Domenico Orifici
Al posto delle festività natalizie, un tempo
vi erano le festività del solstizio d’inverno, più note col nome di Sol
invictus. Risalgono a tempi antichissimi: I persiani cantavano al sole che
tornava a crescere con la sua luce e il suo calore; gli egiziani con
processioni rituali festeggiavano la nascita di Horus, la loro principale
divinità. I romani celebravano, dal 17 al 23 dicembre, le saturnali, festività
in onore del Dio Saturno. Nel 274 l’imperatore Aureliano decise che il 25
dicembre si dovesse festeggiare il sole e fece costruire un tempio che inaugurò
il 25 dicembre.
Gli storici cristiani
cercarono d’individuare la data esatta della nascita di Gesù, ma era come
cercare un ago nel pagliaio dal momento che i vangeli non ne accennarono.
L’unico dato approssimativo erano i riferimenti al re Erode e al censimento, ma
niente di definitivo. Gli studiosi ecclesiastici fissarono la data da
festeggiarsi i natali di Gesù solo nella prima metà del 400. Nella scelta della
data, più che il caso prevalse il fatto che in un almanacco, redatto nel 354
d.C. da Furio Dionisio Filocalo, vi è un frammento di un calendario liturgico
cristiano in uso a Roma, che alla data VIII Kalendas Ianuarias, cioè il 25
dicembre, è scritto: Natus est Christus in Betleem Judaeae.
Così la chiesa sovrapponeva
alle festività pagane la festività Cristiana, ma le usanze per i festeggiamenti
dell’ Invictus solis erano talmente radicate che resero difficile l’inserimento
della nuova realtà. Usanze pagane rimasero nei riti della Chiesa per molto
tempo fino ad arrivare ai nostri giorni, fra i tanti il ceppo di Natale con cui
gli adoratori del Dio Sole volevano aiutare l’astro a riprendersi dopo i duri
giorni antecedenti al solstizio. I sacerdoti e i papi si lamentavano perché i
cristiani prima di entrare nelle chiese s’inginocchiavano davanti al Sole. Se
per i cristiani dell’Europa occidentale è assodato che Gesù è nato il 25
dicembre, non sono dello stesso parere quelli dell’Europa orientale che
festeggiano la nascita di Gesù il 6 gennaio e altri popoli in altre date “Paese
che vai, usanze che trovi” per dire che nelle regioni ove attecchì il
cristianesimo, il Natale non sempre è interpretato e vissuto allo stesso modo:
nel nord Europa il simbolo del Natale è un albero di conifere sotto cui vengono
portati i doni. In alcuni paesi della scozia oltre all’albero che si fa in casa
se ne fa un altro fuori a cui vengono appesi cibi appetitosi per gli uccelli.
Nei paesi dell’Europa centrale
prevale la figura di San Nicola di Bari che nella notte del 25 dicembre entra
in tutte le case attraverso le persiane per portare i doni ai bambini;
nell’Europa settentrionale lo stesso San Nicola di Bari diventa Santa Claus che
guida le renne per portare i doni ai piccoli di tutto il mondo; Da noi prevale
il presepe quale simbolo della natività. I regali vengono portati da Gesù la
notte di Natale e dalla befana il 6 gennaio.
Ai nostri giorni,
caparbiamente, è entrata la figura coloratissima di Babbo Natale, che, nato,
pare, in America, nelle festività natalizie porta doni ai bambini. In Spagna a
portare i regali sono i re magi che a cavallo o sui carri dividono caramelle e
dolci per le vie delle città. Il Natale per i Cristiani ha voluto significare
il risplendere della luce: Dio è luce! Il vangelo di Giovanni: “Io sono la luce
del mondo”. E’ Luce per vedere la via della salvezza, dell’amore del prossimo,
del rispetto reciproco.
Per i cristiani è stato pure
il motivo per riunire le famiglie. Tante partono da paesi lontani per riunirsi
ai vecchi genitori e ai parenti per vivere assieme i valori che questa festa ci
trasmette: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, recita un vecchio
proverbio.
Oggi questi valori si stanno
tradendo: colpa del benessere, della superbia e dell’invidia. Prevale il
consumismo: acquisti di doni sempre più costosi, superbia di andare in
villeggiatura e invidia per non essere da meno delle persone amiche.
Tutto questo porta i figli su
una strada che snatura i veri valori del Natale, della famiglia e della
società, facendo intravedere un futuro sempre più tenebroso.
ASPITTANNU LU NATALI
I cristiani in allegria
aspettanu Lu Missia.
Pi li strati ‘u zampugnaru
sciuscia e sona
paru paru.
Lu paisi è tuttu luci
e li genti su’
chiù duci .
‘Nta li casi arricugghiuti
Nonni e figghi chî niputi.
‘U presepiu cu li stiddi,
fannu ‘ granni e picciridi
‘nta li casi e ‘nta li strati
cu li cosi chiù amati:
boi e sceccu â manciatura
pi quodiari ‘u
Sarvaturi,
‘i re magi chî cammelli
pi purtari doni belli,
pû Bamminu adurari
Artigiani e picurari.
Di l’autra parti dû viali
si scunusci lu Natali:
ci su’ mitra e carri armati
e morti strati
strati,
ci su mini sparpagghiati
e barcuni disulati
Picciriddi
abbannunati
O ‘ntâ guerra ‘ntrappulati.
C’è cu’ campa ntê palazzi
‘ntra lu lussu
e ‘ntra li sfrazzi
E cu mori sutta ‘i ponti
Senza pani e senza nenti.
Benestanti e guvirnanti
pronti a fari i villeggianti
‘ntra li pisti e ntra li
Sali comu fussi carnivali
e c’è puru tanta genti
chi campa ‘ntra li stenti
‘Nta lu boscu,
sularina c’è ‘na casa senza stidda,
‘na famigghia poverina
senza nenti ‘nta maidda.
Ni la ‘nsigna
‘u Bammineddu,
dici: “chista è casa mia,
Non è rutta né casteddu
Ma du’ celu è la via”.
Domenico
Orifici
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