Un
mezzo di comunicazione: il cinema
Valentina
Faranda
Quando ero piccola immaginavo il mondo come un cartone
animato. Credevo che qualunque cosa fosse possibile.
Quando si cresce si capiscono tante cose. Si comprende che
il mondo non è come lo si immaginava da bambini, che per ogni cosa bella ci
sarà sempre una cosa spiacevole e che spesso per affrontare la vita bisogna
davvero procurarsi un elmetto.
Certe volte vorrei avere il controllo delle cose, stabilire
quando devono accadere e come, per essere sempre preparati, sia alle cose belle
che a quelle brutte. Ma se fosse possibile non vivremmo una vita ma un film in
cui ogni oggetto è messo in un posto per una ragione specifica, ogni inizio e
ogni fine sono già stabiliti e tutto quello che siamo o che diventeremo viene
racchiuso in una pellicola da 120 min.
Non so se mi piacerebbe, non so se vorrei vivere sapendo
cosa succederà nella prossima scena…eppure, questo brivido, il pensiero di
poter creare e gestire un mondo esattamente come lo vorrei è la ragione massima
del mio amore per il cinema. E proprio il cinema è l’oggetto di questo
articolo.
Lo so, è vero. La premessa che ho fatto a tutto alludeva
tranne che al cinema. Tutto potevate aspettarvi, voi che leggete, tranne che
questo fosse un articolo sul cinema, se non aveste prima letto il titolo.
Ebbene sì, lo è.
Ho imparato presto a capire che dietro ogni cosa esiste
sempre una storia da raccontare e che per certi versi la vita è davvero un film
in cui non c’è un regista ma del quale siamo quei protagonisti inconsapevoli e
sprovvisti di copione, poveri attori costretti ad improvvisare…
Spiegare su carta che senso speciale ha per me già la sola
idea di un film è cosa ardua e sento di perdermi nella mia testa. Credo che
questa forma di arte sia la sola che mi permette di esprimermi. Chi mi conosce
sa bene che troppo spesso faccio riferimento a questo tipo di arte per
esprimere un concetto, forse perché sento di non saperlo comunicare nella
giusta misura semplicemente a parole, o forse solo perché tante cose le ho
imparate proprio grazie a questa forma d’arte.
Per questa ragione, voglio condividere con voi qualche film,
alcuni di quelli che sono stati importanti o che semplicemente comunicano
qualcosa.
Questo articolo non è altro che un elenco di 7 film, uno per
ogni decennio, dagli anni 50 al 2016. 7 film che sono fondamentali per me. Solo
7 perché non mi sarebbe bastato un articolo, altrimenti.
1959. I 400 COLPI. Il titolo, tradotto letteralmente
dall’originale Les Quatre Cents Coups, perde
in italiano tutto il senso della lingua originale. L’espressione francese
corrisponde al nostro detto “Fare il diavolo a quattro”. È uno dei primi film
che ho guardato per motivi di studio, all’università ed è il primo di una serie
di film con protagonista Antoine Doinel, alter ego del regista François
Truffaut, rispeso in diverse fasi della vita, dall’adolescenza alla maturità. È
la storia di questo ragazzo, solo, indesiderato ed incompreso che non ha mai
visto il mare. Ribelle, marina la scuola e commette dei piccoli furti. Quando,
con l'amico René sottrae una macchina da scrivere per pagarsi una gita al mare
viene arrestato e mandato in un riformatorio da cui fuggirà alla fine per una
lunga corsa verso il mare. La scena finale con Antoine di fronte al mare
rappresenta il passaggio all’età adulta. È la storia di ogni adulto che è stato
prima di tutto un ragazzo.
1960. PSYCHO. Diretto dal genio dell’horror, Alfred
Hitchcock e candidato a ben quattro oscar, questa pellicola è un successo
colossale, tanto da generare tre sequel, uno spin-off, un remake shot-for-shot
di Gus Van Sant e una serie televisiva.
Non so chi di voi lo ha mai visto. Il film è tratto
dall'omonimo romanzo del 1959 di Robert Bloch, basato sulle vicende reali di Ed
Gein, il “macellaio di Plainfield” che, nel periodo tra il 1947 e il 1957,
uccise due persone nella zona di La Crosse e Plainfield (Wisconsin), creando
decorazioni casalinghe con i resti delle vittime.
La scena di coltello e della doccia è una delle icone del
genere horror e del cinema in genere. Da vedere.
1971. ARANCIA MECCANICA. Diretto da Stanley Kubrick, il film
è tratto dall'omonimo romanzo distopico scritto da Anthony Burgess nel 1962. Al
centro della scena c’è una società votata alla violenza e al vandalismo,
soprattutto giovanile ed alla ricerca di un metodo per curare questi mali.
Grande protagonista è la colonna sonora. Essa recuperava, fra le altre, musiche
classiche molto conosciute di Rossini e Beethoven, accentuando la chiave
visionaria e onirica del film.
