matteo Florena, anche Presidente dell’Associazione organizzatrice, la
volontà della Famiglia Florena di istituire e sostenere, anche economicamente,
una borsa di studio di durata semestrale,da destinare ad un giovane ricercatore
dell’Università degli studi di Palermo finalizzata ad approfondire, finalmente,
la conoscenza delle caratteristiche nutraceutiche e salutistiche della nocciola
dei Nebrodi. Il supporto economico privato, consentirà, peraltro, l’immediato
utilizzo di un laboratorio di biologia applicata presso la “Banca di Germoplasma” di Ucria con l'annesso "Giardino dei
Semplici", dedicato all'illustre botanico nebroideo Bernardino da
Ucria (1739 – 1796). All’impegno privato, si unirà anche la disponibilità di
risorse finanziarie pubbliche.“Investiremo nella struttura – ha annunciato
ufficialmente Giuseppe Antoci,
Presidente del Parco dei Nebrodi, una parte della cospicua somma, ovvero un
milione e quattrocento mila euro, che la Regione Sicilia, come disposto da una
sentenza, dovrà versare al Parco”. Una sede di eccellenza creata dall'Ente
Parco dei Nebrodi con il supporto tecnico e scientifico dell'Università di
Palermo, Dipartimento di Scienze Biologiche, che ospita i campi collezione
delle diverse specie di piante di interesse naturalistico, agrario e
terapeutico la raccolta di semi di vecchie cultivar tradizionali da frutto che
rischiano di scomparire. “È stato allestito anche un laboratorio biologico per
la tutela e moltiplicazione del germoplasma finalizzato alla conservazione
della biodiversità. La Banca vivente del Germoplasma vegetale dei Nebrodi è la
prima che nasce in un Parco, ma è anche la più completa sotto il profilo
scientifico. L'attività di collezione riguarda il reperimento, la difesa, la
moltiplicazione e la conservazione di semi di specie forestali e di specie
indigene erbacee arbustive endemiche e rare dei Nebrodi, in pericolo di
estinzione. “Il nostro obiettivo – ha spiegato il Professore Matteo Florena, Presidente dell’Associazione Culturale
Nebrodi – è quello di trasformare la città di Ucria, in un centro di cultura e
ricerca scientifica. Siamo convinti che formazione e sviluppo del territorio
siano un binomio imprescindibile per costruire un sano futuro nel segno della
sostenibilità e recupero dell’eccellenza.”
L’iniziativa
si è anche significativamente arricchita dell’intervento, non previsto dal
programma, del prof. Fabrizio Micari
– Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, che ha anche dichiarato che “La
formazione oggi deve confrontarsi con le richieste del territorio.
Per
esempio, uno dei nostri corsi di laurea: Scienze e tecnologia agroalimentare è
nata dal confronto con 60 imprenditori.” Ucria, nel corso della sua storia, si
è anche distinta per la ricchezza di creazioni artistiche. La cultura della
pietra ne è un esempio e da questo assunto è partita l’iniziativa di cui vi
riferiamo . “Gli scalpellini, (maestri che
trasformano le pietre in opere d’arte) infatti, - ha spiegato Iole Nicolai, avvocato ed esponente
dell’Associazione “La cruna dell’ago”- hanno
lasciato disseminate nel centro abitato e nel territorio le opere della loro
arte: i lavori in pietra sono manufatti che non solo abbelliscono, ma
testimoniano la memoria storica del nostro paese”. Questa straordinaria tradizione
è stata raccolta da Antonino Rigoli,
giovane di 27 anni che supportato da apposita formazione ne ha fatto un
mestiere. Recuperando le antiche tecniche ed attualizzando le richieste del
mercato ha realizzato un laboratorio - mostra creando ed esportando
straordinari pezzi di arte realizzati con rocce nebroidee essenzialmente
caratterizzate dalla presenza di argille ed arenarie. “Questa geodiversità
sicuramente è una ricchezza – ha
spiegato Valerio Agnesi, professore ordinario di Geomorfologia
dell’Università di Palermo - questa pietra tipica di queste aree ha un diverso grado
di compattazione e pertanto si presta alle diverse lavorazioni.”
