domenica 15 gennaio 2017

La Cruna dell'Ago - Anno n. 2 - n. 1 - Gennaio 2017

































ZUCCA BAFFA CONTEST 2017 #LaCrunadellAgoContest Chi ce l’ha più grossa?

ZUCCA BAFFA CONTEST 2017
#LaCrunadellAgoContest
Chi ce l’ha più grossa?
La Redazione
         Grazie sempre alla collaborazione del signor Calogero Pinzone che, con l’amore per la propria passione per la natura e per il proprio lavoro, ha dato l’input, a noi della redazione, di lanciare un simpatico contest, dedicandolo all’angolo degli ortaggi: “ZUCCA CONTEST 2017 -  Chi ce l’ha più grossa?”
            Le prime immagini sono proprio quelle che ritraggono il signor Pinzone, fiero, con le sue zucche baffe. Adesso spetta a voi..
            Partecipate inviandoci le vostre zucche o semplicemente inserendole sul social di Facebook.
         Vi aspettiamo J
#ZuccaBaffacontest2017

#LaCrunadellAgoContest






UCRIA, CON GLI OCCHI DI RANIERI DA BAMBINO. IERI, OGGI…E DOMANI? - Iole Nicolai

UCRIA, CON GLI OCCHI DI RANIERI DA BAMBINO.
IERI, OGGI…E DOMANI?
Iole Nicolai
            Capita spesso di imbattermi in un ricordo, una foto, un aneddoto dell’infanzia che io e Ranieri abbiamo trascorso spensierati e felici, tra le “vanedde” e la Pineta di Ucria, i sapori e gli odori nebroidei, i volti familiari di una comunità piccola che ti proteggeva e ti rassicurava.
            E’ di qualche tempo fa la scoperta di una “santa barbara” dei ricordi!
            Circa un anno fa, ho scoperto che I miei genitori, avevano conservato gelosamente, catalogandoli per anno, i materiali e documenti dei nostri anni più lontani, degli anni dell’incanto dell’infanzia e dei primi passi da studenti delle elementari e medie, salvandoli dall’oblio a cui sarebbero stati condannati per l’inesorabile trascorrere del tempo.
            Ho avuto così la ventura di imbattermi nei quaderni delle elementari di Ranieri e di vivere l’emozionante privilegio di sfogliarne le pagine manoscritte. Un vero tonfo al cuore, per me!
            Da questo piccolo tesoro della memoria abbiamo tratto lo straordinario documento che abbiamo voluto condividere con gli amici della Cruna dell’Ago!
            A dire il vero…inizialmente, mi sono chiesta se volessi condividere e soprattutto commentare un ricordo così emozionante e personale finché non mi sono confrontata, prima con i miei genitori e poi con Maria e Serena (splendide amiche e fondamentali animatrici della redazione).
            Con loro abbiamo deciso di pubblicarlo, perché colpiti dalla semplicità e dal candore con cui, un Ranieri ancora bambino, descriveva il proprio Paese, raccontandone la vita e addirittura la struttura socio-economica su cui si fondava; quello stesso bambino che 17 anni più tardi, spinto dall’amore per il suo paese, avrebbe fondato, insieme a molti di noi, questo giornalino per provare a raccontarne la storia, scommettendo su un futuro migliore.
            Un momento emozionante, dicevo.
            Dapprima sono emersi gli odori, i colori… poi le voci, i volti, le sensazioni dei luoghi e delle persone della mia infanzia…ed ecco, a seguire, riaffiorare dal fondo della memoria le energie che quella Ucria sprigionava, ignara - e forse anche disinteressata - di ciò che le avrebbe riservato il futuro.
            Il documento mi ha impressionato, inoltre, per l’innocente lucidità con cui viene percepita l’importanza del lavoro da parte di un bambino, secondo cui “quello che è più importante che ci sono 4 fabbriche, così ci sono poche persone senza lavoro”.
            Accade così che, oggi, attraverso gli occhi e i pensieri di un bimbo di 7 anni, racchiuse tra le parole custodite dentro un quaderno delle elementari, possiamo riportare alla mente una Ucria che non c’è più, un centro di 1800 abitanti, economicamente attivo ed effervescente, un centro imprenditoriale significativo (Non è questo il momento per ricordare la storia della maglieria nebroidea e siciliana, sulla quale pure potrei dire la mia, se non altro per la storia familiare). Come in una sorta di flash back collettivo che ci fa ritrovare il racconto di una realtà affidata ormai alla storia; una storia forse troppo poco raccontata e forse anche poco valorizzata.
            E’ così che le semplici parole di un bambino ci offrono la possibilità di rievocare anni lontani, gli anni di una Ucria diversa che, addirittura, aveva “8 negozi di generi alimentari (…)” (circostanza che, a confrontarla con la realtà di oggi, potrebbe sembrare frutto della sua fantasia) ed hanno la capacità disarmante di indurre un necessaria riflessione su come è Ucria oggi ma soprattutto come vogliamo che sia! 
            Ed oggi che tutto è cambiato… cosa resta di quella energia e vitalità?
            Io credo si debba stabilire se si tratti di un lento spegnersi oppure di una trasformazione che va governata e orientata! spetta a noi tutti stabilirlo…
            Lo abbiamo detto molte volte. Lo abbiamo scritto anche su queste pagine…
            Siamo convinti che il nostro Paese abbia una rinnovata opportunità di vivere una nuova e forse più sostenibile “vitalità economica” ma è necessario crederci e soprattutto recuperare e dare fondo a tutto l’amore e la passione per i nostri luoghi e avere a cuore la loro sorte.
            Noi ci stiamo provando e continueremo a provarci, convinti che Ucria - e con essa tutto il territorio nebroideo - possano (anzi, debbano) vivere trovando la forza e le energie nei doni e opportunità di cui è ricco il territorio.
            A volte è necessario vedere le cose con gli occhi di un bambino per capirlo!













