MIRACULI SU MISURA
Giuseppe
Salpietro
Da sempre, quasi per un bisogno
primordiale, la tentennate fede dell’uomo è stata periodicamente rinvigorita da
inspiegabili accadimenti che, nutriti dal mistero che li circonda, hanno
esercitato un’efficace forza rigenerativa. Fenomeni apparentemente
incomprensibili, che hanno però alimentato come potenti e roventi fiammate, i
convincimenti dei credenti rinsaldando i loro rapporti speranzosi verso la
chiesa, i suoi dogmi e i Santi.
Senza temere smentite, si può
tranquillamente affermare che questo atteggiamento di attesa miracolistica di
tanti credenti, ha sovente superato i circoscritti, severi, ambiti della
sensatezza, divenendo creduloneria.
Ne fece le spese anche mio padre,
quando sul finire degli anni Cinquanta tra i messinesi montò il convincimento
che nella vicina località balneare di San Saba, villaggio di pescatori posto
tra Messina e Villafranca Tirrena, a valle dell’allora trafficata Strada
Statale 113, ad orario prestabilito una giovane donna scorgeva nel bagliore
dell’accecante luce del sole le sembianze della Vergine Maria.
Naturalmente, le apparizioni fecero
molto scalpore nella vicina città di Messina, dove ebbero inizio, com’era
prevedibile, innumerevoli pellegrinaggi di fedeli verso la fin lì tranquilla località
tirrenica. Anche mio padre di quelle apparizioni miracolose subì il richiamo.
Un giorno, libero da altre incombenze, lasciata mia madre a casa a badare ai
figli a quel tempo troppo piccoli per non risultare d’impiccio, datosi
appuntamento con un vecchio compagno d’armi che abitava a Castanea*, travalicò
le colline che costringono la città di Messina verso il mare e si recò con lui
a San Saba.
Imprudente e preso da un’insensata
frenesia collettiva, come i tanti altri presenti, oranti e preganti, nel
momento d’estasi restò ad osservare il bagliore del sole oltre ogni ragionevole
limite di tempo. Immobile, con gli occhi sgranati e fissi puntati verso il
cielo alla ricerca di un segnale. Poi, dopo ore, non scorgendo null’altro che
l’accecante luce, mesto fece ritorno a casa, sofferente e allucinato al punto
che, a sera tarda, dovette fare urgente ricorso alle cure mediche del vicino
pronto soccorso dell’Ospedale Piemonte, dove ritrovò, parimenti in cerca di
rimedio, parte della folla di curiosi cacciatori di miracoli che, da ogni contrada, s’erano recati come lui in mattinata
sull’arenile di San Saba, ma che ora avevano preso d’assalto i due Ospedali
cittadini Regina Margherita e Principe di Piemonte.
Seguirono alcuni giorni trascorsi
nel buio più pesto tra bendaggi e copiose somministrazioni di colliri. Diceva
anche da anziano, che la sua vista non fosse tornata mai più come prima, ma
leggendo i fatti da un’altra prospettiva, è certo che non restò cieco per un
vero miracolo.
Qualche decennio dopo, nell’anno
1966 nel Comune di Raccuja, posto nell’entroterra messinese tra vallate
disseminate di noccioleti, in quello che fu un tempo il borgo fondato dal Conte
Ruggero D’Altavilla proprio nei pressi dell’abbazia basiliana di San Nicolò del
Fico, con modalità diverse, il fenomeno ebbe la sua immancabile replica. In
questa circostanza però, senza patimento alcuno, ne feriti.
Nella rinascimentale Chiesa di Santa
Maria, caratterizzata come per gran parte delle chiese nebroidee, da uno
splendido e logoro prospetto in pietra arenaria un tempo abilmente plasmata da
maestranze locali, tra le numerose opere d’arte, nella cappella di destra
dell’altare maggiore era, ed è ancora oggi esposta al culto, il pregevole
gruppo scultoreo dell’Annunciazione. L’angelo Gabriele e la Madonna,
commissionati da don Bernardo Lanza di Raccuja a Giambattista Mazzolo nei primi
decenni del XVI secolo, sono entrambi in marmo di Carrara.
Era il 12 giugno 1967 e com’era
avvenuto anni prima a San Saba, anche a Raccuja una pia donna non sicuramente
in mala fede, si convinse che per qualche istante si fossero mosse le pupille
del freddo manufatto marmoreo cinquecentesco che rappresenta la venerata
immagine sacra.
Al fremito della donna – le cronache
riferiscono che si trattava della sig.ra Grazia Bertilone che era in chiesa
intenta a pregare con il nipote Filippo -, accompagnato da un’immancabile
mancamento, seguirono immediate, al grido di Viva Maria, le implorazioni e le interminabili preghiere di tanti.
Poi, in un batti baleno, la notizia più
che certa del miracolo della Madonna di Raccuja si diffuse in mezza Italia.