Salvatore
Giarratana, vice presidente dell’Associazione Culturale Nebrodi, dopo avere
collocato la Banca vivente del Germoplasma di Ucria nell’ambito del sistema
regionale delle 12 Banche del Germoplasma finanziate dall’Azienda Foreste
Demaniali della Regione Siciliana, oggi soppressa, con i fondi della Misura
1.12 del POR Sicilia 2000/2006, ha introdotto le specificità di quella di
Ucria, mettendo in luce l’importanza della tutela di questo patrimonio genetico
locale, da tutelare perché fonte di biodiversità di notevole valore sociale,
culturale ed economico”. “In tale
contesto di valorizzazione della biodiversità – la Banca vivente del
germoplasma - ha continuato Franco Maria
Raimondo, già Direttore dell’Orto botanico di Palermo, ma anche mente del
progetto iniziale della struttura inaugurata nel 2010, - deve legarsi allo
sviluppo del territorio, ma soprattuttoalla tutela degli ambienti tipici dei Nebrodi,
che rappresentano ecosistemi ad elevata biodiversità”. E’ stata anche
l’occasione per rievocare, e non sarebbe stato possibile fare diversamente, la
figura e l’opera di padre Bernardino da Ucria, l’insigne ed umile botanico
settecentesco iniziatore dell’Orto Botanico di Palermo.
LA CULTURA DELLA PIETRA. - Maria Scalisi - Iole Nicolai
LA CULTURA
DELLA PIETRA.
Maria Scalisi - Iole Nicolai
Un antico proverbio africano dice che “Se le formiche si mettono
d’accordo, possono spostare un elefante”. Noi ci stiamo provando… e
siamo determinati a riuscirci…
E’ questo lo spirito con il quale lo scorso 10 dicembre, l’Associazione
culturale “Nebrodi”, guidata dall’instancabile ed eclettico Prof. Florena, con
il patrocinio del Parco dei Nebrodi e della Banca del Germoplasma (di cui
abbiamo già scritto), avvalendosi del contributo organizzativo
dell’Associazione che cura questo giornalino, ha messo in campo l’evento “La
cultura della pietra”.
Una iniziativa importante per sforzo profuso, caratura scientifica
dei relatori, tema trattato e presenza di illustri ospiti. Un evento volto alla
valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni del Paese di Ucria,
che ha fatto del nostro paese un “centro culturale dei Nebrodi per la
promozione di quell’identità storico –culturale e scientifica, costruita sulle
eccellenze” (così la rassegna stampa sull’evento).
L’iniziativa si è inserita
nell’ambito di un complessivo, più ampio, disegno a mezzo del quale
l’associazione promotrice ha inteso segnare il passo per il rilancio di una
economia sostenibile, indirizzata al recupero degli elementi distintivi
caratterizzanti la nostra cultura e con l’obiettivo di trasmettere alle giovani
generazioni il complesso valoriale espressione autentica del nostro territorio,
quale “esempio” concreto. Un modello da proiettare nel futuro, attraverso gli
strumenti più innovativi, perché – per dirla con le parole del Prof. Florena -
“siamo convinti che formazione e sviluppo
del territorio siano un binomio imprescindibile per costruire un sano futuro
nel segno della sostenibilità e recupero dell’eccellenza” (segnaliamo al
riguardo, il significativo ed importante gesto compiuto dalla famiglia Florena
che ha ufficializzato, proprio in quella sede, la volontà di istituire e
sostenere, anche economicamente, una borsa di studio da destinare ad un giovane
ricercatore dell’Università di Palermo, per approfondire lo studio della
nocciola dei Nebrodi).
Lo spirito, insomma, è stato quello di suggerire “modelli” sani e
propositivi che affondassero le radici, ben salde, nel terreno della tradizione
ma che, al contempo, sapessero affrontare le scommesse del futuro.
Insomma, cari lettori…È stata una giornata densa di significati
per il nostro Comune e per tutto il territorio. E’ stata davvero una bella
giornata!
