martedì 14 giugno 2016

Un mezzo di comunicazione: il cinema di Valentina Faranda

Un mezzo di comunicazione: il cinema
Valentina Faranda

Quando ero piccola immaginavo il mondo come un cartone animato. Credevo che qualunque cosa fosse possibile.
Quando si cresce si capiscono tante cose. Si comprende che il mondo non è come lo si immaginava da bambini, che per ogni cosa bella ci sarà sempre una cosa spiacevole e che spesso per affrontare la vita bisogna davvero procurarsi un elmetto.
Certe volte vorrei avere il controllo delle cose, stabilire quando devono accadere e come, per essere sempre preparati, sia alle cose belle che a quelle brutte. Ma se fosse possibile non vivremmo una vita ma un film in cui ogni oggetto è messo in un posto per una ragione specifica, ogni inizio e ogni fine sono già stabiliti e tutto quello che siamo o che diventeremo viene racchiuso in una pellicola da 120 min.
Non so se mi piacerebbe, non so se vorrei vivere sapendo cosa succederà nella prossima scena…eppure, questo brivido, il pensiero di poter creare e gestire un mondo esattamente come lo vorrei è la ragione massima del mio amore per il cinema. E proprio il cinema è l’oggetto di questo articolo.
Lo so, è vero. La premessa che ho fatto a tutto alludeva tranne che al cinema. Tutto potevate aspettarvi, voi che leggete, tranne che questo fosse un articolo sul cinema, se non aveste prima letto il titolo.
Ebbene sì, lo è.
Ho imparato presto a capire che dietro ogni cosa esiste sempre una storia da raccontare e che per certi versi la vita è davvero un film in cui non c’è un regista ma del quale siamo quei protagonisti inconsapevoli e sprovvisti di copione, poveri attori costretti ad improvvisare…
Spiegare su carta che senso speciale ha per me già la sola idea di un film è cosa ardua e sento di perdermi nella mia testa. Credo che questa forma di arte sia la sola che mi permette di esprimermi. Chi mi conosce sa bene che troppo spesso faccio riferimento a questo tipo di arte per esprimere un concetto, forse perché sento di non saperlo comunicare nella giusta misura semplicemente a parole, o forse solo perché tante cose le ho imparate proprio grazie a questa forma d’arte.
Per questa ragione, voglio condividere con voi qualche film, alcuni di quelli che sono stati importanti o che semplicemente comunicano qualcosa.
Questo articolo non è altro che un elenco di 7 film, uno per ogni decennio, dagli anni 50 al 2016. 7 film che sono fondamentali per me. Solo 7 perché non mi sarebbe bastato un articolo, altrimenti.