COMPITINO: IL MIO PAESE - Ranieri Nicolai




VERBO - Antonino Paladina

VERBO
Antonino Paladina
            La gentile e graziosa ucriese ing. Scalisi Maria mi ha invitato a scrivere sul mensile “La cruna dell’ago” su quanto fosse inerente ad Ucria, alla sua storia, cultura, costumi, tradizioni.
            La levatura culturale dei “giornalisti”, i cui articoli ho letto nella rivista – on line, mi hanno per un verso inorgoglito campanilisticamente e per un altro verso scoraggiato a scrivere qualcosa su Ucria: ma una promessa è una promessa.
             Dei costumi ed il fenomeno della globalizzazione ha relegato Ucria – paesino poco più che post-medievale fino ai primi anni del ‘50 - ad oggetto di nostalgia di un periodo magico della nostra vita individuale.
            La matrice culturale di Ucria discende dalla principale attività del paese: agricoltura e allevamento. La notevole emigrazione verso l’estero ed il nord dell’Italia, a seguito della industrializzazione del dopo guerra, ha portato ad una forte diminuzione di occupazione nell’attività agricola. I primi tempi degli anni ’70 emigravano i giovani, dopo un decennio circa, anche gli anziani andavano al Nord. Molti giovani studiavano fuori e non tornavano più ad Ucria.
            Lo spopolamento del paese ha generato un notevole “impoverimento generale”. 
            Sono però presenti tanti elementi culturali, linguistici e elementi storici che vanno preservati dall’effetto tempo: alcuni dicono che il tempo è galantuomo (?).
            In estate, alla fine del periodo scolastico che trascorrevo a Messina in collegio, tornavo ad Ucria con la macchina del sig. Turi “Tataranchio” una Lancia Flavia,  chiedo perdono ma non ricordo il cognome ( Lembo???) di questo signore.
            Secondo i principi pedagogici vigenti ad Ucria in quel tempo “pi nun pigghiari vizi” mia madre mi portava con sé in campagna a lavorare tutti i giorni.
            A luglio si andava a tagliare l’erba nei noccioleti per facilitare, a settembre, la raccolta delle nocciole.
            Andavamo a lavorare “a iurnata” insieme ad altre persone; il gruppo di operai costituiva “l’antu”.
            Disposti in fila obliqua si tagliava l’erba sottostante ai noccioleti. Orario di lavoro:
7.00- 9.00, colazione, 10-13.00, pranzo, 14.30-17.30.
            L’antu procedeva da destra verso sinistra guidato da spata (il primo operaio in alto) che tagliava con la falce l’erba che spinta dal “mazzuni” discendeva verso i secondo operao e così via, chiudeva l’antu ‘u biccheri  che faceva i runci (cumuli di erba recisa)  la mia carriera inizio come acqualoru, e successivamente  a fari i zuccati, fino a che, anch’io, fui misu all’antu.
            Fine agosto e settembre si raccoglievano le nocciole.
            Spesso si verificavano temporali estivi con abbondanza di tuoni e lampi.
            Tutti scappavamo verso un rifugio, seppur precario di un “pagghiaru” al riparo dal temporale.
            Qualcuno durante l’attesa che il temporale si sfogasse, diceva “dicimo u Verbu cussì ‘ni scanza du malu tempu”; ed io che conoscevo questa preghiera recitavo il Verbu.
            Non ricordo dove ne quando ho imparato questa preghiera, probabilmente ero piccolo.

