LA VILLEGGIATURA
Luigi Pinzone
Gli anni sessanta vengono ricordati con
nostalgia come quelli del miracolo economico. C'era una gran voglia di fare e di spendere, chiaramente nei limiti
delle proprie possibilità, e soprattutto a rate. Con la testa infarcita di
tutte le pubblicità che la Radio di
Stato ci propinava, ognuno cercava di fare le cose che prima non poteva
fare per mancanza di soldi. Ma di
soldi ce n'erano ancora pochi. Fu così
che gli ucriesi, non potendosi ancora permettere i villaggi turistici e gli
alberghi, le spiagge esotiche, per il vero neanche quelle locali, si ritiravano in villeggiatura in campagna
nel periodo estivo. Ed era l'occasione per raccogliere quel po' di nocciole che la terra offriva e la cui
vendita avrebbe consentito se non altro di pagare almeno l'imposta fondiaria, e
per rilassarsi un mesetto. Quella che vi voglio raccontare è la mia esperienza nell'eremo di Pracudda in
un'estate di fine anni cinquanta.
Tenuto conto che la mia famiglia era composta da
cinque persone, papà, mamma, Nino, io e Marcello e scartato fin da subito Nino che non riusciva a dormire a causa
del canto dei grilli e delle rane, e
che quindi villeggiava solo di giorno posto che la sera tornava a dormire al
paese, restavamo in quattro. Le prime
fatiche riguardavano il trasloco delle brande e dei materassi in campagna,
che, essendo pesantissimi per noi ragazzini, abbisognarono di un trasporto sull'autobus della linea Ucria/Patti. La
nostra meta era raggiungibile o attraverso la Via Margherita, o attraverso la
strada provinciale per Patti, non ancora asfaltata, ma bellissima con le siepi di rosmarino che fungevano da
guard rail. Una piccola
digressione. Le passeggiate che facevamo a quei tempi nel paese si limitavano 'nfinu unni 'llesti 'u 'mpiciatu (1)
vale a dire dal quartiere Santa
Caterina fino alla
bottega di “Capuni” sulla provinciale per Patti o,
preferibilmente, fino alla località Vasili sulla Statale 116. E quindi
si cominciava la vita estiva, di giorno si lavorava (i grandi) o si giocava e
si raccoglievano i frutti estivi e quindi a
giugno i gelsi bianchi e le ciliegie, a
luglio ed agosto i fichi, prima mano, duttati, burgisi, servaggioli, l'uva, le prugne, le smergie
(tipiche pesche bianche piccole e
dolcissime), le pere.
La sera ci si riuniva attorno a dei runci (2) accesi per allontanare
i muschigghiuna (3) assieme
ai vicini di villeggiatura, la famiglia dello zio Pietro Lembo con due o tre
figli stantechè i grandi erano ormai fuori da Ucria. Si stava a raccontare delle cose fino a quando i piccoli non cadevano
addormentati, altro che sonniferi. E si interloquiva anche (si immagini con
quali urla), con i parenti che erano
ritirati a Bèlino, la famiglia della cugina-zia Ciccina Paladina e più difficilmente con la famiglia della zia
Marianna Algeri, anche lei a Bèlino ma in un sito più distante. Uno dei profumi che ricordo con più piacere
era quello dei peperoni arrostiti dallo zio Pietro sulla sua fornacella. Di
giorno noi bambini facevamo esperimenti, del tipo fumare dei cannoni di foglie di nocciolo tritate e
avvolte nella carta della Gazzetta del Sud o del tipo aggiungere lo
zucchero nella birra Messina nel tentativo di renderla più dolce.
Un'esperienza atroce ma utilissima, stantechè
per gran tempo mi ha fatto star lontano dalle sigarette. Si facevano delle
esplorazioni nel fiume e qualche bagno in qualche gurno (4) (ma questo di nascosto dai genitori). La mattina i
miei mi mandavano in Paese a fare la spesa e risalivo a piedi la Via Margherita che ho sempre davanti
agli occhi. E sistematicamente a Kàllina incontravo don Nino Paolo, che raggiungeva la sua roba e Albicocco che
pascolava la sua capretta e nella casa accanto alla Villa Fiorino la radio
sempre accesa con le musiche di quelle bellissime orchestre americane che
diffondevano promesse di felicità. In paese facevo la spesa, comperavo qualche
giornaletto, andavo a trovare nonna Francesca che sistematicamente mi dava da
bere un uovo fresco con un goccio di
Vermuth o di Marsala, e poi tornavo in campagna, a ricominciare i giochi. Erano
giochi anche quello di salire sugli alberi, ricordo un gelso su cui avevamo
fatto una specie di alloggio (più un sedile che una capanna). E ricordo anche
che qualcheduna delle galline della zia Domenica faceva le uova dove capitava e
quindi con Aldo dovevamo fare il giro della campagna per scoprire il sito
giusto.
Per la
festa di Ferragosto ci si riuniva con gli zii di Messina o i cugini di Roma per
fare di quelle mangiate epiche che ancora si ricordano e si raccontano.
E poi, così come era iniziata, arrivava la fine della villeggiatura. Negli
ultimi giorni, quando ormai la raccolta delle nocciole era terminata, si
lasciavano i resti ai ragazzi che avevamo diritto di monetizzare le nocciole
che riuscivamo a raccogliere per l'acquisto di qualche giocattolo o di qualche
giornaletto. Questo si chiamava biscùgghiu
o spùlica.
Ricordo
ancora quando andavo a vendere il mio raccolto a don Cesare nella su bottega nel quartiere Famigghia (5) o nel
Piano Forno. Così si poteva affrontare la festa del 14 di
Settembre con qualche soldino in tasca. Ci
si acquistava dei giocattoli rudimentali, del tipo macchinine di latta con
la corda a molla, o pistole a caps o a nastro per i maschietti, o
cucinine per bambole per le femminucce. Ed il momento esatto della fine
della villeggiatura era la sera del 14 settembre quando i fuochi d'artificio
culminavano con la ruota pazza, una girandola di giochi pirici sita tra il quartiere Vasile e la curva del Mulino,
che noi ragazzini guardavamo a bocca aperta, per la meraviglia ed il godimento,
dal belvedere di Piazza Rimembranza.
Così assieme all'estate finiva
anche la nostra giovinezza.
POSTFAZIONE
Dedico questo racconto al
ricordo dei miei genitori, sempre vivi nella mia mente e nel mio cuore, ai miei
fratelli, Marcello e Nino, che mi ha suggerito di scriverne.
Ringrazio anche tutti gli amici
e i lettori che avranno la pazienza di leggermi
Carpi di Modena, lì 03.06.2016
LUIGI PINZONE
NOTE
1) Fino a dove finisce il
tratto asfaltato.
2) Erbacce secche
3) Moscerini
4) Tratto di fiume che
consentiva il bagno per la quantità abbondante di acqua, sorta di piscina
naturale.
5) Famiglia.
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