martedì 14 giugno 2016

La Gita ad… UCRIA di Luigi Pinci

La Gita ad… UCRIA
Luigi Pinci
Qualche settimana fa, l’amico avv. Giuseppe Salpietro, ha avuto la cortesia di raggruppare un gruppo di amici messinesi e condurli ad Ucria. Quando il pullman è arrivato a destinazione, Giuseppe, era lì ad attenderci, con il solito cordiale sorriso, e da quel momento è cominciata l’“Escursione” attraverso le stradine, le viuzze di un Paese” a me completamente sconosciuto. 
Qualche notizia l’avevo attinta dalla lettura dei “Quadretti” che Giuseppe ha recentemente pubblicato e presentato. Oltre che essere un Paese immerso nel Parco dei Nebrodi, avevo appreso qualche altra notizia che aveva caratterizzato questo “pezzetto” di Sicilia negli anni Sessanta. Nient’altro. Rimaneva comunque, per me, anonimo.
La strada principale, quella di “accesso” ci condusse al “Centro” non tanto storico, a prima vista, considerato che vecchie strutture sono state accostate” ad altre che nulla dicono o rappresentano di storico. Mi sembrava di vedere un vecchio scialle con rattoppi di tessuto e manifattura diverse che avevano stravolto la originalità e preziosità del manufatto.
Distolto lo sguardo da quelle strutture, puntai sul particolare: sugli archi di pietra fatti da abili scalpellini, che segnano l’ingresso delle abitazioni in un continuum architettonico che avevo già visto in altri Paesini della nostra Sicilia. Compresi in quel momento che stava cominciando a prendermi un senso di appartenenza ad Ucria, perché esso non riusciva a disgiungersi da quello che avevo provato nel visitare, Forza d’Agrò, Patti (parte antica), etc. Era un senso di appartenenza alla Sicilia, alla mia terra, trasferito da quelle pietre al mio modo di sentire, di percepire quel luogo. Mi sono chiesto quanti abitanti di Ucria, specialmente quelli appartenenti alle ultimissime generazioni, riescono a “percepire” la bellezza, l’arte, la sapienza, cosa c’è dietro ogni pietra, ogni stemma raffigurato in un arco che ha rappresentato o rappresenta qualcosa che affonda le sue radici in un passato recente o molto lontano. Come capita a tutti, non osserviamo e non riusciamo a cogliere le bellezze che ci stanno accanto, che sono parte integrante della nostra cultura.
Continuando la “passeggiata” ci siamo addentrati nel vero vecchio cuore di Ucria. L’amenità del luogo, caratterizzato da noccioleti che hanno rappresentato l’economia di questo Paese, “nasconde” delle preziosità: alcune strutture, per lo più Chiese, dietro le quali c’è tanta storia, tanta arte, tanto passato, poco futuro.
Alcuni case “semidiroccate” sono l’attrazione per chi le scopre, evidenziandosi tra costruzioni nuove o rifatte che caratterizzano un assetto urbanistico “fantasioso”. Volendo leggere la storia di quelle mura si va in una dimensione fuori dal tempo: si percepisce come in pochi metri quadrati convivevano gli animali, le persone, c’era il forno (per scaldarsi e per panificare), i balconcini dal terrazzo ridotto, usato forse soltanto per metterci alcuni vasi con il basilico, il prezzemolo, la menta. Uno degli scuri “ingloba” una parte che quand’era aperta serviva per il ricambio dell’aria, ma anche per vedere chi passava, per scambiare due chiacchere con chi veniva a salutare la comare, il cognato, i nipotini. Le cerniere degli infissi, le inferriate dei balconi o delle finestrelle giacciono logore, arrugginite dal tempo che inesorabilmente le sta distruggendo e le porterà via privando chiunque di vedere ancora, anche in quei moncherini, la propria appartenenza (a quella terra), fatta di sacrifici, di povertà, ma anche di dignità, di amicizia e di una socializzazione che non si riesce nemmeno ad immaginare.    
A stigmatizzare come vari concetti si assoggettano a diverse chiavi di lettura, non posso fare a meno di citare la sorpresa che mi colse nel vedere un’indicazione stradale che segnalava la Piazza dov’è una scultura che rappresenta l’emigrante.
Credevo di trovarmi di fronte ad un’opera che riportava la memoria allo stereotipo di un contadino, un po’ rozzo, con le scarpe grosse, con la coppola e con la valigia rinforzata con una “passata” di spago”, all’emigrante degli inizi del secolo scorso, costretto quasi sempre a dire addio alla "roba", alle poche (ma le più care) cose che aveva. Invece? La statua rappresenta un giovane, ben vestito, con un borsello e dall’aspetto distinto, manageriale, che stona con la valigia: unico elemento con il quale l’artista ha "caratterizzato" il suo manufatto. Soltanto soffermandosi qualche attimo si comprende che sempre di emigrante si tratta, ma questo appartiene alla seconda “ondata”: negli anni Settanta partirono i “cervelli”, non più le “braccia”. Così il più giovane, il più moderno, sembra voler cancellare l’ombra della fame più nera ed esaltare la speranza di un riscatto che alla fine non sempre produrrà benessere né per sé né per la terra che ha dovuto lasciare. Scema così sempre più il concetto di appartenenza, la voglia di scoprire le proprie radici e, la pur folta vegetazione di noccioli, non può rimpiazzare le fronde di una generazione disinnamorata, disillusa, fuorviata dalla tecnologia che ha invaso anche il più remoto e segreto angolo della nostro sentire.

Messina, 06 giugno 2016



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