giovedì 14 aprile 2016

LA PATRONA DI MESSINA * Luigi Pinzone *

LA PATRONA DI MESSINA
* Luigi Pinzone *

La festa della Madonna della Lettera a Messina trae il proprio fondamento da una lettera che la Madonna avrebbe spedito ai messinesi per il tramite di San Paolo nel 42 d.C., per la precisione il 3 Giugno 42 da Gerusalemme, con la quale la stessa benediceva la Città e i Cittadini. Nel XV secolo Costantino Lascaris tradusse detta lettera e la sintetizzò in latino con la scritta che compare sul basamento della statua della Madonna all'ingresso del porto di Messina VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS (Benediciamo voi e tutta la città) Il 3 Giugno di ogni anno a Messina fin dai tempi remoti si celebra in pompa magna la Festa della Patrona, si porta in processione una statua d'argento della Madonna e una teca che contiene i capelli di Maria, serviti come vuole la leggenda a chiudere la pergamena. Molti messinesi vengono chiamati, o meglio venivano chiamati, Letterio e Letteria, e vezzeggiati in Lillo e Lilla o Lilly proprio in onore della Patrona della Città. Quanto al fondamento storico, non vi è alcuna prova che tale lettera sia stata scritta, né ancor meno che sia stata chiusa legandola con una ciocca di capelli di Maria. Nel seicento in Sicilia vi furono lotte acerrime tra Palermo, Messina e in minor parte Catania per il ruolo di capitale del Regno (specialmente tra le prime due). Così i palermitani e i catanesi denunciavano la falsità della lettera (e dei capelli) della Madonna, come i messinesi denunciavano la falsità delle ossa ritrovate sul monte Pellegrino e attribuite a Santa Rosalia a Palermo e la falsità del Velo di Sant'Agata a Catania e tutte le occasioni erano buone per scatenare risse e violenze di ogni genere. Dette rivalità venivano favorite naturalmente dagli spagnoli che avevano tutto l'interesse a vedere divise le città, onde poter esercitare il loro potere più agevolmente. Erano lotte intestine veramente sentite se si pensa che Palermo onde pareggiare la potenza della madre di Gesù Cristo arrivò ad attribuirsi quattro Sante Patrone ed esattamente Sant'Agata condivisa con Catania, Santa Oliva, Santa Cristina e e Santa Ninfa. Ed a tali lotte non si sottraevano neanche i Santi, che, ad esempio, nel caso non  esaudissero, le preghiere volte a far piovere, in alcuni casi venivano messi a mollo in riva al mare fino al momento in cui non fosse venuta giù la pioggia. Epiche le risse a Randazzo tra i devoti di due Santi le cui processioni si incrociavano ed ogni volta erano botte da orbi tra i due schieramenti. Meno famose ma storicamente accertate quelle svoltesi a Ucria, e riportate  in un libercolo di un frate anonimo riportato alla luce  dal grande  Giuseppe Pitrè dagli scaffali di una Biblioteca di Palermo.
Orbene, in questo clima, nel 1645 si  celebrava a Messina la festa della della Madonna della Lettera. Tutti schierati con in testa i suonatori di tamburo con elmo e sopravveste di foggia militaresca, i componenti le confraternite, le verginelle, i monasteri, i conventi, il Capitolato del Duomo, i Vescovi, l'Arcivescovo, il Gran Capo della Santa Inquisizione Monsignor Diego Trasmera appositamente giunto da Palermo e il Senato della Città di Messina Tutti con in mano le torce o le candele e disposti su due file con in testa i gonfaloni e la Croce, attraversavano i viali di Messina nelle vicinanze del Duomo, anch'essi illuminati a giorno con luminarie, candele e giochi pirici.
Improvvisamente, uno degli addetti alla raccolta della cera (massari di chiesa) che colava dalle candele e dalle torce si avvicinò a un gruppo di confrati indicando un balcone che non era illuminato. “Sarà sicuramente un palermitano che vuole fare sfregio alla Madonna! Guardate persino........!!!!!” La processione rallentò, sbandò, si arrestò, e una moltitudine di confrati inferociti si diresse verso la casa in questione. Venne divelta la  porta di ingresso, malmenati i servitori e svegliato il padrone che cadde dalle nuvole. “Ah furfante, tu sei un palermitano e vuoi fare questo affronto alla Madonna e a noi messinesi. Sei un eretico e meriti di essere impiccato” E giù botte da orbi. “Non solo non hai acceso le luminarie, ma hai esposto in bella vista sul tuo balcone quell'oggetto”. Nel frattempo  giunse l'Inquisitore “Questo è un affronto alla Madonna della Lettera ed è un reato di competenza del Santo Uffizio. Come Vi siete permesso? Siete un eretico”.
Il poveretto, pestato dai messinesi inferociti e in preda ai dolori dovuti alla sua malattia, si difendeva. “ Intanto non sono un palermitano, sono di Siracusa, e siccome soffro di costipazione, non volendo inquinare l'aria nella camera da letto ho fatto deporre l'urna sul balcone dai servi, ho dimenticato di riportarlo in casa, non ricordando che a Messina oggi c'era la Festa della Patrona”. L'Inquisitore capì l'antifona, gli scappava da ridere ma dovette rimanere serio, e per sottrarre il malcapitato alla furia omicida della folla lo fece trasportare dalle guardie alle Prigioni da dove di notte lo liberò non senza avergli fatto una sonora ramanzina.
E fu così che, per un vaso da notte dimenticato su un balcone, per poco non ci fu una tragedia.
La morale di questa storiella fu che, come al solito, chi ci rimise le penne più di tutti gli altri furono i servi che erano stati malmenati, pestati e presentavano fratture in tutto il corpo
Carpi di Modena, lì 30.03.2016
BIBLIOGRAFIA
1)                 Luigi Natoli (William Galt) “L'urna dimenticata” in Storie e Leggende di Sicilia Vol. 3 - con prefazione del prof. Aurelio Rigoli – S.F. Flaccovio, Editore-Palermo 1985.







                                                    


                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

                                                                                            

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