Alla presenza del Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe
Antoci, del Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, del
“padre” della Banca del Germoplasma di Ucria, il Botanico Francesco Maria
Raimondo (che ha concluso i lavori), del dirigente regionale Salvatore
Giarratana (che ha illustrato la nascita della Banca del Germoplasma, avendo
avuto un ruolo primario nella sua realizzazione), della Professoressa Angela Di
Giorgio Marciante (segretario dell’Associazione “Nebrodi”) e naturalmente del
Prof. Florena, abbiamo avuto l’occasione di apprendere gli approfondimenti
scientifici condotti dal Prof. Valerio Agnesi sulle caratteristiche geologiche del
nostro territorio. Ed abbiamo anche potuto inoltrarci nei meandri della nostra
cultura locale così fortemente caratterizzata dalla lavorazione della pietra tipica
del nostro territorio (un plauso va anche a chi, come Nino Rigoli, nel nostro
Paese, coltiva la passione per l’arte della lavorazione della pietra).
Insomma “la cultura della pietra” al centro, tra il passato e
futuro, tra tradizione e innovazione, come spunto per proiettarsi in un futuro
in cui la tradizione locale trovi la sua necessaria ed opportuna
valorizzazione!
La pietra e il lavoro che i “Maestri scalpellini” (ovvero, come
l’abilità di un maestro trasforma le pietre in opere d’arte) di Ucria hanno
saputo sviluppare, rappresentando, per molto tempo, l’ossatura del contesto
economico del paese.
La storia del nostro paese è “cultura della pietra”, poiché si
intreccia inesorabilmente con lo sviluppo di questa arte di cui si ravvisano
tracce, in ogni angolo di Ucria.
E’ quanto accade in molti luoghi e paesi. L’edilizia riceve spesso
caratterizzazione e diversificazione dalle pietre che si utilizzano per
costruire le case, sicché l’architettura, traendo qualità ed aspetto del
materiale, si lega strettamente al paesaggio.
“La costruzione era in un certo modo un prodotto del suolo nel
quale sorgeva. Dall’esame delle costruzioni un naturalista poteva già farsi
l’dea dei tipi di roccia affioranti in un dato luogo” – (Veggiani).
La geomorfologia del suolo ucriese mette a disposizione un gran
numero di cave di pietre con innumerevoli alternative e possibilità di impiego.
Oggi ad Ucria di cave per estrarre la pietra resta ben poco: se ne
intravedono le tracce “ancora leggibili nel paesaggio”, restano i fronti
d’attacco, le enormi ferite aperte sui monti, alla base i detriti, le brecce. E
le memorie.
C’era pietra e pietra, cava e cava. Anche dal punto di vista
qualitativo. Diverse finalità e diverse valenze. Per non parlare delle
consistenze, durevolezze, colori, finezze di grana.
Le cave si trovavano in zona Orelluso, a Piano Campo, al Piano
Muto.
Le modalità estrattive avvenivano dal distacco di un blocco dal
banco, determinato dall’andamento delle stratificazioni. Si procedeva dapprima
ad incidere in superficie con l’aiuto di punta o mazzuolo, una sorta di
canaletta di pochi centrimetri e inserendo poi dei cunei di legno, (cugnu)m che
venivano banati per aumentare la pressione e riuscire ad aprirlo, sempre con
l’aiuto di una mazza. Seguendo le fratture si procedeva lo sfaldamento dello
strato.
Tutto un piccolo mondo gira intorno al lavoro della pietra.
Cavatori, tagliapietre, scalpellini, con ruoli e specializzazioni diverse,
sacrifici e da consuetudini familiari che si tramandano di padre in figlio.
L’azione di estrazione della pietra a cielo aperto e della
sbozzatura e rifinitura viene oggi ricordata come un lavoro duro, faticoso e
rituale.
Ucria, nel tempo, ha evidenziato sempre una grande artisticità dei
suoi figli, attraverso appunto l’abilità degli mastri della pietra. Gli
scalpellini, artisti da taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini
affondano nel passato. Gli scalpellini ucriesi contribuirono un impulso
notevole dello sviluppo artistico del paese.
