La Cruna dell’Ago - n. 3 - Marzo - Anno 2016
martedì 15 marzo 2016
Quale futuro * Giovanni Rigoli *
Quale futuro
* Giovanni Rigoli *
La vita è antica
quanto il mondo.
Io non so dirti
quanta strada ormai
sia stata fatta,
ma oggi è specchio
di quello che sei.
Arrivi da lontano
e dove andrai
tu non lo sai.
Se credi d’aver sbagliato
puoi ricominciare e diventare
l’uomo del futuro:
-ma proprio qui è il problema-
quale futuro vuoi?
Dimmelo!
Se vuoi il futuro d’una società più bella,
dai, spingi verso Dio su quella stella,
là c’è fraternità senza menzogna,
là c’è l’amore che non trovi ancora,
e quando arriverai lo capirai
se d’armonia ti riempirai.
Su, non lamentarti
ma agisci di buon cuore e proverai
la gioia che desideri e non hai!
MIO PADRE, CHE HA DATO DIECI ANNI DELLA SUA VITA ALLA PATRIA, NON ERA FASCISTA * Achille Baratta *
MIO PADRE, CHE HA DATO DIECI ANNI DELLA SUA
VITA ALLA PATRIA, NON ERA FASCISTA
* Achille
Baratta *
Maria Scalisi, dimentica qualche volta
di essere ingegnere e con la sua grazia e il suo entusiasmo ci obbliga a
scavare nella nostra memoria e a approntare le nostre vicende di paese a quello
che succedeva altrove.
Mio padre
è stato prigioniero degli americani per un intero anno ad Orazzo, in Africa e mia madre con mia
sorella ha trascorso un intero inverno da sola a Pirrione.
Io
frequentavo il primo ginnasio a Catania, ospite di mia zia Elvira al Leonardo da Vinci,
dei fratelli cristiani.
Che cosa
strana,
questi ricordi assopiti ora vanno stranamente accostati a quelli di altri e ai
loro scritti in situazioni molto diverse e soprattutto in realtà di privilegio
come il quartiere Monte Mario a Roma.
Mio padre
non era fascista e considerava il Colosseo quadrato, una deformazione
dell’architettura voluta da Piacentini per evocare un’epoca e una fattezza che
fu dei nostri antichi romani per ordine del Dux.
Io, da
figlio della lupa,
non capivo bene che cosa significasse essere antifascista, ma capivo che tutto
questo era una remora per un ingegnere, come mio padre, libero professionista
che era parente dell’ing. Saro Scaglione Federale di Messina, dell’On. Guido
Natoli e dell’avvocato Pettini e del dott. Giuseppe Catalano, fascisti di
razza.
Nella
piccola Messina
non essere fascista significava essere messi al bando per gli incarichi
professionali, che non arrivarono mai dalla politica, ma solo per capacità
progettuale dalla società Pace, dalla Ferrobeton e da quasi tutti gli
imprenditori che dovevano calcolare le strutture dei loro edifici, dei loro
cinema, dei serbatoi e anche dei ponti. Ora, per Strade Blu di Mondadori,
Pierluigi Battista pubblica “Mio padre era fascista”; non è una affermazione ma
semplicemente una constatazione a posteriori. Che cosa significa essere fascista
per un antifascista e se proprio l’antifascista è il figlio che ha militato in
altre file, anche con aspetti estremi? Che succede? Succede quello che
Pierluigi Battista col suo saper scrivere ci comunica, ricordando la sua
gioventù vissuta a Monte Mario, il quartiere ricco di Roma:
“Menzogna dettata
dall’opportunismo, dalla convenienza, dal cinismo carrierista?
Oppure un incommensurabile senso di vergogna, il peso schiacciante di un
passato intollerabile, la sensazione che il fantasma di quel padre rinnegato,
cancellato, sparito quando lei aveva appena quindici anni; inghiottito
dall’oblio e fatto oggetto della riprovazione universale pur senza essersi
macchiato di particolari turpitudini, potesse alla fine distruggere lei e tutto
quello che lei aveva costruito contando solo su se stessa, nascondendo il
fascismo del padre ‘desaparecido’? Fatto
sta che Hélène Carrère d’Encausse, stella del firmamento culturale francese,
presenza di prestigio nell’establishment accademico di Parigi, avrebbe voluto
morire senza che quel segreto fosse infranto e perciò aveva supplicato suo
figlio scrittore di non farne parola finché lei fosse stata in vita. Ma
Emmanuel Carrère ha rotto la consegna del silenzio. Perché, nel racconto di sé
e del suo mondo, Carrère è uno scrittore che notoriamente non conosce il
pudore. Ma soprattutto perché parlare del «nonno fascista» anziché del «padre
fascista» non è un impegno sovrastato dallo stesso carico di angoscia,
costringe assai meno a fare i conti con se stessi. È molto più facile. Lui, il
nipote e non il figlio, non è mai sceso nelle catacombe di una memoria
socialmente indicibile”.