Questo ovviamente, perché al tempo il fenomeno oggi planetario dei social
network era inimmaginabile e l’unico computer, grande quanto una palazzina, era
utilizzato dalla NASA che stava organizzandosi per lo sbarco sulla Luna. Se
fosse avvenuto oggi, ‘nta ‘na vutata
d’occhi le foto dell’evento le avrebbero i marziani. In compenso,
considerata l’arsura di informazioni, la Gazzetta del Sud dovette rimpinguare
le scorte di carta per giornali e inchiostro per le rotative.
Il giorno dopo, infatti, le principali testate giornalistiche specie
siciliane, titolavano a tutta pagina la notizia dello straordinario evento che
finalmente, per fortuna o per vero “miraculo”,
era toccato al piccolo paese nebroideo che, alla stessa stregua di Lourdes, San
Giovanni Rotondo e Fatima*, poteva ambire a rivestire un ruolo centrale nel
business del turismo religioso. D'altronde, a poco distanza, Tindari e Siracusa
stavano facendo scuola, attraendo con la loro potente carica emotiva e
religiosa milioni di credenti, che in quei luoghi accorrevano per affidare le
loro speranze ed i loro affanni, muovendo nel contempo inconsapevolmente, al
grido di Viva Maria, appetibili
risorse economiche.
I venditori di calia tostata,
cannella, palloncini e caramelle già guadagnavano le loro precarie e colorate
postazioni nelle strette vie del paese, contemporaneamente all’arrivo di
numerosi pullman carichi di devoti disposti ad investire cospicue somme in ceri
votivi, immaginette e rosari, coltivando in cuor loro la speranza di potere
assistere al prossimo “miraculu”, “a’ prossima vutatina ‘i l’occhi”.
L’isteria collettiva nei paesani era
montata a tal punto, che alcuni individui arrivarono a minacciare gli scettici
e, spero sia falso, una bidella arrivò a fare ingerire detersivo a qualche
componente della fazione avversa al solo scopo di procurare liquidi fastidi
gastrici.
U sulu fumu di cannili, accese in quantità industriale, si vidia d’Ucria, paese che dista da Raccuja solo nove chilometri e che, proprio in ragione di
questa vicinanza relativa, agevolava la periodica partenza di partecipate
processioni, rigorosamente a piedi, verso l’ambita ed inattesa destinazione di
fede mariana.
Anche Ucria possedeva un pregevole
gruppo scultorio simile raffigurante la
Santissima Annunziata, opera in marmo bianco attribuita ai discepoli del famoso
artista palermitano Gaggini, ma purtroppo queste statue restarono immobili.
Assolutamente pietrificate.
Sono certo di avere sentito con le
mie orecchie al tempo, insinuarsi con insistenza il sospetto che le statue dei
due paesi, molto simili nelle fattezze e riconducibili allo stesso periodo, ma
di dimensioni diverse, fossero state scambiate per errore nel tragitto verso la
destinazione finale in prossimità di Patti. Circostanza che avrebbe costituito
presupposto per una rivendicazione già annunciata, ma ben tardiva e senza
speranze, della scultura che si riteneva originariamente destinata al vicino
paese di Ucria.
Le ambizioni turistico-religione si
spensero poi nel volgere di qualche settimana, trascinando via definitivamente
dal paese il “circo” con tutti i suoi acrobati, che lì stavano impiantando la
loro complessa scenografia.
Nessuno, grazie a Dio e per
“miraculu”, rivendicò mai la proprietà della statua, richiedendone a distanza
di secoli lo scambio.
Pare sia sparito anche l’Arciprete,
il discusso reverendo Piscitello negli anni successivi incardinato nella
diocesi di Latina che, a dire dei tanti maligni, favoriva da navigato regista
la realizzazione del fragile impalcato di carta pesta. Il suo conflitto con
l’allora Arcivescovo di Patti mons. Giuseppe Pullano* restò insanabile, anche a
causa dell’interesse di quest’ultimo a non distogliere l’attenzione dei fedeli
dal Santuario della Madonna nera di Tindari*, già in costruzione avanzata,
considerato che la prima pietra di questo - proveniente
addirittura dalle antichità greco-romane e benedetta da Papa Pio XII il 30
dicembre 1956 - era stata posta nel sito ben dieci
anni prima l’8 dicembre 1957.
Al sacerdote Piscitello subentrò
padre Tuccio che, a quanto pare, fu accolto tanto malamente al suo ingresso in
paese. Senza alcun riguardo, il disappunto dei raccuiesi verso la sostituzione
autoritaria della guida spirituale, non lo risparmiò dallo sbeffeggiamento
manifestato senza ritegno con il frastuono prodotto dal suono chiassoso di
pentole, coperchi e mestoli dei paesani accorsi ad accoglierlo al grido di “tornatene dal tuo Vescovo”.
Tutto poi è tornato come prima.