‘U VERBU

Verbu sacciu e Verbu vogghiu diri
Verbu ‘ncarnatu ‘ì nostru Signuri
‘ca chista Cruci vinni a muriri
Vinni a muriri pi nui piccaturi.
Piccaturi e peccatrici
La viditi quant’è bedda chista Cruci?
A la cruci lu videmu a Gesù lu bonsapemu.
Alla valli Gesù fa rosi e sciuri ci su dda.
Ranni e picciuli ama essiri dha

San Giuvannuzzu misu di latu
cun libruzzu d’oru liggennu e scrivennu
O Signuri, o Giuvanni,  pirdunamu i piccaturi
Giuvanni nun li pozzu pirdunari
ca sunu dispittusi e fanu guerri
Travagghiunu di festi principali
Bestemmiunu e rinneganu la fidi
La Matri Santa rispunni e dici:
Lu Verbu cu lu sapi tri voti lu dici
Cu nun lu sapì si lu ‘nsignirà
Cu lu senti e nun lun ‘mprenni
Setti virgati di focu arriprenni
Cu lu sapi e nun lu dici Gesù Cristu lu maladici.


            In genere il temporale si quietava e l’antu era sicuro che la recita del Verbu li aveva salvaguardati dalle intemperie.
            In alcune parti il senso logico della preghiera stenta ma credo incarni il senso religioso comune.
            Sarei veramente contento se qualcuno che conosce questa preghiera volesse socializzare la sua versione.



IL MIO POSTO - Serena Galbato


IL MIO POSTO
Serena Galbato

            Ho letto che le case dell'infanzia non si lasciano mai, che rimangono sempre dentro di noi. Niente di più vero.
            Quando penso a me bambina, esiste un solo posto nel mondo: u Purteddu. Se scendi dalla matrice, c'è un arco; se ti affacci dal paravento, vedi una scinnuta, una scalinata rigogliosa di gramigne che dirige scrupolosamente gli occhi al cuore del quartiere Annunziata e, poi dopo, alle montagne di Belinu.
            A proposito di quelle erbacce, quando facevo la capricciosa, mia nonna mi biasimava: “Va' strichiti 'nta niputedda!”. La nepetella è un'aromatica, simile alla menta, mi viene da immaginare con proprietà terapeutiche contro il malannò dei mocciosi, per l'appunto.
            Gli inverni a casa dei miei nonni erano dolci come le nocciole zuccherate di Parmina e, quando nevicava sul cocuzzolo i Casteddu, la sua cucina era in fermento come il mosto che vugghi: farina, uova e, a menzijornu tagghiarini c'a linticchia!
            Il sabato pomeriggio, sempre in inverno, si andava al Catechismo, al Teatrino: al Teatrino, molti anni dopo, nacque la Cruna dell'ago. Ricordi "stretti indispensabili", com’u focu della notte di Natale, una corda dell'anima. Ma anche la carta regalo natalizia per proteggere la copertina del Sussidiario, il pane nel latte caldo a colazione, i maglioni di lana cusuti 'e ferri, lavorati a maglia.
            U Purteddu è ovunque io riveda chi sono.