Le opere visibili in Ucria sono la testimonianza principale dei
bellissimi portali delle chiese di San Pietro Apostolo, la chiesa Madre, la
chiesa di SS. Annunziata, la chiesa della Madonna della Scala e tutte le altre
chiese secondarie, in cui è ben visibile la presenza di questa maestranza.
Colonne monolitiche, sovrastate da capitelli riccamente decorati, nonché le
cornici dei balconi, delle mensole e dei “cagnoli” degli antichi palazzi, come
quelli presenti nel palazzo Baratta, in via P. Bernardino.
Nell’ultimo trentennio il cemento armato, l’asfalto e la pietra
lavica hanno deturpato completamente quello che erano le nostre strade,
rimanendo a noi solo un ricordo fotografico.
Ucria vanta decine di famiglie di scalpellini, mestiere tramandato
di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, ma oggi sono quasi del
tutto scomparsi, resta il nostro caro marmista Salvatore Vinciullo, anche se col
riformarsi della pietra, si nota una ripresa di questa antica attività, grazie
all’abilità e alla voglia di ripresa di questo antica mestiere di Nino Rigoli e
Salvatore Crisà.
La pietra che lavoravano i nostri scalpellini era la locale pietra
arenaria che prelevavano dalle varie cave: Piano Muto, O Casteddu, Piano Campo,
Orelluso e tante altri luoghi ove affiorava la pietra.
Dopo aver scelto il blocco arenario, gruppi di scalpellini
lavoravano in situ i la pietra, o la trasportavano fino al luogo dove si
effettuava la lavorazione vera e propria, trasformandola in vere opere d’arte.
L’abilità stava nelle mani di chi conosceva il proprio mestiere.
La mia famiglia, mio nonno, Calogero Matteo Scalisi era uno scalpellino, è
tramandò questo mestiere ai figli, ma colui che abilmente lavorava la pietra
era mio zio Vincenzino.
Questi lavori in pietra sono manufatti
che non solo abbelliscono, classificano e donano bellezza alle antiche casa ma
ne determinano l’armonia e la bellezza dell’insieme al nostro territorio
ucriese, che ne è testimone.
Oltre ai portali, si realizzavano
davanzali, cornici alle finestre, soglie alle porte, gradini, balaustre. Tutto
doveva essere di pietra, più o meno pregiata a secondo della disponibilità
finanziaria del committente.
Gli attrezzi principali del lavoro erano
“la squadra” per definire gli spigoli, per determinare l’angolo retto tra le
due facce adiacenti, tutt’una serie di scalpelli perfettamente affilati e di
buon materiale acciaioso, mazze e mazzuoli, martello a due teste, il compasso,
la livella, la sgorbia, la buggiarda, strumenti che venivano di volta in volta
usati, secondo la specificità del lavoro.
Il tutto è semplicemente un lavoro
manuale, e, sicuramente, un lavoro di grande vanto.
La graduale sostituzione dell’uomo con
le macchine è determinato anche dai macchinari ed è anche determinato dal fatto
che non ci sono più uomini con la passione e la volontà di imparare questo
mestiere. Ecco perché si considera un lavoro in “via di estinzione”.
Chissà… forse cambierà qualcosa?! Noi ci crediamo!
DALLA RACCOLTA “SCURA È LA STRATA” - FRANCESCO PINZONE
DALLA
RACCOLTA “SCURA È LA STRATA”
FRANCESCO PINZONE
NATALI
Sonanu
li campani di Natali,
sona
la ciramedda strati strati:
lu
munnu è tuttu ‘mbrogghj e tuttu mali,
lu
Bamminu ci appizza li maniati.
Cantanu
li pueti l’annu novu,
li
so’ giriuni la vita arripigghia;
ognu
annu ‘ntra sti munti m’arritrovu
sempri
la stissa testa di canigghja.
Nun
sacciu mancu chiddu c’haju a diri
nun
sacciu mancu chiddu c’haju a fari;
vurria
cantari, ridiri, ‘mpazziri,
ma
mi cunfunnu d’unni accuminzari.