Entrambe le comunità, sono profondamente e visceralmente legate al proprio
simulacro che difenderanno, ameranno e venereranno fino alla fine dei loro
giorni terreni.
Resta solo il ricordo polveroso ed
ingiallito di un momento passeggero d’isteria collettiva che ammonisce sul
fascino esercitato dalla notorietà di un accadimento.
Il miraculo? Per un pelo, e solo per un pelo, non finiu a dichiarazione di guerra fra i due paesi, con rispettivi
scambi di colpi di mortaio esplosi da Monte Castello da parte ucriese, e dal
Castello normanno Branciforti da parte dei raccuiesi.
·
Castanea delle Furie villaggio
ubicato sui Colli San Rizzo a circa quattrocento metri s.l.m.
·
Sono solo quindici, su un numero di alcune
migliaia, le apparizioni che hanno avuto nei secoli scorsi un riconoscimento
ufficiale da parte della Chiesa: Laus (Francia) 1664-1718, Benôite
Rencurel; Roma 1842, Alfonso Ratisbonne; La Salette (Francia)
1846, Massimino Giraud e Melania Calvat; Lourdes (Francia) 1858,
Bernadette Soubirous; Champion (Usa) 1859, Adele Brise; Pontmain
(Francia) 1871, Eugène e Joseph Barbedette, François Richer e Jeanne Lebossé; Gietrzwald
(Polonia) 1877, Justine Szafrynska e Barbara Samulowska; Knock (Irlanda)
1879, Margaret Beirne e diverse persone; Fatima (Portogallo) 1917, Lucia
Dos Santos, Francesco e Giacinta Marto; Beauraing (Belgio) 1932,
Fernande, Gilberte e Albert Voisin, Andrée e Gilberte Degeimbre; Banneux
(Belgio) 1933, Mariette Béco; Amsterdam (Olanda) 1945-1959, Ida
Peerdemann; Akita (Giappone) 1973-1981, Agnes Sasagawa; Betania
(Venezuela) 1976-1988, Maria Esperanza Medano; Kibeho (Ruanda)
1981-1986, Alphonsine Mumereke, Nathalie Ukamazimpaka e Marie-Claire
Mukangango.
·
Giuseppe Pullano - nasce a Pentone in provincia di Catanzaro l'11
luglio 1907. Viene ordinato sacerdote il 3 agosto 1930.
Rettore
del seminario di Squillace e successivamente arciprete di Gimigliano, il 22 aprile 1953
è nominato vescovo titolare
di Uzali e,
contemporaneamente, vescovo coadiutore
sedi datus di Patti. La
sua vicenda, a seguito della nomina, s'intreccia con quella del vescovo
effettivo Angelo Ficarra,
inutilmente sollecitato alle dimissioni dalla Congregazione Concistoriale,
perché accusato di scarso impegno durante le elezioni amministrative
e politiche degli anni 1946-1948.
Non decidendosi il Ficarra a dimettersi, Roma intervenne ancor più
pesantemente, nominando nel 1955 Pullano amministratore
apostolico sede plena. Con la prima formula si dichiarava, col
linguaggio tipico della Curia, che il
coadiutore era assegnato direttamente alla sede (sedi datus) in quanto
il vescovo effettivo non era in grado di amministrarla; con la seconda formula,
il Pullano prendeva in mano la direzione della diocesi, nonostante ci fosse un
suo responsabile (sede plena), e l'amministrava direttamente a nome del Papa.
Neppure questa volta però mons. Ficarra, ritenne di doversi dimettere e accettò
l'umiliazione di convivere, esautorato, con un altro vescovo. Il 2 agosto 1957
mons. Pullano fu nominato vescovo diocesano e mons. Ficarra apprese la notizia
solo dalla stampa. L'episcopato di mons. Pullano, molto problematico all'inizio
per le vicende su accennate, si distinse in seguito per un grande impegno nella
riorganizzazione della diocesi, soprattutto per quanto concerne le strutture:
il Seminario
di Patti interamente restaurato, il seminario estivo di Castell'Umberto costruito ex novo, il
palazzo vescovile ex novo dopo il crollo del vecchio, il Santuario di Tindari, nuovo e moderno. Tra il 1962
e il 1965 mons. Pullano partecipa a tutte le
sessioni del Concilio Vaticano II.
Ha concluso la sua vita il 30 novembre 1977
a Sant'Elia di Catanzaro. È sepolto nel Santuario di Tindari.
·
Madonna nera Tindari
- secondo la tradizione, una nave di ritorno dall'Oriente, tra le altre cose,
portava nascosta nella stiva una immagine della Madonna perché fosse sottratta
alla persecuzione iconoclasta. Mentre la nave solcava
le acque del Tirreno, improvvisamente si levò una tempesta e perciò essa fu
costretta ad interrompere il viaggio ed a rifugiarsi nella baia del Tindari.
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