Uno dei capolavori del cinema a mio parere. Tutto, dai
dialoghi ai colori accesi della scenografia, dai costumi alla performace di
Malcolm McDowell è arte. Iconica la scena di del feroce pestaggio ai danni
dello scrittore Alexander con il sottofondo musicale di I singing in the rain.
1985. RITORNO AL FUTURO. Il film, diretto da Robert Zemeckis
e interpretato da Micheal J. Fox, è un cult del cinema. Tutti conoscono Marty
Mcfly, Doc e il paradosso temporale. Specchio di una generazione, votata al
raggiungimento dell’impossibile, la pellicola racconta il sogno di tutti,
viaggiare nel tempo e di poterlo cambiare. Un film divertente, intelligente e
intramontabile.
Gli anni ’90 sono un delirio. Ci sarebbero un’immensità di
film da consigliarvi ma tra tutti, ho scelto una pellicola, forse, poco
conosciuta ma per me davvero importante. È stato uno dei primi film horror che
ho potuto vedere, grazie all’ossessione delle mie sorelle per Brandon Lee:
1994. THE CROW-IL CORVO. Tratto dall'omonimo fumetto di
James O'Barr. Secondo alcune mitologie, il corvo svolgerebbe un ruolo da
psicopompo (accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba) ma quando il cuore
di colui che muore è colmo di rabbia e dolore allora, l’animale lo riporta in
vita per vendetta. Il film racconta la storia di Eric Daven, il quale dopo
essere stato ucciso insieme alla fidanzata, torna in vita per vendicarsi e
segna l'ultima e più famosa interpretazione cinematografica di Brandon Lee,
morto accidentalmente a causa di un colpo di pistola durante le riprese del
film. Trovo che questa pellicola racconti quello che è il senso dell’esistenza:
bisogna vivere ogni battito, ogni cosa come se davvero fosse l’ultima e che c’è
sempre qualcosa di bello anche nelle brutture, che dopo ogni temporale torna
sempre il sereno perché no, non può piovere per sempre.
2000. I CENTO PASSI.
È l’unico film italiano in questa lista ed è il primo film che ho visto a
scuola. Racconta la vera storia di Giuseppe Impastato, detto Peppino, nato a
Cinisi, Sicilia a soli "100 passi" dal boss della mafia Tano
Badalamenti. Fervente antimafioso, Impastato, fu ucciso dalla mafia lo stesso
giorno in cui fu trovato il cadavere di Moro.
Non sono una che piange facilmente ma questo film è davvero
uno dei capolavori assoluti del cinema italiano. Lontano dall’immagine della
mafia impressa da queste fiction all’ordine del giorno, i cento passi è per
prima cosa la storia di una famiglia divisa dal senso di giustizia e dalla
paura. È un film speciale. Si dice che i film impegnati non siano davvero comunicativi.
In molti casi è vero perché sono talmente impegnati da non arrivare al cuore
della gente. Non è il caso di questa pellicola che rimase impressa nella mente
di una ragazzina di 12 anni ed ancora oggi conservo il ricordo della prima
visione. Come ho detto prima, questo, è un film speciale.
2015. THE DANISH GIRL. Se c’è una cosa che l’arte, in
qualsiasi forma, riesce a fare è comunicare qualcosa in un modo così diretto
che non è possibile spiegare in nessun altro modo. The Danish Girl ne è un
esempio. Il film racconta la storia di Lili Elbe, nata come Einar Mogens
Andreas Wegener, è stata la prima persona nella storia a sottoporsi a un
intervento chirurgico di riassegnazione sessuale e a essere identificata come
transessuale. Chi mi conosce sa bene che il pregiudizio è una cosa che non fa
parte di me. Ho sempre pensato che ogni persona debba vivere liberamente il
proprio essere senza essere sottoposto al giudizio altrui, anche perché chi ci
rende così speciali da poter giudicare gli altri nelle scelte? Nessuno. Devo
ammettere, però che fino a questo momento non ero mai riuscita a comprendere
che cosa spingesse un individuo a cambiare la propria identità ed essere
qualcun altro che fino ad un dato momento non era mai, visivamente, esistito.
Ma l’individuo è anima e corpo ed allora ho aperto gli occhi. Come sarebbe
vivere una vita in un corpo che non rispecchia la mia testa? Sarebbe una
prigione da cui vorrei evadere, sarebbe quel peso che vorrei togliermi di
dosso. Questa pellicola ti trafigge il cuore e la mente seguendo un canale di
comunicazione che richiama tutta l’arte. Ogni inquadratura ricorda un quadro, i
corpi degli interpreti sono statue illuminate. Il film è pieno di silenzi e
lascia parlare le espressioni. Eddie Redmayne, il protagonista, è una
meraviglia da guardare.
Il cinema per me è una delle fonti di comunicazione
primarie. Arriva dove la mia capacità di esprimermi non riesce ad arrivare. Chi
mi conosce sa che per esprimere un concetto, nella maggior parte dei casi, io
uso un film. Forse perché alcune cose quando le vivi in prima persona non
riesci a capirle ma se ti vengono raccontate nel modo giusto allora, solo
allora sei pronto a realizzarle.
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