MOSTRA DI PITTURA di Giuseppe Lembo detto Pippo
Uno sguardo nel passato per parlare del futuro
Giuseppe Lembo
Quando ho esposto tempo fa’ alcuni di questi acquarelli, ai presenti ho voluto raccontare prima un po’ di
storia di Ucria e poi ho detto di
quell’ umanità che fino gli anni ‘70 ha animato il nostro paese. I quartieri, le vie, le case oggi molte
disabitate, ad un visitatore distratto e affrettato, possono apparire niente
altro che ruderi inanimati, a volte
fatiscenti e anche pericolosi. Ho parlato di quel popolo, fino a oltre 3000
persone, che dava vita al paese,
brulicava nelle strade, stipava i
quartieri , riempiva le case. Ho detto di quelle piccole stanze dove
intere famiglie vivevano, con il piano terra occupato da galline, con l’asino o il mulo,
il maiale o la pecora. Una
coabitazione per niente innaturale, anzi chi più aveva più era ricco. Tutto si
misurava sulle necessità soddisfatte. Ho parlato delle molte botteghe,
rivendite di generi alimentari
essenziali, le tante botteghe del vino , sempre animate, luogo di svago e di
socializzazione oggi si direbbe. I fabbri, i falegnami, gli ebanisti, i
muratori, il marmista, i calzolai, gli scalpellini, lo stagnino, tutti maestri
artigiani di grande bravura. I sarti, le sarte, le ricamatrici e le tantissime
giovani ragazze che occupavano il loro tempo libero imparando a cucire e
ricamare, le mercerie, la cartoleria, i forni, i barbieri, la gioielleria. Di
Franciscu, di Tanu, di Ninu e di
Turi, venditori paesani di stoffe e
semplice abbigliamento, che ogni giorno con i loro richiami svegliavano il paese. I primi taxi o meglio le macchine a
noleggio, cinque quelle riconosciute. I negozi di abbigliamento, di calzature,
persino il mercato coperto. Niente
mancava per soddisfare i bisogni di una comunità operosa. Se qualcosa non si
trovava nel paese, si aspettava i rivenditori che arrivavano con le loro ricche
bancarelle per le Feste: il 3 di maggio e
il 14 settembre per il SS. Cristo
della Pietà, l’ultima domenica di ottobre per la Madonna del Rosario, il 4 novembre per la festa dei combattenti, la
più attesa perché si era venduto il raccolto delle nocciole e si poteva spendere di più. Aspettavamo
sopratutto noi bambini di allora le
feste, con le sue bancarelle piene di giocattoli, tutti rigorosamente di legno
e metallo, niente plastica.
Contadini
e braccianti, operai, pastori, pochi impiegati, maestri e medici, il farmacisti e l’avvocato. Ecco Ucria allora. Le
stesse persone, che mai erano state qui da noi, adesso guardavano con occhi
diversi i quadretti di Ucria ...oggi! Il
quartierino spopolato, i balconi di quel
colore verde azzurro segno di una tinteggiatura che colorava un tempo molti nostri balconi e finestre; il vetro
rotto di una finestra in una casa abbandonata; il sesto di un forno antico su
una parete alla luce del sole per la
caduta di tetto e solai; una cucina antica che ancora porta il nero di tanto
fumo sprigionato da legna bruciata nel
focolai; la tristezza di un
vecchio balcone in legno di castagno che ancora resiste a tutte le intemperie
impreziosendosi nei colori delle venature antiche; lo spettacolo che si presenta
uscendo dal passaggio coperto sotto la
chiesa matrice. Tutto
ciò comincia ad animarsi nella mente del visitatore. Li accompagno nella piazzetta antistante la
bellissima Chiesa matrice, dove si
ammirano le due scalinate che conducono alle entrate, gli eleganti palazzi che
la contornano. Di pregevole fattura il
cancello in ferro battuto che immette al prospetto principale della chiesa. Lo
stesso conserva da secoli il segreto di una, io penso, non casuale coincidenza,
che un occhio attento potrà notare: un
altro simbolo di Ucria, monte Cuculo, viene a cadere in mezzo alla chiusura
superiore del cancello, formando un quadro a se. Entriamo, colpiti da tanta
bellezza per loro inattesa, avanziamo verso l’altare maggiore, di rara fattura,
poi volgiamo lo sguardo verso gli altri
altari, il Sacramento, le statue della scuola del Gagini, i quadri. Infine
l’abside, attualmente con il Dio nascosto da un affrettato restauro degli anni
’60 e da me riproposto. Stupore e ammirazione per tanta Arte. Incamminandoci
verso l’uscita, abbagliati dalla luce che proviene dall’esterno, ammiriamo le
maestose colonne di granito, gli antichi
lampadari con mille gocce di
cristallo, gli altari laterali, il crocifisso ligneo ed in fondo l’organo grandioso.
Ancora
un’altra emozione parlando di antichità.
Li conduco a vedere i resti della chiesa
della Madonna della Scala, le colonne e
i capitelli di cui e’ disseminata, accanto i resti del convento.
Non
poteva mancare uno sguardo all’oggi. Li accompagno per vedere come, quando si
ama cio’ che si ha, con creatività, una scalinata in pietra, un piccolo
quartierino ricco di porte e piccoli balconi,
con la paziente opera di una famiglia che fa inerpicare molte piante di
rosa rampicante di colore diverso, si crea una esplosione di multicolore in
questo mese di maggio dedicato alle rose. Un aspetto molto presente, ieri piu’
di oggi, e’ la fede. Per ogni festa
religiosa passa la processione nei quartieri, con il corteo
della Vara e le statue dei Santi, seguita da tantissimi fedeli. Ed ecco, chi
non potra’ andare dietro alla Vara,
appostati lungo una scalinata o
appoggiati ad un muretto in alto, le nostre mamme in attesa, per salutare il nostro SS Cristo della Pieta’.
Ancora due luoghi, per me intimi, di Ucria…oggi.
Il quartierino dove sono nato e cresciuto. Quì negli ultimi anni mi ritrovo
sempre più spesso e dove vivevano tante
persone, oggi se ne contano quanto le dita di una mano. E’ rimasta la bellezza
delle scalinate, l’arco, le case, tutto costruito con pietre che d’estate emanano tanto calore e le rondini,
da sempre puntuali, ci allietano con il loro canto. Ed infine quest’altro
angolo, dove molto presto ogni mattina, da fine aprile, scostando la tenda
della mia cucina assisto alla potenza dei
raggi del sole nascente che, irradiando la parete del vicino, colora di rosa tutto il quartierino. Tutto questo mentre si
ripete la magia del primo caffè.
La felicità di avere dipinto queste realtà mi
scaturisce pensando al futuro. Al nostro paese come oggi è e come io lo
immagino.
Noi siamo e sempre più saremo gli artefici di
questa storia da scrivere. Valorizziamo e rispettiamo quanto abbiamo ricevuto
da nostri padri, i beni comuni, la
terra, “sarva chi servi” si diceva, le risorse naturali, i beni storici e i
tanti beni artistici. Tutto questo potrà servirci da volano per costruire
opportunità di lavoro, per il benessere di quanti coraggiosi vogliono resistere e continuare a vivere ad
Ucria. Quanti mestieri nel nostro paese hanno portato benessere, quanta terra si lavorava con fatica.
Ritorniamo ad essere intraprendenti.
Ho
dipinto per contribuire a fare
conoscere Ucria.
Nessun commento:
Posta un commento