Memoria,
ma quale memoria? Gli
italiani non hanno memoria e non vogliono ricordare. Lui ci riferisce della sua
colpa di figlio:
“Ne diffidavo, non capivo perché mio padre si ostinasse a mantenere
rapporti tanto camerateschi con loro, con persone così diverse da lui. Capivo
il legame sentimentale con i suoi coetanei della Repubblica sociale, ma con i
miei, di coetanei?”.
Sono sicuro che il libro avrà successo,
perché è una realtà attuale e politicamente corretta. Io stesso sono corso in
libreria, e con successo, diventando il primo acquirente, il pacco che lo
conteneva era appena arrivato a Messina, da Mondadori; ma non lo condivido,
perché scrivere di un fascismo reatroattivo, non è possibile, probabilmente per
non essermi staccato mai dalle idee di mio padre, antifascista e perché la
politica deve essere un coacervo di idee e non può imporre né un’architettura
né un pensiero assolutistico.
Sudare
sangue non è corretto, è contro natura e non può servir una giustificazione
sommaria e non può essere contestualizzata:
“«I fanatici ci sono da tutte le parti» era la risposta che mi faceva infuriare di più. Lui invitava
a «contestualizzare», termine che mi risulta sempre orribile, anche quando
molto, troppo spesso, viene usato a sinistra per giustificare le atrocità
compiute in nome di (presunti) nobili ideali e poi, a furia di
giustificazionismi, si finisce per aspettare decenni prima che qualcuno si
accorga delle proprie colpe e si chiuda finalmente la stagione dell’omertà
autoindulgente. Ma pronunciato da mio padre, quel termine,
«contestualizzare» mi appariva se possibile ancora più falso e ipocrita”.
Mai
plasmare i figli,
loro andranno da un’altra parte. Mai plasmare un popolo, prima o poi ti
seppellirà. E piazza Loreto è ancora lì.
La storia
non è un invecchiare e noi con Pierluigi Battista ne prendiamo atto, con rammarico.
Non si può omettere l’indimenticabile e i morti, i bombardamenti, la disfatta.
L’affettuosità
e i rapporti umani non
possono mitigare la durezza e l’atrocità di una politica, apparentemente
vincente, quando tutto è diventato un viaggio all’incontrario, una sceneggiata
con fine tragico. Mio padre, tra prigionia e due richiami, ha dato alla Patria
dieci anni della sua vita e la nostra famiglia non ha mai comprato macchine
argentate, ma possedeva solo un asinello sardignolo che scalciava e mordeva,
importato dalla Somalia o dalla Tunisia, senza frontiere.
Dei
gerarchi solo un’ombra, un niente, tutti dissolti, o semplicemente con altra
camicia, quella nera rediviva solo per i funerali.
Pierluigi Battista riflette e scrive:
“Un pianto interminabile, ore e ore senza pace, sgomento, esterrefatto per quel
precipitar in un gorgo per me ignoto”.
Il principio
di equità è sacro, ecco
perché io scrivo anche di mio padre, senza dimenticare mia madre che era
fascista; ma la pubblicazione di un libro non può mai occupare la prima pagina
di un giornale storico: le violazioni di ineguaglianza sono sopraffazioni
culturali, da qualsiasi parte vengano, in ogni caso sono crude e amare.
Tutto si è
rotto?
O semplicemente riassemblato con i cocci appiccicati l’uno all’altro con la
saliva. Ma, soprattutto, mai in ginocchio chiederò venia, perché la venia deve
essere espressa tra pari e mettersi in ginocchio con Pierluigi non mi piace,
preferisco restare in piedi e con i piedi per terra. A ognuno il proprio credo,
senza colpe e senza rancori. Questa è la libertà di mio padre e pure la mia e
ne sono orgoglioso!