LA 'NTINNA DI CASALE FLORESTA - Luigi Pinzone

LA 'NTINNA DI CASALE FLORESTA
Luigi Pinzone
            Il 26 Luglio di ogni anno si celebra a Floresta, per inciso il più alto paese della Sicilia – superiore a 1240 mt. s.l.m., la festa della Patrona, Sant'Anna. Ancora oggi è possibile per chi ci passi occasionalmente o ci si trovi scientemente, prendere parte ai festeggiamenti. Certamente non ci sono le stesse attrazioni che c'erano negli anni cinquanta, ma probabilmente cose più consone agli anni duemila e non più concatenate alla realtà contadina, pastorale dei '50. Voglio dire che, se nel passato i botti di Capodanno non scandalizzavano nessuno, oggi il maltrattamento acustico degli animali è considerato come un segno di inciviltà. Ma tant'è. Ciascuno è figlio del secolo in cui vive. Dicevo della Festa. Era innanzitutto dal mese di Giugno che tutti i cacciatori affilavano le armi per prepararsi all'evento. Preparazione dei “due botti”, come venivano chiamati i fucili a due canne, o della scopette, acquisto o fabbricazione di cartucce adatte all'avvenimento. Poi c'erano gli allenamenti degli atleti per affrontare le corse e per salire sull'albero della cuccagna. Gli organizzatori intanto a partire dal 23 Luglio, alla fine della Fiera del bestiame, allestivano nel piano antistante il cimitero, la 'ntinna, un pioppo di oltre 20 metri di altezza sulla cui cima venivano, inchiodate le squisite provole di Floresta che gli allevatori facevano a gara a donare in onore della Santa Patrona, legate e ben nascoste sotto un cespuglio di agrifoglio. Finita, la 'ntinna era alta 26 metri. Un plauso a tutte le persone che ogni anno si davano da fare per organizzare lo spettacolo, preparativi che richiedevano una perizia fuori dal comune. E poi arrivava il 26 Luglio, giorno dello spettacolo. Le gare erano quattro, corsa per ragazzi e per adulti, la c.d. Pitruliata, il tiro dei cacciatori e la salita dell'albero.
            Preciso che il pioppo veniva bel scortecciato e ricoperto da grasso di pecora, per cui salire sull'albero era un'impresa molto ardua. La corsa assegnava ai vincitori delle provole. La Pitruliata vedeva i partecipanti tirare alle provole da basso con dei sassi. E chi riusciva a far cadere una provola o un pezzo di provola, se lo aggiudicava. Poi c'erano i cacciatori. Uno spettacolo. Tutti vestiti a festa i cacciatori casaloti e dei paesi vicini sparavano a turno nel tentativo di colpire le corde con cui erano legate, cose difficilissima perchè con i pallini di piombo è quasi proibitivo tagliare una corda. Alcuni compravano delle cartucce speciali, quelle volgarmente chiamate a lupara (si tratta di fare una catena con tre pallini e il filo di ferro, di modo che il colpo possa tagliare lo spago). Ricordo ancora il sapore di polvere da sparo e qualche piombino nella provola che i cacciatori vincenti facevano assaggiare agli amici ed ai parenti.
            Ma ancora c'era un'altra gara. Gli atleti si preparavano a salire sull'albero a petto nudo e chiunque fosse riuscito a salire in cima poteva portare a casa quanto c'era rimasto. Tra i campioni del passato ricordo un casaloto certo Nino Malasacchètta vincitore svariati anni e il campione dei 'crioti, l'amico Ernesto Mazzola.
            Poi la festa si spostava nel centro del Casale ed in particolare nelle numerose taverne dove si poteva gustare il generoso vino Rosso della 'Ssulicchiata, i formaggi, le ricotte e i bambini potevano chiedere ai genitori di poter avere i “cavallucci” fatti con la provola. Poi la sera si ritornava al paesello e la vita riprendeva senza scossoni fino alla prossima festa.
Carpi di Modena, lì 11.01.2017