martedì 15 marzo 2016

MIO PADRE, CHE HA DATO DIECI ANNI DELLA SUA VITA ALLA PATRIA, NON ERA FASCISTA * Achille Baratta *

MIO PADRE, CHE HA DATO DIECI ANNI DELLA SUA VITA ALLA PATRIA, NON ERA FASCISTA
* Achille Baratta *
Maria Scalisi, dimentica qualche volta di essere ingegnere e con la sua grazia e il suo entusiasmo ci obbliga a scavare nella nostra memoria e a approntare le nostre vicende di paese a quello che succedeva altrove.
Mio padre è stato prigioniero degli americani per un intero anno ad Orazzo, in Africa e mia madre con mia sorella ha trascorso un intero inverno da sola a Pirrione.
Io frequentavo il primo ginnasio a Catania, ospite di mia zia Elvira al Leonardo da Vinci, dei fratelli cristiani.
Che cosa strana, questi ricordi assopiti ora vanno stranamente accostati a quelli di altri e ai loro scritti in situazioni molto diverse e soprattutto in realtà di privilegio come il quartiere Monte Mario a Roma.
Mio padre non era fascista e considerava il Colosseo quadrato, una deformazione dell’architettura voluta da Piacentini per evocare un’epoca e una fattezza che fu dei nostri antichi romani per ordine del Dux.
Io, da figlio della lupa, non capivo bene che cosa significasse essere antifascista, ma capivo che tutto questo era una remora per un ingegnere, come mio padre, libero professionista che era parente dell’ing. Saro Scaglione Federale di Messina, dell’On. Guido Natoli e dell’avvocato Pettini e del dott. Giuseppe Catalano, fascisti di razza.
Nella piccola Messina non essere fascista significava essere messi al bando per gli incarichi professionali, che non arrivarono mai dalla politica, ma solo per capacità progettuale dalla società Pace, dalla Ferrobeton e da quasi tutti gli imprenditori che dovevano calcolare le strutture dei loro edifici, dei loro cinema, dei serbatoi e anche dei ponti. Ora, per Strade Blu di Mondadori, Pierluigi Battista pubblica “Mio padre era fascista”; non è una affermazione ma semplicemente una constatazione a posteriori. Che cosa significa essere fascista per un antifascista e se proprio l’antifascista è il figlio che ha militato in altre file, anche con aspetti estremi? Che succede? Succede quello che Pierluigi Battista col suo saper scrivere ci comunica, ricordando la sua gioventù vissuta a Monte Mario, il quartiere ricco di Roma:
“Menzogna dettata
dall’opportunismo,  dalla convenienza, dal cinismo carrierista? Oppure un incommensurabile senso di vergogna, il peso schiacciante di un passato intollerabile, la sensazione che il fantasma di quel padre rinnegato, cancellato, sparito quando lei aveva appena quindici anni; inghiottito dall’oblio e fatto oggetto della riprovazione universale pur senza essersi macchiato di particolari turpitudini, potesse alla fine distruggere lei e tutto quello che lei aveva costruito contando solo su se stessa, nascondendo il fascismo del padre ‘desaparecido’? Fatto sta che Hélène Carrère d’Encausse, stella del firmamento culturale francese, presenza di prestigio nell’establishment accademico di Parigi, avrebbe voluto morire senza che quel segreto fosse infranto e perciò aveva supplicato suo figlio scrittore di non farne parola finché lei fosse stata in vita. Ma Emmanuel Carrère ha rotto la consegna del silenzio. Perché, nel racconto di sé e del suo mondo, Carrère è uno scrittore che notoriamente non conosce il pudore. Ma soprattutto perché parlare del «nonno fascista» anziché del «padre fascista» non è un impegno sovrastato dallo stesso carico di angoscia, costringe assai meno a fare i conti con se stessi. È molto più facile. Lui, il nipote e non il figlio, non è mai sceso nelle catacombe di una memoria socialmente indicibile”.
Memoria, ma quale memoria? Gli italiani non hanno memoria e non vogliono ricordare. Lui ci riferisce della sua colpa di figlio:
“Ne diffidavo, non capivo perché mio padre si ostinasse a mantenere rapporti tanto camerateschi con loro, con persone così diverse da lui. Capivo il legame sentimentale con i suoi coetanei della Repubblica sociale, ma con i miei, di coetanei?”.