Se la barca
vacillasse, so
dove attaccarmi e anche i miei nipoti lo sanno. Chi fa il giornalista lo deve
sapere bene e il Colosseo non può mai trasformarsi in quadrato. Gli spigoli
pungono e le linee rette non possono mescolarsi con le curve. Un nuovo che non
è nuovo ma solo aggiustamento del vecchio, non mi piace.
E noi non
vogliamo confrontarci con il vecchio, perché il vecchio è caduco ed emana cattivi
odori, che fanno male alla salute.
Ognuno dà
quello che ha!
Per questo ringraziamo chi ha la forza e la volontà di renderlo pubblico
aprendo un dibattito, e questo è il mio apporto. In una testata che nel nostro
piccolo ci onora. Non ci interessano i cupi tramonti ma solo le aurore e le
albe.
I nuovi
orizzonti ci affascinano ogni giorno perché anche con le parole i cerchi non si
trasformino in quadrati o quadrilateri quelli sempre pericolosi, è questo
quello che l’autore vuol comunicare con la sua arguzia giornalistica di lungo
corso, non lo so? Ma un po’ d’aria di bruciato c’è speriamo che non
solidifichi. Di gerarchi non ne vogliamo più! Neanche a parole mozze.
Mia madre
Ida a Pirrione non
è stata sola, non avrebbe potuto sopravvivere, senza il calore umano della
famiglia di Calogero Pinzone a cui vanno oggi i miei ringraziamenti, senza
dimenticare donna Fortunata.
LO SPEZIALE E LO STUDENTE, OVVERO I FATTI AVVENUTI AD UCRIA IL 13 AGOSTO 1943 *Luigi Pinzone *
“ Tutti
i libri storici
che non contengono menzogne
sono
mortalmente noiosi”.
(Anatole France)
LO
SPEZIALE E LO STUDENTE, OVVERO I FATTI AVVENUTI AD UCRIA IL 13 AGOSTO 1943
*Luigi
Pinzone *
10 Luglio
1943. Alle prime luci
dell'alba gli Alleati, sbarcavano in Sicilia, più precisamente la 8.a Armata
inglese comandata dal generale Sir Bernard L. Montgomery a sud di Siracusa e la
7.a Armata americana comandata dal generale George S. Patton jr. a Gela, Licata
e Scoglitti. Gli americani pare fossero guidati, secondo alcune fonti, da Lucky
Luciano, al secolo Salvatore Lucania, originario di Lercara Friddi, un paesino
in provincia di Palermo, il boss dei boss di Cosa Nostra, che, pare, abbia
fornito un dettagliato apporto logistico con mappe, appoggi locali e quant'altro,
ottenendo in cambio una riduzione di pena e il rimpatrio in Italia. Inglesi ed
americani si divisero e, mentre i primi si dirigevano verso Catania e Messina,
e quindi a Nord, i secondi si dirigevano verso Ovest, ossia Palermo e quindi a
Est verso Messina, nel tentativo di stringere a tenaglia i tedeschi e gli
italiani. Gli accordi prevedevano che a Messina dovesse entrare per primo
Montgomery con i suoi Inglesi, ma Patton non ci stava. Reduce dalla brutta figura
a Kesserine in Tunisia, dove aveva subito notevoli sconfitte dai tedeschi,
Patton, che ambiva al Comando in Europa delle Forze Americane, bruciò le tappe
e a Messina arrivò per primo lui. Affacciatosi sullo stretto, in località
Ganzirri, potè assistere al fenomeno della Fata Morgana per primo. Ma il
fenomeno della Fata Morgana è una illusione ottica, come pia illusione fu il
comando in Europa, conferito, come dice la Storia, al generale Omar N. Bradley.
Non si vuole entrare nel merito, ma le più recenti testimonianze di prigionieri
italiani che si erano arresi descrivono Patton come un uomo dal carattere e
dalla moralità quanto meno discutibili. Pare che ordinò la fucilazione di
soldati che si erano arresi perchè non aveva tempo da dedicare ai prigionieri,
che avrebbero ritardato la sua avanzata.
