martedì 14 giugno 2016

APE MEDICA di Peppino Marcantone

APE MEDICA
Peppino Marcantone
Vi voglio raccontare una storia che risale ormai a molti anni fa quando ancora giovane medico, da poco specializzato in ortopedia, diagnosticai alla mia zia Ivana, “svizzera”, un dito a scatto e le consigliai il trattamento chirurgico.
Fu proprio allora che rimasi meravigliato nel sentire la risposta della zietta: “ se non ti offendi prima di farmi operare preferirei sottopormi ad un trattamento di api terapia presso un medico che esercita da noi in Svizzera”.“ Certo che no ” le risposi io, non senza tradire un senso di irriguardevole stupore.
Dopo solo due sedute la mano della zia guarì perfettamente. Allora ero ancora un giovane medico bramoso di mettere in pratica le tante nozioni acquisite negli anni di studio e nel reparto di chirurgia della mano dove già da tempo lavoravo e dove lavoro tuttora; allora ero certo più incline a colpire di bisturi piuttosto che non di pungiglione.
Non diedi peso a quella “strana” guarigione giudicandola più frutto di un atto di “stregoneria” piuttosto che altro. La mia carriera di medico è comunque proseguita felicemente senza che mi prendesse la paura di poter perdere il lavoro per la “rivalità” di qualche puntura d’ape, ma senza nemmeno poter prevedere che un giorno mi sarebbe mai potuta capitare la grandissima fortuna di entrare con prepotenza in quello splendido e fantastico mondo dell’apicoltura.

Da allora di anni ne son passati, molti capelli se ne son purtroppo andati e per giunta quei pochi che son rimasti si sono pure ingrigiti, la mia “bramosia” di “colpir di bisturi” si è nel tempo affievolita, mentre si è andata via via accrescendo in me quella meravigliosa virtù che nei più “adulti” viene chiamata saggezza.
Sarà forse stato proprio quel pizzico di saggezza in più a riportarmi in mente la storia della mia zia Ivana e del suo dito a scatto, curato con veleno d’api, ed a stuzzicare le mie voglie di approfondire l’argomento.
Così iniziai a sfogliare riviste scientifiche che mi aiutarono a scoprire che le conoscenze riguardo alle proprietà curative del veleno d’api hanno origini lontanissime, il ritrovamento di alcuni manoscritti, su papiro, attesta che già duemila anni or sono nell’antico Egitto si praticasse lo “strofinamento” di veleno d’api su parti dolenti del corpo quale rimedio al dolore stesso.

Nel succedersi degli anni trattamenti similari vennero poi descritti da Plinio il Vecchio, Galeno, Carlo Magno, fino a che nel 1864 non fu pubblicato il primo trattato relativo agli studi clinici eseguiti sull’impiego del veleno d’api nel trattamento delle affezioni reumatiche.
Fu tuttavia soltanto ai primi del novecento che l’apiterapia iniziò a diffondersi rapidamente in Europa ed in seguito anche in America.
Questa terapia che sembrava avere del “miracoloso” conobbe però nel giro di qualche anno un inaspettato declino dovuto principalmente al fatto che in essa furono riversate eccessive aspettative e che proprio a causa di quest’ultime il trattamento veniva impiegato anche per patologie per le quali non esisteva una corretta indicazione terapeutica vanificandone di fatto l’efficacia.

Attualmente possiamo affermare che questa metodologia terapeutica non può e non deve considerarsi come l’unica via percorribile per il trattamento delle affezioni citate, ma va comunque considerata come una buona integrazione ed un valido coadiuvante del trattamento classico di queste malattie oppure come una importante alternativa in caso di fallimento delle terapie convenzionali.