Passu
li jorna sulu e senza abbentu
e
‘ntro frattemmu ‘ncuverchianu li anni,
scumpari
dd’anticchiedda di talentu,
s’ammunseddanu
guai, peni ed affanni.
Ma
si pensu chi poi nun resta nenti
mettu
di banna la malincunia:
pi
Natali bivemunni cuntenti
‘na
cannata di bonu marvasia.
Natale 1953
CAPU D’ANNU
Cu
st’oricchj sintivu lu battagghju
e visti un vecchiu c’una truscia ‘n coddu
chi
fujia pi lu mari si non sbaggju.
Un
picciutteddu allegru e spezzacoddu
ci
jia dappressu senza ‘ntruppicuna
fistanti,
giubilanti e quasi foddu.
Iu
lu pigghiavu a corpa di vastuna
e stetti arzatu tutta la nuttata
taliannu
li finestri e li barcuna.
Cadia
fridda e ‘ncuttusa la jilata
Supra la terra silinziusa e scura
e
lu sonnu stinnia l’ali di fata.
Li
muntagni mittevanu pavura,
unniavanu
li lupi. Un lumicinu
‘dduma
e s’astuta e nun ci mettu accura.
Un
organettu sona accà vicinu
canta
l’amanti lu pirdutu amuri:
“Trisolu
sciatu, sciamma, astru divinu!”
E’
Capu d’annu. Finarmenti l’uri
tantu
disiati vinniru, la festa
s’aspittava
cu gioja e cu firvuri…
Ma
quantu dolu ancora nun ci resta!
si
rinnovanu agurii ed alligrizzi
e
la jurnata cuntenta s’appresta.
‘Ntra lu fumeri, ‘ntra li gran ricchizzi,
sempri
lu stissu e mai la farsa muti,
tempu,
tu chi la vampa sempri attizzi
e
misuri li seculi a minuti!
NATALE E LA SUA STORIA - Domenico Orifici
Domenico Orifici
Al posto delle festività natalizie, un tempo
vi erano le festività del solstizio d’inverno, più note col nome di Sol
invictus. Risalgono a tempi antichissimi: I persiani cantavano al sole che
tornava a crescere con la sua luce e il suo calore; gli egiziani con
processioni rituali festeggiavano la nascita di Horus, la loro principale
divinità. I romani celebravano, dal 17 al 23 dicembre, le saturnali, festività
in onore del Dio Saturno. Nel 274 l’imperatore Aureliano decise che il 25
dicembre si dovesse festeggiare il sole e fece costruire un tempio che inaugurò
il 25 dicembre.
Gli storici cristiani
cercarono d’individuare la data esatta della nascita di Gesù, ma era come
cercare un ago nel pagliaio dal momento che i vangeli non ne accennarono.
L’unico dato approssimativo erano i riferimenti al re Erode e al censimento, ma
niente di definitivo. Gli studiosi ecclesiastici fissarono la data da
festeggiarsi i natali di Gesù solo nella prima metà del 400. Nella scelta della
data, più che il caso prevalse il fatto che in un almanacco, redatto nel 354
d.C. da Furio Dionisio Filocalo, vi è un frammento di un calendario liturgico
cristiano in uso a Roma, che alla data VIII Kalendas Ianuarias, cioè il 25
dicembre, è scritto: Natus est Christus in Betleem Judaeae.