L'episodio più sconcertante si verificò in un
ospedale da campo dove schiaffeggiò violentemente un soldato americano che
aveva “marcato visita” perchè afflitto da violenti attacchi nervosi causati dai
bombardamenti, dandogli del vigliacco e ordinandogli di tornare immediatamente
al fronte, pena la fucilazione. Questo episodio gli costò, oltre l'immediato
rimbrotto di Eisenower, il posto di Comandante supremo delle Forze Americane in
Europa, affidato al Generale Bradley, ed anche il futuro in politica, dove per
la sua enorme popolarità avrebbe avuto ottime chances di candidarsi ed essere
eletto Presidente degli U.S.A. Dall'altro lato della barricata vi era la XIV
Divisione Corazzata Tedesca comandata del Generale Hans Valentin Huge e i Resti
della Divisione Aosta e della Divisione Assietta Italiane comandate dal
Generale Alfredo Guzzoni. I tedeschi e gli italiani tennero duramente impegnati
gli inglesi a Catania nella “Posizione Etna” e gli Americani a Traina, poi i
tedeschi decisero di abbandonare la Sicilia per rinforzare altri fronti e
cominciarono a ritirarsi. Ad Ucria il giorno 12 Agosto sembrava una festa con
sparo di mortaretti, era invece la dinamite che veniva usata per far saltare i
ponti di Regiricorica, Petra sulla statale 116 e Ragale sulla Strada Provinciale
per Patti. I tedeschi, accampati a “Praculla” lasciavano Ucria in direzione
Patti, facendo dietro di se terra bruciata per impedire agli americani che
venivano dal mare e da Randazzo, di raggiungerli e riuscirono a fuggire in
Calabria, imbarcandosi da Messina un giorno prima che arrivassero gli
inseguitori. In pratica in 38 giorni fu conquistata la Sicilia. La situazione politica dell'isola era
dormiente o clandestina, dato il divieto imposto dal Regime. A Patti, due
avvocati, Lo Monaco e Niosi, ed un Giudice, Furitano si azzardarono a fare
stampare un appello ai cittadini perchè si preparassero ad accogliere
degnamente gli alleati portatori della libertà, ma, scoperti, furono arrestati
e spediti al confino a Mormanno e a Padula.
A Ucria invece, un paesino isolato tra le
montagne, uno Speziale, ex
Podestà, che evidentemente aveva cambiato idea politica sol che si legga il suo
discorso inneggiante al Duce, al momento della costituzione dei Fasci in Ucria
l'11 Novembre 1923, ed un Giovane Studente, avevano fondato il Comitato della
Libertà, di cui lo Speziale era stato nominato Presidente Onorario e tenevano
riunione nel retrobottega della farmacia sita nel punto ove un tempo c'era la
Fontana di Porta Terra. Assiduo frequentatore di dette riunioni era anche
l'Arciprete, che, quando si accorse che dalle parole si stava passando ai
fatti, si dileguò mettendo in guardia i Reali Carabinieri che c'erano delle
beghe private tra lo Speziale e il Podestà, un ricchissimo proprietario
terriero originario di Tortorici ma con moglie di Ucria. La mattina del 13
Agosto, quest'ultimo, per evitare ritorsioni, si rifugiò in un feudo di sua
proprietà e per quindici giorni non si fece vedere. Quella stessa mattina, lo Speziale
si aggirava in Piazza con la coccarda tricolore della Croce Rossa
all'occhiello. La Casa del Fascio era di Fronte alla Farmacia e in mezzo c'era
la strada sterrata con la conseguenza che i braccianti e i pensionati seduti
davanti alla Casa del Fascio sembravano delle mummie, bianchi per la polvere
che il vento di scirocco faceva levare. Sul pulpito di fronte al Casino dei
Nobili (ora dei Civili), sopra la macelleria del Caliaro, il Giovane Studente
con un revolver in mano incitava la folla ad accogliere gli americani,
portatori della libertà, con calore. Si urlava “Abbasso il Podestà”, “Viva la
libertà” “Vogliamo il nuovo Sindaco”. Finita l'arringa del Giovane si vide
Antonio Moratti salire sul terrazzo della Casa del Fascio, con in mano il busto
in vetro del Duce, che gettò nella strada mandandolo in frantumi. Gli animi
erano esacerbati. Alcuni braccianti provenienti dal vicino paese di Floresta
riferivano che era stato bruciato il Municipio. Gli Americani arrivarono il
pomeriggio del 13 Agosto.
