LA
PATRONA DI MESSINA
* Luigi Pinzone *
La festa della Madonna della
Lettera a Messina trae il proprio fondamento da una lettera che la Madonna
avrebbe spedito ai messinesi per il tramite di San Paolo nel 42 d.C., per la
precisione il 3 Giugno 42 da Gerusalemme, con la quale la stessa benediceva la
Città e i Cittadini. Nel XV secolo Costantino Lascaris tradusse detta lettera e
la sintetizzò in latino con la scritta che compare sul basamento della statua
della Madonna all'ingresso del porto di Messina VOS ET IPSAM CIVITATEM
BENEDICIMUS (Benediciamo voi e tutta la città) Il 3 Giugno di ogni anno a
Messina fin dai tempi remoti si celebra in pompa magna la Festa della Patrona,
si porta in processione una statua d'argento della Madonna e una teca che
contiene i capelli di Maria, serviti come vuole la leggenda a chiudere la
pergamena. Molti messinesi vengono chiamati, o meglio venivano chiamati,
Letterio e Letteria, e vezzeggiati in Lillo e Lilla o Lilly proprio in onore
della Patrona della Città. Quanto al fondamento storico, non vi è alcuna prova
che tale lettera sia stata scritta, né ancor meno che sia stata chiusa
legandola con una ciocca di capelli di Maria. Nel seicento in Sicilia vi furono
lotte acerrime tra Palermo, Messina e in minor parte Catania per il ruolo di
capitale del Regno (specialmente tra le prime due). Così i palermitani e i
catanesi denunciavano la falsità della lettera (e dei capelli) della Madonna,
come i messinesi denunciavano la falsità delle ossa ritrovate sul monte
Pellegrino e attribuite a Santa Rosalia a Palermo e la falsità del Velo di
Sant'Agata a Catania e tutte le occasioni erano buone per scatenare risse e
violenze di ogni genere. Dette rivalità venivano favorite naturalmente dagli
spagnoli che avevano tutto l'interesse a vedere divise le città, onde poter
esercitare il loro potere più agevolmente. Erano lotte intestine veramente
sentite se si pensa che Palermo onde pareggiare la potenza della madre di Gesù
Cristo arrivò ad attribuirsi quattro Sante Patrone ed esattamente Sant'Agata condivisa
con Catania, Santa Oliva, Santa Cristina e e Santa Ninfa. Ed a tali lotte non
si sottraevano neanche i Santi, che, ad esempio, nel caso non esaudissero, le preghiere volte a far
piovere, in alcuni casi venivano messi a mollo in riva al mare fino al momento
in cui non fosse venuta giù la pioggia. Epiche le risse a Randazzo tra i devoti
di due Santi le cui processioni si incrociavano ed ogni volta erano botte da
orbi tra i due schieramenti. Meno famose ma storicamente accertate quelle
svoltesi a Ucria, e riportate in un
libercolo di un frate anonimo riportato alla luce dal grande
Giuseppe Pitrè dagli scaffali di una Biblioteca di Palermo.
Orbene, in questo clima, nel
1645 si celebrava a Messina la festa
della della Madonna della Lettera. Tutti schierati con in testa i suonatori di
tamburo con elmo e sopravveste di foggia militaresca, i componenti le
confraternite, le verginelle, i monasteri, i conventi, il Capitolato del Duomo,
i Vescovi, l'Arcivescovo, il Gran Capo della Santa Inquisizione Monsignor Diego
Trasmera appositamente giunto da Palermo e il Senato della Città di Messina
Tutti con in mano le torce o le candele e disposti su due file con in testa i
gonfaloni e la Croce, attraversavano i viali di Messina nelle vicinanze del
Duomo, anch'essi illuminati a giorno con luminarie, candele e giochi pirici.
Improvvisamente, uno degli
addetti alla raccolta della cera (massari di chiesa) che colava dalle candele e
dalle torce si avvicinò a un gruppo di confrati indicando un balcone che non
era illuminato. “Sarà sicuramente un palermitano che vuole fare sfregio alla
Madonna! Guardate persino........!!!!!” La processione rallentò, sbandò, si
arrestò, e una moltitudine di confrati inferociti si diresse verso la casa in
questione. Venne divelta la porta di
ingresso, malmenati i servitori e svegliato il padrone che cadde dalle nuvole.
“Ah furfante, tu sei un palermitano e vuoi fare questo affronto alla Madonna e
a noi messinesi. Sei un eretico e meriti di essere impiccato” E giù botte da
orbi. “Non solo non hai acceso le luminarie, ma hai esposto in bella vista sul
tuo balcone quell'oggetto”. Nel frattempo
giunse l'Inquisitore “Questo è un affronto alla Madonna della Lettera ed
è un reato di competenza del Santo Uffizio. Come Vi siete permesso? Siete un eretico”.
Il poveretto, pestato dai
messinesi inferociti e in preda ai dolori dovuti alla sua malattia, si
difendeva. “ Intanto non sono un palermitano, sono di Siracusa, e siccome
soffro di costipazione, non volendo inquinare l'aria nella camera da letto ho
fatto deporre l'urna sul balcone dai servi, ho dimenticato di riportarlo in
casa, non ricordando che a Messina oggi c'era la Festa della Patrona”.
L'Inquisitore capì l'antifona, gli scappava da ridere ma dovette rimanere
serio, e per sottrarre il malcapitato alla furia omicida della folla lo fece
trasportare dalle guardie alle Prigioni da dove di notte lo liberò non senza
avergli fatto una sonora ramanzina.
E fu così che, per un vaso da
notte dimenticato su un balcone, per poco non ci fu una tragedia.
La morale di questa storiella
fu che, come al solito, chi ci rimise le penne più di tutti gli altri furono i
servi che erano stati malmenati, pestati e presentavano fratture in tutto il
corpo
Carpi
di Modena, lì 30.03.2016
BIBLIOGRAFIA
1)
Luigi Natoli (William Galt) “L'urna dimenticata”
in Storie e Leggende di Sicilia Vol. 3 - con prefazione del prof. Aurelio
Rigoli – S.F. Flaccovio, Editore-Palermo 1985.
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