Il veleno è secreto dalle ghiandole caudali delle api operaie ed è un liquido incolore con un forte odore caratteristico.
Per l’ottantacinque per cento è composto da acqua e per il quindici per cento da sostanze secche farmacologicamente attive; tali sostanze sono rappresentate da un insieme di enzimi, peptidi e proteine, zuccheri, fosfolipidi ed alcune componenti volatili che ne determinano il caratteristico odore. Fra tutte queste componenti troviamo:
1. sostanze a basso peso molecolare come istamina, dopamina, norepinefrina, oligopeptidi, fosfolipidi, carboidrati e aminoacidi;
2. sostanze ad alto peso molecolare principalmente enzimi quali le fosfolipasi, la ialuronidasi e la glicosidasi;
3. peptidi mellitina, apamina, peptide degranulante i mastociti, secapina, tertiapina, procamina ed un inibitore delle proteasi.

Istamina, norepinefrina (sono sostanze vasoattive provocano vasodilatazione con comparsa di rossore e calore ) e dopamina (neurotrasmettitore ) sono presenti in grande quantità, anche se il 50% dell’estratto secco è rappresentato dalla mellitina una sostanza in grado di provocare la disgregazione delle membrane cellulari ( coadiuvata dall’azione delle fosfolipasi enzimi che digeriscono i grassi presenti nelle membrane) con conseguente liberazione, da parte delle cellule danneggiate, di sostanze come l’istamina responsabili della insorgenza dello stimolo “infiammatorio – doloroso”, della comparsa dell’edema ( gonfiore ), di un ulteriore aumento dell’afflusso di sangue per vasodilatazione ( rossore e calore) mentre le ialuronidasi “sciogliendo” il tessuto connettivale facilitano la diffusione del veleno nello spazio intercellulare.

Altre sostanze proteiche presenti nel veleno hanno invece un’azione antigenica ossia stimolano la produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario; il veleno d’api possiede anche un’ azione antinfiammatoria da ricondurre alla mellitina, sostanza in grado, fra l’altro, di stimolare un aumento della produzione del cortisolo endogeno ( cortisone ) ormone con forte azione antinfiammatoria, ma anche in grado di produrre un aumento della glicemia nel sangue, questo è il motivo per cui nel diabetico è controindicata l’apiterapia; l’uso del veleno è inoltre controindicato in pazienti con ipertensione arteriosa che assumono farmaci beta bloccanti; in pazienti con insufficienza renale ed in pazienti cardiopatici gravi.
Oltre alla attività antinfiammatoria al veleno d’api vengono riconosciute proprietà batteriostatiche ( blocca la crescita batterica), battericide ( provoca la morte dei batteri ).

