IL
TERREMOTO DEL 1978
*
Giuseppe Salpietro *
In generale
tutte le disgrazie umane hanno da sempre comportato, ma solo per alcuni,
successivi sviluppi positivi. Anche i funerali fanno girare l’economia, tanto
da destare a tanti preoccupazioni ed ansie che finiscono per … favorire.
Caso a parte,
ma non tanto, è quello della categoria di rapaci approfittatori, degli avvoltoi
ed a proposito dovremmo ancora nitidamente ricordare le frasi
dell'imprenditore, poi arrestato per lo scandalo degli appalti facili legati alla Protezione Civile,
noto alle cronache per l'intercettazione nella quale rivelava al telefono, di
aver riso di fronte alla notizia del sisma dell'Aquila, immaginando già che con
la catastrofe potesse crescere la possibilità di concludere nuovi e smisurati
affari sulla ricostruzione:
"io ridevo stammatina alle tre e mezza".
E' una medaglia
dalla doppia faccia: cianci unu, pì
ridiri nautru.
Situazione simile, anche se con toni
meno esasperati, immagino sia accaduta a seguito del forte terremoto del 15
aprile 1978, quando a tremare fu soprattutto il Golfo di Patti epicentro di un
sisma di magnitudo 6,1 Richter. La scossa provocò dei danni nel messinese
tirrenico, ma non ci furono vittime.
Anche ad Ucria, in quel frangente,
probabilmente si sdirrupò o lineò qualche catapecchia, si cutulò qualche solaio già traballante e
precario, ma nel complesso la situazione non determinò problematiche rilevanti
come nel pattese, né destò particolari preoccupazioni.
Indipendentemente dai danni
effettivamente patiti si avviò comunque, tra luci ed ombre, un lungo periodo di
ricostruzione che modificò radicalmente gli assetti estetici dei tessuti urbani
di gran parte dei Paesi dei Nebrodi circonvicini a Patti.
L'economia legata all'edilizia, a
dire il vero, crebbe molto. In ogni dove, incentivati dal facile accesso a
forme contributive a sostegno della ricostruzione che consentivano di
recuperare quasi totalmente i costi, si smantellavano le vecchie abitazioni gettando, ad ogni piè sospinto, pilastri
in cemento armato e solette. I paisi
divennero grandi cantieri a cielo aperto con muletti a motore che rombavano in contrapennina per carriare, in ogni dove, malta cementizia appena impastata ed altro
materiale edile.
Minch .. ch’era bello, so per certo
che qualcuno presentò progetti per una cubatura quasi doppia rispetto a quella
reale, d'altronde in Sicilia siamo, e data la scarsità, ci dobbiamo arrangiare.
Il lavoro non mancò per tanti e
questo era sicuramente un aspetto positivo, ma come spesso accade, nessuno si
occupava di misurare i guasti, la sola frenesia del nuovo a basso prezzo
ubriacava, ammorbava l'aria.
Scomparvero, infatti, non
considerati come elementi di pregio architettonico o elementi irripetibili
riferibili a maestranze locali: stipiti, portali in pietra locale, mensole di
balconi, portoni d'ingresso, ringhiere, chiavi di volta, pietrame
riutilizzabile e quant'altro aveva sapore di vecchio.
Mentre in altre regioni, come
l'Umbria e la Toscana, si costruivano le fortune turistiche dei luoghi
sull'appeal emanato dalla storicità e riconoscibilità dei luoghi e dei borghi,
quì il concetto ancora non passava la stretta cruna dell'ago della ragionevolezza.
Usciti dalla miseria,
insensatamente, si distruggeva solo perché il nuovo veniva avvertito come bello
e moderno. Atteggiamento scellerato che negli anni sessanta in Italia ha
interessato anche il mobilio, dato per certo che vecchi mobili in legno massello venivano con sistematicità
sostituiti con più moderni elementi in ottimo, pregiato, truciolato.
C'è un modo e ci sarebbe stato anche
allora più ragionato. Più consono, più rispettoso.
Non bagghiulati di cemento a
tinchitè per fare inutili casermoni oggi disabitati e prossimi alla rovina
per incuria e disinteresse, ma puntando alla salvaguardia ed al rispetto degli
elementi decorativi caratterizzanti. Ahinoi, maliditti i picciuli e pure l'ignoranza, non fu così, tanto cappiddazzu pagava tutto.. .
Anche sui Nebrodi, in sostanza, il
terremoto si ripetette due volte come era accaduto nel 1908 per Messina.
In quel caso il generale Francesco
Mazza cui si può accostare il detto popolare “non capisce una mazza”, nominato
Comandante della Unità di coordinamento dei soccorsi qualche giorno dopo il
terremoto, si rivelò ben presto gravemente inadatto al suo ruolo. Sembra
incredibile ma, invece di adoperarsi per le sorti dei suoi simili, si
interessava piuttosto ai menù di bordo ed arrivò al punto di ordinare che ben
due pasticceri accorressero al suo servizio, uno da Napoli e l'altro da
Palermo. La sua comfortevolissima nave Duca
di Genoa, attraccata proprio di fronte ai luoghi della tragedia, era
divenuta un mondano quartier generale dove ogni sera si tenevano feste per gli
alti ranghi militari e civili. Insomma, un ottuso militare incaricato da
Vittorio Emanuele III°, che cannoneggiò ogni palazzo o chiesa rimasti indenni
dal sisma, radendo al suolo anche l'identità e la voglia di riconoscersi di un
popolo.
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