1959. I 400 COLPI. Il titolo, tradotto letteralmente dall’originale Les Quatre Cents Coups, perde in italiano tutto il senso della lingua originale. L’espressione francese corrisponde al nostro detto “Fare il diavolo a quattro”. È uno dei primi film che ho guardato per motivi di studio, all’università ed è il primo di una serie di film con protagonista Antoine Doinel, alter ego del regista François Truffaut, rispeso in diverse fasi della vita, dall’adolescenza alla maturità. È la storia di questo ragazzo, solo, indesiderato ed incompreso che non ha mai visto il mare. Ribelle, marina la scuola e commette dei piccoli furti. Quando, con l'amico René sottrae una macchina da scrivere per pagarsi una gita al mare viene arrestato e mandato in un riformatorio da cui fuggirà alla fine per una lunga corsa verso il mare. La scena finale con Antoine di fronte al mare rappresenta il passaggio all’età adulta. È la storia di ogni adulto che è stato prima di tutto un ragazzo.
1960. PSYCHO. Diretto dal genio dell’horror, Alfred Hitchcock e candidato a ben quattro oscar, questa pellicola è un successo colossale, tanto da generare tre sequel, uno spin-off, un remake shot-for-shot di Gus Van Sant e una serie televisiva.
Non so chi di voi lo ha mai visto. Il film è tratto dall'omonimo romanzo del 1959 di Robert Bloch, basato sulle vicende reali di Ed Gein, il “macellaio di Plainfield” che, nel periodo tra il 1947 e il 1957, uccise due persone nella zona di La Crosse e Plainfield (Wisconsin), creando decorazioni casalinghe con i resti delle vittime.
La scena di coltello e della doccia è una delle icone del genere horror e del cinema in genere. Da vedere.
1971. ARANCIA MECCANICA. Diretto da Stanley Kubrick, il film è tratto dall'omonimo romanzo distopico scritto da Anthony Burgess nel 1962. Al centro della scena c’è una società votata alla violenza e al vandalismo, soprattutto giovanile ed alla ricerca di un metodo per curare questi mali. Grande protagonista è la colonna sonora. Essa recuperava, fra le altre, musiche classiche molto conosciute di Rossini e Beethoven, accentuando la chiave visionaria e onirica del film.
Uno dei capolavori del cinema a mio parere. Tutto, dai dialoghi ai colori accesi della scenografia, dai costumi alla performace di Malcolm McDowell è arte. Iconica la scena di del feroce pestaggio ai danni dello scrittore Alexander con il sottofondo musicale di I singing in the rain.
1985. RITORNO AL FUTURO. Il film, diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Micheal J. Fox, è un cult del cinema. Tutti conoscono Marty Mcfly, Doc e il paradosso temporale. Specchio di una generazione, votata al raggiungimento dell’impossibile, la pellicola racconta il sogno di tutti, viaggiare nel tempo e di poterlo cambiare. Un film divertente, intelligente e intramontabile.
Gli anni ’90 sono un delirio. Ci sarebbero un’immensità di film da consigliarvi ma tra tutti, ho scelto una pellicola, forse, poco conosciuta ma per me davvero importante. È stato uno dei primi film horror che ho potuto vedere, grazie all’ossessione delle mie sorelle per Brandon Lee:
1994. THE CROW-IL CORVO. Tratto dall'omonimo fumetto di James O'Barr. Secondo alcune mitologie, il corvo svolgerebbe un ruolo da psicopompo (accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba) ma quando il cuore di colui che muore è colmo di rabbia e dolore allora, l’animale lo riporta in vita per vendetta. Il film racconta la storia di Eric Daven, il quale dopo essere stato ucciso insieme alla fidanzata, torna in vita per vendicarsi e segna l'ultima e più famosa interpretazione cinematografica di Brandon Lee, morto accidentalmente a causa di un colpo di pistola durante le riprese del film. Trovo che questa pellicola racconti quello che è il senso dell’esistenza: bisogna vivere ogni battito, ogni cosa come se davvero fosse l’ultima e che c’è sempre qualcosa di bello anche nelle brutture, che dopo ogni temporale torna sempre il sereno perché no, non può piovere per sempre.
 2000. I CENTO PASSI. È l’unico film italiano in questa lista ed è il primo film che ho visto a scuola. Racconta la vera storia di Giuseppe Impastato, detto Peppino, nato a Cinisi, Sicilia a soli "100 passi" dal boss della mafia Tano Badalamenti. Fervente antimafioso, Impastato, fu ucciso dalla mafia lo stesso giorno in cui fu trovato il cadavere di Moro.
Non sono una che piange facilmente ma questo film è davvero uno dei capolavori assoluti del cinema italiano. Lontano dall’immagine della mafia impressa da queste fiction all’ordine del giorno, i cento passi è per prima cosa la storia di una famiglia divisa dal senso di giustizia e dalla paura. È un film speciale. Si dice che i film impegnati non siano davvero comunicativi. In molti casi è vero perché sono talmente impegnati da non arrivare al cuore della gente. Non è il caso di questa pellicola che rimase impressa nella mente di una ragazzina di 12 anni ed ancora oggi conservo il ricordo della prima visione. Come ho detto prima, questo, è un film speciale.
2015. THE DANISH GIRL. Se c’è una cosa che l’arte, in qualsiasi forma, riesce a fare è comunicare qualcosa in un modo così diretto che non è possibile spiegare in nessun altro modo. The Danish Girl ne è un esempio. Il film racconta la storia di Lili Elbe, nata come Einar Mogens Andreas Wegener, è stata la prima persona nella storia a sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale e a essere identificata come transessuale. Chi mi conosce sa bene che il pregiudizio è una cosa che non fa parte di me. Ho sempre pensato che ogni persona debba vivere liberamente il proprio essere senza essere sottoposto al giudizio altrui, anche perché chi ci rende così speciali da poter giudicare gli altri nelle scelte? Nessuno. Devo ammettere, però che fino a questo momento non ero mai riuscita a comprendere che cosa spingesse un individuo a cambiare la propria identità ed essere qualcun altro che fino ad un dato momento non era mai, visivamente, esistito. Ma l’individuo è anima e corpo ed allora ho aperto gli occhi. Come sarebbe vivere una vita in un corpo che non rispecchia la mia testa? Sarebbe una prigione da cui vorrei evadere, sarebbe quel peso che vorrei togliermi di dosso. Questa pellicola ti trafigge il cuore e la mente seguendo un canale di comunicazione che richiama tutta l’arte. Ogni inquadratura ricorda un quadro, i corpi degli interpreti sono statue illuminate. Il film è pieno di silenzi e lascia parlare le espressioni. Eddie Redmayne, il protagonista, è una meraviglia da guardare.

Il cinema per me è una delle fonti di comunicazione primarie. Arriva dove la mia capacità di esprimermi non riesce ad arrivare. Chi mi conosce sa che per esprimere un concetto, nella maggior parte dei casi, io uso un film. Forse perché alcune cose quando le vivi in prima persona non riesci a capirle ma se ti vengono raccontate nel modo giusto allora, solo allora sei pronto a realizzarle.

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