Rivolsero dal balcone del Municipio un
discorso alla folla, indi lasciarono Ucria senza mutare alcunchè delle
strutture amministrative. Al che la folla salì per le scale del Municipio
allontanando violentemente i Reali Carabinieri al grido di “Nuovo Re, Nuova
Legge!”, prelevò tutti i Registri Anagrafici e diede fuoco agli stessi. Lo
Speziale e il Giovane Studente si prodigarono a cercare di impedire,
inascoltati, tale scempio, tenendosi a stretto contatto con i Carabinieri a
cercare di spegnere il falò e a portare in salvo qualche Registro nella vicina
bottega di donna Signorina e nella Farmacia. Poi fu la volta del Magazzino dove
l'Ammassatore Comunale custodiva la riserva di grano del paese. Quattordici
quintali di grano vennero distribuiti alla folla tumultuante. Subito dopo venne
assaltata la calzoleria / tabaccheria di certo Calogero Casella al quale
vennero rubate le scarpe proprie e quelle dei clienti, i ferri del mestiere
oltre a tutto il tabacco e le sigarette. Indi fu la volta della casa del Vice Podestà
e del Segretario Comunale, depredate di generi alimentari, ogni ben di Dio,
scarpe, vestiti e gioielli. Si ripeteva quanto era avvenuto nel 1646, la
rivolta contro l'Alcade Spagnolo, e quanto era avvenuto il 31 Marzo 1899, la
C.d. “Sciarra 'i Pasqua” - la lite di Pasqua, confermando l'animosità degli
ucriesi quando venivano oppressi. Da notare come la casa del Podestà venne
risparmiata dalla furia devastante dei rivoltosi.
Passata la
tempesta la notte provvide a calmare gli animi. La
mattina, quasi nulla fosse successo, i braccianti tornarono al lavoro di ronca
dei noccioleti, i pensionati ripresero il loro posto di mummie davanti alla ex
casa del Fascio, i Nobili e i Civili ripresero il loro posto di mummie davanti
al Casino, il Giovane insediato sindaco dal popolo iniziò i suoi lavori
perdurante l'assenza del Podestà, i Reali Carabinieri iniziarono le loro
indagini. La conclusione fu che lo Speziale e il Giovane Studente furono
rinviati a giudizio, come istigatori, e una trentina di persone per devastazione
e saccheggio, ma i reati quando si giunse al dibattimento (nel 1949) erano
prescritti o amnistiati.
Così si
conclude il viaggio nella macchina del tempo
in
una assolata Ucria dell'Agosto 1943, e mi allontano dal mio pc con la
sensazione di essere anch'io bianco di polvere come le mummie nella piazza
Padre Bernardino.
EPILOGO
Mi sembra di poter dire che le
persone che presero parte
alla devastazione e al saccheggio, non rappresentavano assolutamente la
totalità della popolazione di Ucria, ma, si trattava evidentemente di una
frangia di esaltati che erano probabilmente spinti dal loro tornaconto
personale, politico o materiale. E la prova provata di quanto da me ipotizzato sta
nel fatto che al Referendum del 2 Giugno 1946, gli Ucriesi, votando in 1010 per
la Monarchia e 761 per la Repubblica, preferivano tenersi il Vecchio Ordine e
la Vecchia Legge.
POSTFAZIONE
Gran parte di
quanto sopra scritto è riportato da un memoriale che da ragazzino ho ritrovato in una vecchia
casa comperata da mio padre e poi demolita in cui un anonimo cronista del fatti
narrava della rivolta del 13 Agosto 1943, omettendo, purtroppo, di fare i nomi
sia dei fomentatori della rivolta sia della manovalanza che si diede al
saccheggio ed alla devastazione.
Carpi
di Modena, lì 27.02.2016
LUIGI
PINZONE
Bibliografia
Giovanni Sardo Infirri, La guerra dei Nebrodi,
Patti 1998
Giuseppe Alibrandi Lo sbarco degli alleati e la
rivolta popolare del 1943 a Ucria in Atti del Convegno di Studi sulla Storia
dei Nebrodi (Ficarra 16-17 Dicembre 1989) in Storia dei Nebrodi - 2 a cura di
Pasquale Biscuso - Pungitopo Editrice
1991
Carmelo Rigoli Ucria La città di Monte Castello
in Valdemone Seconda Edizione - 1994
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