Le principali patologie che beneficiano positivamente del trattamento con veleno d’api sono:
• patologie reumatiche: come l’artrite reumatoide, che sono malattie sistemiche ( interessano l’intero organismo) e sono causate dalla formazione di autoanticorpi, ossia anticorpi che aggrediscono componenti del proprio organismo come tendini, cartilagini, tessuti sinoviali articolari od organi interni;
• l’artrosi: (processo degenerativo a carico delle cartilagini articolari ) delle grandi e piccole articolazioni;
• le tendiniti: infiammazioni dei tendini come per esempio il dito a scatto o il gomito del tennista;
• lombalgia, cervicalgia: infiammazioni dell’apparato “muscolare – tendineo” paravertebrale che possono insorgere a seguito di un’artrosi della stessa colonna vertebrale, a traumi distorsivi ( per esempio il colpo di frusta ) e/o a carichi di lavoro eccessivi eseguiti in posizioni scorrette;
• neuropatie periferiche: per esempio la sindrome del canale carpale;
• la sclerosi multipla: l’impiego dell’apiterapia per il trattamento di questa patologia è ancora in fase di studio, pare tuttavia che il trattamento prolungato produca benefici come la stabilizzazione della stessa malattia, la sensazione di un minor senso di stanchezza a carico dell’ammalato ed una relativa minor insorgenza di spasmi muscolari;
• cheloidi : ( cicatrici ispessite ed esuberanti ) l’iniezione di veleno d’api nel tessuto cicatriziale produce un assottigliamento della cicatrice migliorandone anche l’aspetto estetico attraverso la modificazione del colore discromico che spesso le caratterizza.
 Esistono sostanzialmente due metodologie attraverso le quali praticare l’apiterapia una prevede l’utilizzo di una pinza chirurgica con la quale si preleva l’ape portandola in prossimità del distretto corporeo in cui si desidera procurare l’inoculazione del veleno ed appoggiando la “coda” alla cute si provoca la puntura da parte dell’ape con la conseguente morte della stessa.
Personalmente, in quanto medico per vocazione ma apicoltore per passione, ritengo che questa metodologia sia una pratica “ rozza e barbarica “ non rispettosa della “dignità” dell’ape, inoltre con questa metodica non è possibile dosare la corretta quantità di veleno, da intendersi come quantità di sostanza farmacologicamente attiva, che si inietta nel paziente;
infatti ogni puntura comporta la secrezione di una dose di veleno molto variabile compresa fra 0,1 e 0,5 milligrammi.
La seconda metodologia prevede la preparazione di “apitossina” direttamente in laboratorio;
si produce una lieve differenza di potenziale elettrico su di una membrana sottilissima, introdotta nell’arnia, sulla quale si trovano le api che vengono così indotte a rispondere con una puntura, la tossina secreta passa attraverso la membrana e viene raccolta e successivamente trattata in laboratorio, questa metodica non comporta il sacrificio dell’ape e permette di preparare fiale contenenti una quantità di veleno liofilizzato perfettamente dosata.
Il farmaco che se ne ricava viene poi somministrato con iniezione praticata per via intradermica e/o sottocutanea direttamente sui “ trigger point” ( punti in cui è localizzato il dolore ) o in alcuni punti utilizzati anche nella pratica dell’agopuntura.
Una volta iniettata la tossina produce reazioni che sono variabili da individuo ad individuo e vanno da un forte dolore accompagnato da rossore e calore con possibilità di comparsa di edema ( gonfiore ) localizzato nella sede di inoculo e/o esteso a tutto l’arto fino alla comparsa di dolori diffusi e generalizzati a tutte le articolazioni.
A tali sintomatologie si può anche associare un senso di spossatezza, nausea e cefalea; questi “effetti collaterali” non comportano comunque ne un ostacolo ne una controindicazione al trattamento.
Nei casi più gravi, fortunatamente estremamente rari, in soggetti allergici ( si calcola una persona su centomila ) la somministrazione dell’apitossina può provocare una importante reazione sistemica con comparsa di shock anafilattico che se non trattato con urgenza e corretta competenza può portare alla morte del paziente.
Questo è il motivo per cui è bene che la pratica dell’apiterapia venga sempre e comunque esercitata da personale medico.

Concludendo la storia della zia Ivana possiamo affermare che l’apiterapia è senz’altro da considerarsi una valida metodica sia di supporto che in alternativa alle pratiche mediche convenzionali in uso per il trattamento delle patologie sopra elencate, (qualora queste ultime si siano rivelate inadeguate), purché esercitata con sapienza e buon equilibrio.
Il giusto equilibrio, nella pratica medica, è quello che dobbiamo sempre ricercare per evitare che ad ogni nostra azione non ne segua una uguale e contraria in grado di provocare effetti dannosi per la salute del paziente;
il giusto equilibrio è quello che dobbiamo impegnarci a ricercare nel dare la corretta indicazione all’utilizzo clinico dell’apiterapia perché la stessa possa rivelarsi un utile risorsa nel trattamento medico senza trasformarsi in una pratica di alta “stregoneria” in grado di provocare benefici irrisori se non addirittura danni importanti al malato che abbiamo deciso di sottoporre a questo tipo di cura.
Il giusto equilibrio, guarda caso, è anche quello che dobbiamo sempre ricercare nello svolgimento della nostra pratica apistica, perché ancora una volta le api ci insegnano che il nostro “benessere” non può prescindere dal loro “benessere”.






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