martedì 14 giugno 2016

Fare memoria per fare futuro “Pezzetti di storia ucriese” di Carmelina Allia

Fare memoria per fare futuro
“Pezzetti di storia ucriese”
Carmelina Allia
Incoraggiata e conseguentemente sollecitata, dal gradito riscontro della memoria del Sac. Giuseppe Minissali, ricordando anche l'insegnamento dei miei genitori che bisogna saper godere del bene dell'altro e farlo conoscere, senza renderlo sterile, chidendolo egoisticamente nel proprio cuore e nelle proprie mani, continuo nella condivisione di "pezzetti di storia ucriese", certa che non dimenticare il passato, ci apra responsabilmente al domani.
Ed ecco ciò che scrisse e disse sul Sac. Minissali, il farmacista Sebastiano Galvagno, padrino di mio papà e presidente del Circolo Popolare Indipendente, figura nota e care agli Ucriesi più avanti negli anni, ma spero anche ai giovani, per sentito dire dai nonni.
Lo scritto risale al marzo 1915, oltre un secolo fa e ci rivela un animo sensibile, quasi poetico, non facilmente immaginabile a chi si fermava a una conoscenza superficiale del farmacista Galvagno.
      <Signori! Il caso, la fatalità delle umane vicende, vuole, esige che il più umile dei discepoli parli del Gran Maestro. Fra il tumulto dei ricordi più dolci di una fanciullezza che fu, quando il cervello ed il cuore del piccolo scolaro ricevevano come tenera argilla le prime impronte del sapere, non mi è facile oggi dire dell'uomo che, con spirito di sincera abnegazione, ispirò sempre gli atti della vita al nobile concetto <Patria -Umanità -Famiglia>. No! No, o Signori, perché ancora una volta sento portare, come stanche e lontane, sulle ali dorate di un dolce zefiretto, spruzzato dall'ebbrezza divina di mille fiori, che superbi ergono le loro testoline variopinte nel verde silenzio dei prati, sento portare, dico, le note fatidiche dell'inno con cui il coraggioso Prete-Maestro accendeva la prima fiamma d'amore nelle coscienze che oggi, con sincero entusiasmo, gridano la parola: Italia! Italia!......
A tale nome l'anima sua s'accendeva, il suo cervello si esaltava, il suo cuore si schiudeva al più nobile sentimento patrio; il Prete amava gli eroi di questa madre di Geni ed infondeva con ardore nelle giovani menti il culto per essi, come trasfondeva con sincero fervore l'adorazione pel Divino Maestro.
La sua parola misurata, calda, feconda scendeva dritta fin nelle ultime fibre dell'anima, scopriva e purificava l'errore della piccola creaturina e l'educava.
Il labbro del Maestro non mentì, perché non mentì la libertà, perché non sedusse l'intelligenza, perché non inverniciò le coscienze con le ipocrisie sociali, ma le sospinse alla conoscenza, all'amore del vero e del bello. Questi sentimenti egli integrava e completava col più profondo reale ed efficace sentimento religioso. Quel sentimento religioso che fa raccogliere a Vincenzo dei Paoli il fanciullo abbandonato, che spinge il Vescovo in mezzo ai colerosi, che sostiene l'umile frate, il quale oggi, cercando con i pesanti zoccoli la bianca neve spruzzare dalle chiazze del sangue umano, va, fra il rullio dei tamburi, fra il ro bo dei cannoni, fra le fiamme della polvere, va, alza, col sorriso sulle labbra, l'emblema di Cristo e grida: <Pace, o Fratelli, Pace!>.
È quel sentimento religioso che, nella coscienza del fanciullo, rendeva la Chiesa venerabile nella sua abnegazione, maestosa nella sua umiltà!
Né qui si arresta la marcia faticosa dell'Apostolo. Egli diffonde con gesto semplice, sotto le più svariate forme, tutta la sua energia sociale per combattere e distruggere le miserie intellettuali, morali e materiali del Popolo.
Il Grande Educatore intravede le convulsioni sociali a cui darà luogo il conflitto tra capitale e lavoro: non le reprime ma le previene, sancisce la legge del mondo morale, sacro diritto delle genti: l'equità.
La sua voce alleggerisce la fatica, santifica il lavoro, rende l'uomo forte, buono, degno dell'intelligenza, degno della libertà. Poiché l'educatore non volle che le generazioni si susseguissero come bruti, ma proseguissero in un radioso avvenire di pace, lavoro e giustizia. Sulla sua bara oggi mesta si curva la bandiera del Circolo Popolare Indipendente.
Ancora una volta l'Uomo si presenta al proscenio della vita circonfuso del bagliore di bianca e mistica luce, con le ali pietose di Angelo tutelare della famiglia: i suoi sorrisi, le sue lacrime sono le pagliuzze, le erbette con cui ha saputo intrecciare il nido del suo eterno amore, di cui tu, o diletto fratello, voi care sorelle, avrete il più dolce ricordo.
Piangete!.. O meglio...non piangete, alzate gli occhi al Sole: esso col suo tiepido raggio tergerà le vostre lacrime!
Vedete? Non è l'amico, non è il congiunto, non è il discepolo solo, ma è uno stolo interminabile di Popolo, che fra il sommesso salmodiare dei Preti, nella triste nenia dei bronzi, alla fiamma fu liginosa dei ceri, in mezzo ad una selva di fiori, muto e mesto va a nascondere geloso il suo Tesoro sotto quel bianco e freddo marmo che mille e mille nevi, mille e mille soli baceranno ancora nella eterna notte dei secoli, sotto quel bianco marmo che mentre altri oggi fregia con una medaglia, e gli suggella col bacio della gratitudine!


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