Sono sicuro che il libro avrà successo, perché è una realtà attuale e politicamente corretta. Io stesso sono corso in libreria, e con successo, diventando il primo acquirente, il pacco che lo conteneva era appena arrivato a Messina, da Mondadori; ma non lo condivido, perché scrivere di un fascismo reatroattivo, non è possibile, probabilmente per non essermi staccato mai dalle idee di mio padre, antifascista e perché la politica deve essere un coacervo di idee e non può imporre né un’architettura né un pensiero assolutistico.
Sudare sangue non è corretto, è contro natura e non può servir una giustificazione sommaria e non può essere contestualizzata:
“«I fanatici ci sono da tutte le parti» era la risposta che mi faceva infuriare di più. Lui invitava a «contestualizzare», termine che mi risulta sempre orribile, anche quando molto, troppo spesso, viene usato a sinistra per giustificare le atrocità compiute in nome di (presunti) nobili ideali e poi, a furia di giustificazionismi, si finisce per aspettare decenni prima che qualcuno si accorga delle proprie colpe e si chiuda finalmente la stagione dell’omertà autoindulgente. Ma pronunciato da mio padre, quel termine, «contestualizzare» mi appariva se possibile ancora più falso e ipocrita”.
Mai plasmare i figli, loro andranno da un’altra parte. Mai plasmare un popolo, prima o poi ti seppellirà. E piazza Loreto è ancora lì.
La storia non è un invecchiare e noi con Pierluigi Battista ne prendiamo atto, con rammarico. Non si può omettere l’indimenticabile e i morti, i bombardamenti, la disfatta.
L’affettuosità e i rapporti umani non possono mitigare la durezza e l’atrocità di una politica, apparentemente vincente, quando tutto è diventato un viaggio all’incontrario, una sceneggiata con fine tragico. Mio padre, tra prigionia e due richiami, ha dato alla Patria dieci anni della sua vita e la nostra famiglia non ha mai comprato macchine argentate, ma possedeva solo un asinello sardignolo che scalciava e mordeva, importato dalla Somalia o dalla Tunisia, senza frontiere.
Dei gerarchi solo un’ombra, un niente, tutti dissolti, o semplicemente con altra camicia, quella nera rediviva solo per i funerali.
Pierluigi Battista riflette e scrive:
“Un pianto interminabile, ore e ore senza pace, sgomento, esterrefatto per quel precipitar in un gorgo per me ignoto”.
Il principio di equità è sacro, ecco perché io scrivo anche di mio padre, senza dimenticare mia madre che era fascista; ma la pubblicazione di un libro non può mai occupare la prima pagina di un giornale storico: le violazioni di ineguaglianza sono sopraffazioni culturali, da qualsiasi parte vengano, in ogni caso sono crude e amare.
Tutto si è rotto? O semplicemente riassemblato con i cocci appiccicati l’uno all’altro con la saliva. Ma, soprattutto, mai in ginocchio chiederò venia, perché la venia deve essere espressa tra pari e mettersi in ginocchio con Pierluigi non mi piace, preferisco restare in piedi e con i piedi per terra. A ognuno il proprio credo, senza colpe e senza rancori. Questa è la libertà di mio padre e pure la mia e ne sono orgoglioso!
Se la barca vacillasse, so dove attaccarmi e anche i miei nipoti lo sanno. Chi fa il giornalista lo deve sapere bene e il Colosseo non può mai trasformarsi in quadrato. Gli spigoli pungono e le linee rette non possono mescolarsi con le curve. Un nuovo che non è nuovo ma solo aggiustamento del vecchio, non mi piace.
E noi non vogliamo confrontarci con il vecchio, perché il vecchio è caduco ed emana cattivi odori, che fanno male alla salute.
Ognuno dà quello che ha! Per questo ringraziamo chi ha la forza e la volontà di renderlo pubblico aprendo un dibattito, e questo è il mio apporto. In una testata che nel nostro piccolo ci onora. Non ci interessano i cupi tramonti ma solo le aurore e le albe.
I nuovi orizzonti ci affascinano ogni giorno perché anche con le parole i cerchi non si trasformino in quadrati o quadrilateri quelli sempre pericolosi, è questo quello che l’autore vuol comunicare con la sua arguzia giornalistica di lungo corso, non lo so? Ma un po’ d’aria di bruciato c’è speriamo che non solidifichi. Di gerarchi non ne vogliamo più! Neanche a parole mozze.

Mia madre Ida a Pirrione non è stata sola, non avrebbe potuto sopravvivere, senza il calore umano della famiglia di Calogero Pinzone a cui vanno oggi i miei ringraziamenti, senza dimenticare donna Fortunata.




Nessun commento:

Posta un commento