Così la chiesa sovrapponeva
alle festività pagane la festività Cristiana, ma le usanze per i festeggiamenti
dell’ Invictus solis erano talmente radicate che resero difficile l’inserimento
della nuova realtà. Usanze pagane rimasero nei riti della Chiesa per molto
tempo fino ad arrivare ai nostri giorni, fra i tanti il ceppo di Natale con cui
gli adoratori del Dio Sole volevano aiutare l’astro a riprendersi dopo i duri
giorni antecedenti al solstizio. I sacerdoti e i papi si lamentavano perché i
cristiani prima di entrare nelle chiese s’inginocchiavano davanti al Sole. Se
per i cristiani dell’Europa occidentale è assodato che Gesù è nato il 25
dicembre, non sono dello stesso parere quelli dell’Europa orientale che
festeggiano la nascita di Gesù il 6 gennaio e altri popoli in altre date “Paese
che vai, usanze che trovi” per dire che nelle regioni ove attecchì il
cristianesimo, il Natale non sempre è interpretato e vissuto allo stesso modo:
nel nord Europa il simbolo del Natale è un albero di conifere sotto cui vengono
portati i doni. In alcuni paesi della scozia oltre all’albero che si fa in casa
se ne fa un altro fuori a cui vengono appesi cibi appetitosi per gli uccelli.
Nei paesi dell’Europa centrale
prevale la figura di San Nicola di Bari che nella notte del 25 dicembre entra
in tutte le case attraverso le persiane per portare i doni ai bambini;
nell’Europa settentrionale lo stesso San Nicola di Bari diventa Santa Claus che
guida le renne per portare i doni ai piccoli di tutto il mondo; Da noi prevale
il presepe quale simbolo della natività. I regali vengono portati da Gesù la
notte di Natale e dalla befana il 6 gennaio.
Ai nostri giorni,
caparbiamente, è entrata la figura coloratissima di Babbo Natale, che, nato,
pare, in America, nelle festività natalizie porta doni ai bambini. In Spagna a
portare i regali sono i re magi che a cavallo o sui carri dividono caramelle e
dolci per le vie delle città. Il Natale per i Cristiani ha voluto significare
il risplendere della luce: Dio è luce! Il vangelo di Giovanni: “Io sono la luce
del mondo”. E’ Luce per vedere la via della salvezza, dell’amore del prossimo,
del rispetto reciproco.
Per i cristiani è stato pure
il motivo per riunire le famiglie. Tante partono da paesi lontani per riunirsi
ai vecchi genitori e ai parenti per vivere assieme i valori che questa festa ci
trasmette: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, recita un vecchio
proverbio.
Oggi questi valori si stanno
tradendo: colpa del benessere, della superbia e dell’invidia. Prevale il
consumismo: acquisti di doni sempre più costosi, superbia di andare in
villeggiatura e invidia per non essere da meno delle persone amiche.
Tutto questo porta i figli su
una strada che snatura i veri valori del Natale, della famiglia e della
società, facendo intravedere un futuro sempre più tenebroso.
ASPITTANNU LU NATALI
I cristiani in allegria
aspettanu Lu Missia.
Pi li strati ‘u zampugnaru
sciuscia e sona
paru paru.
Lu paisi è tuttu luci
e li genti su’
chiù duci .
‘Nta li casi arricugghiuti
Nonni e figghi chî niputi.
‘U presepiu cu li stiddi,
fannu ‘ granni e picciridi
‘nta li casi e ‘nta li strati
cu li cosi chiù amati:
boi e sceccu â manciatura
pi quodiari ‘u
Sarvaturi,
‘i re magi chî cammelli
pi purtari doni belli,
pû Bamminu adurari
Artigiani e picurari.
Di l’autra parti dû viali
si scunusci lu Natali:
ci su’ mitra e carri armati
e morti strati
strati,
ci su mini sparpagghiati
e barcuni disulati
Picciriddi
abbannunati
O ‘ntâ guerra ‘ntrappulati.
C’è cu’ campa ntê palazzi
‘ntra lu lussu
e ‘ntra li sfrazzi
E cu mori sutta ‘i ponti
Senza pani e senza nenti.
Benestanti e guvirnanti
pronti a fari i villeggianti
‘ntra li pisti e ntra li
Sali comu fussi carnivali
e c’è puru tanta genti
chi campa ‘ntra li stenti
‘Nta lu boscu,
sularina c’è ‘na casa senza stidda,
‘na famigghia poverina
senza nenti ‘nta maidda.
Ni la ‘nsigna
‘u Bammineddu,
dici: “chista è casa mia,
Non è rutta né casteddu
Ma du’ celu è la via”.
Domenico
Orifici
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